1. Con il decreto legge n. 92 del 2024 e successivamente, soprattutto, con l’approvazione definitiva del d.d.l. n. 1718, del 10 luglio 2024, siamo di fronte ad una riforma incisiva dei delitti dei p.u. contro la P.A., nell’ambito della quale spicca indubbiamente l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, cui fa da contraltare l’introduzione, con il decreto legge n. 92, della nuova fattispecie criminosa relativa alla “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, nonché, con il d.d.l. già citato, nonché la riforma del delitto di “traffico di influenze illecite”.
Prima di iniziare la disamina analitica di tale importante e discussa riforma, corre l’obbligo di informare il lettore di quanto segue: dai pubblici canali informativi di alcune case editrici è emersa una notizia ex abrupto inaspettata, cioè a dire che, siccome in particolare il d.d.l. n. 1718 non è ancora stato firmato dal Presidente della Repubblica e quindi non è stato né promulgato né, ovviamente, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, non può dirsi che sia già diventato legge[1] ed altrettanto, mutatis mutandis, è a concludersi per quanto riguarda il decreto legge n. 92 del 2024, che infatti non è ancora stato convertito in legge. Le case editrici hanno pertanto deciso di rinviare l’uscita dei codici penale e di procedura penale a settembre, mentre attualmente si trova in commercio quello penale e processuale penale di altra casa editrice, che ha preferito, evidentemente, non attendere ciò, che sarebbe stato, a nostro avviso, invece, più utile, proprio per dare al lettore una visione completa dei codici penali solo con il varo definitivo in legge di tale importante riforma.
Lo scrivente, a questa notizia di per sé inaspettata, è rimasto all’inizio un po’ perplesso e poi, re melius perpensa, se n’è data una spiegazione.
In primo luogo, possono sorgere problemi di costituzionalità, soprattutto con riferimento all’uso del decreto-legge in materia penale che, è vero, riguarda anche il tema sempre più spinoso della pena carceraria, ma certo la assoluta necessità ed urgenza che giustifica il decreto legge, non appare sussistente per quanto attiene alla fattispecie di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”.
Più in generale, si potrebbe anche aderire alla tesi, ormai risalente, ma di un grande Maestro come Franco Bricola, che aveva sostenuto in maniera assai radicale, ma profondamente rispettosa della legalità penale, che proprio le caratteristiche della legge penale, che incide sulla libertà personale dei cittadini, dovrebbe comportare l’obbligo, per il legislatore, di utilizzare sempre la legge in senso formale e non già il decreto legge, perché, anche se convertito in legge dal Parlamento, costituisce sempre una “espropriazione” della potestà legislativa originaria da parte del Governo[2].
Ci rendiamo, però, conto che tale tesi non è stata poi seguita dalla maggioranza della dottrina e della giurisprudenza, per cui dobbiamo inevitabilmente, come suol dirsi, scendere dal “cielo dei principi” alle caratteristiche del caso concreto. Anche nel caso che qui ci occupa diventa, infatti, estremamente problematico individuare quelle ipotesi di “assoluta necessità e urgenza”, richieste dalla Carta costituzionale per legittimare l’intervento legislativo del Governo tramite, appunto, il decreto-legge. È pur vero che, come abbiamo già ricordato, nel titolo del decreto legge in analisi si fa riferimento, ovviamente, alle “misure urgenti in materia penitenziaria”, ma nel caso che qui ci occupa il nuovo delitto denominato “indebita destinazione di denaro o cose mobili” non sembra proprio rivestire quel carattere di necessità e urgenza che dovrebbe legittimare l’intervento in un settore, tra l’altro così nevralgico e, quindi, necessitante di adeguata “meditazione”, come quello dei delitti dei p.u. contro la P.A.
Siamo, tuttavia, persuasi che non sono certo queste le ragioni che ancora non hanno indotto il Presidente della Repubblica a promulgare soprattutto il d.d.l. n. 1718, anche se ha tempo un mese dall’approvazione, ex art. 73, comma 1, Cost., oppure ad inviare un messaggio alle Camere sia su quest’ultimo, che sullo stesso decreto-legge per una nuova deliberazione (ex art. 74 Cost.). È, infatti, noto che il potere del Presidente della Repubblica, affinché non si sovrapponga alla stessa Corte costituzionale, riguardi un atto legislativo che si deve dimostrare, ictu oculi, manifestamente contrario alla Carta costituzionale, e comunque, laddove dovesse esercitare tale potere, è altrettanto noto come, sempre ex art. 74 Cost., il Parlamento possa sia tenerne conto, che invece approvare nuovamente la legge che, quindi, deve essere promulgata, ex art. 74, comma 2, Cost.
Tutto ciò risulta espressione della logica della divisione dei poteri dello Stato, per cui il Presidente della Repubblica non può, alla fine, che accettare lo status quo. In ogni caso, allo stato, non risulta che il Presidente della Repubblica abbia attivato tale ultimo potere, ma solo che non ha ancora promulgato la legislazione in oggetto. La questione, quindi, sembra più complessa e soprattutto variegata. Soccorre, a questo proposito, la memoria scritta presentata il 10 luglio 2024 alla Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, in occasione dell’audizione nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 1183 “Conversione in legge del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, recante misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizie civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”[3].
Ci fa piacere apprendere che anche il chiaro Autore aveva sottolineato come “questo modo di procedere – l’adozione per decreto-legge di un emendamento a un disegno di legge ancora all’esame del Parlamento – è al di fuori delle normali e proprie dinamiche del processo di formazione delle leggi e come ciò sia ancora più grave allorché accade in una materia come quella penale presidiata dalla garanzia costituzionale della riserva di legge”.
Inoltre, lo stesso Autore, giustamente, si chiede se, oltre ai dubbi di legittimità costituzionale, le scelte del legislatore siano compatibili con i vincoli internazionali e quindi, sotto tale profilo, siano prospettabili ulteriori dubbi di legittimità costituzionale alla luce dell’art. 117, co. 1, Cost., intesa, ovviamente, come norma interposta[4]. Rinviando sul punto alla puntuale analisi del collega, qui richiamiamo per sintesi sia la Direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, sia la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla corruzione conclusa a Strasburgo nel 1999 (art. 12), che la Convenzione ONU contro la corruzione (art. 18) firmata a Mérida nel 2003. Evidentemente tali problematiche sia a livello costituzionale, che convenzionale, hanno suscitato non pochi dubbi e ciò potrebbe in teoria spiegare per quale ragione in particolare il d.d.l. Nordio n. 1718, definitivamente approvato dai due rami del Parlamento, non sia stato ancora promulgato né, pertanto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, per cui non può ancora dirsi che abbia valore di legge. Da ultimo, non va affatto sottovalutato il recentissimo “Rapporto sullo Stato di diritto” dell’UE, ove le preoccupazioni del dossier elaborato dalla Presidente Ursula von der Leyen, riguardano anche l’anticorruzione, e, in particolare, l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio e la limitazione dell’applicazione del traffico di influenze, in quanto ciò “potrebbe avere implicazioni per le indagini e l’individuazione di frodi e corruzioni”, contingenza ritenuta grave in un Paese come il nostro in cui “persistono i rischi di corruzione pubblica”[5].
2. Affrontiamo ora il “nodo gordiano” della riforma Nordio e cioè l’abrogazione tout court del delitto di abuso d’ufficio. Per intendere al meglio le ragioni di tale riforma, dobbiamo tener conto in primo luogo che, come suol dirsi, viene da lontano, giacché da tempo si prospettava l’abrogazione dell’art. 323 c.p.[6].
Un inquadramento storico, seppur di carattere sintetico, può risultare utile alla bisogna. Nell’intelaiatura originaria del Codice penale del 1930, l’abuso d’ufficio era considerato una c.d. norma residuale, tanto è vero che era intitolato: “Abuso d’ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge”. Tale funzione sussidiaria si spiega a causa dell’esistenza del delitto di “Interesse privato in atti d’ufficio”, previsto nel successivo art. 324 c.p. Tale disposizione legislativa provocò, tuttavia, una vera e propria querelle a livello giurisprudenziale, perché un settore della stessa riteneva bastevole la sussistenza di un interesse privato coevo a quello pubblico, mentre altra parte, più garantista, della giurisprudenza medesima, riteneva necessaria la “presa” di un interesse privato in un atto dell’ufficio, nel senso dello sviamento dell’atto pubblico per fini privati[7]. Siccome la questione non fu inviata alle Sezioni Unite penali della Cassazione, si preferì invece l’abrogazione dell’art. 324 c.p., evidentemente ritenendo insanabile tale contrasto giurisprudenziale tanto che l’abrogazione avvenne con l’art. 20 della l. 26 aprile 1990, n. 96. Inevitabilmente, abrogato l’interesse privato, sempre nel 1990, divenne centrale proprio l’abuso d’ufficio, che infatti fu distinto in due fattispecie: l’abuso per finalità patrimoniali e l’abuso per finalità non patrimoniali[8]. La fattispecie, tuttavia, restava ancora esangue, tanto è vero che veniva arricchita soltanto dal riferimento al dolo specifico, per cui l’allora Ministro della giustizia, cons. Caianiello, nel febbraio 1996 creò una Commissione ministeriale, la Commissione Morbidelli[9], che, come constateremo meglio in seguito, ritenne di intravvedere nell’abuso d’ufficio tre diverse fattispecie: la “prevaricazione”[10], che costituiva il modello più antico, di tipo ottocentesco, il “favoritismo affaristico”[11] ed infine lo “sfruttamento privato dell’ufficio”[12].
Il legislatore preferì, invece, una soluzione unifattoriale, che condusse, infatti, alla l. 16 luglio 1997 n. 234, da cui inizia la problematica di sempre maggiore stilizzazione e, quindi, relativa “evanescenza” della condotta criminosa del delitto de quo che, infine, ha condotto alla sua abolizione.
3. La legge del 1997 così infatti riformulò il delitto di abuso d’ufficio: “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni e del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni”. Il problema, come è noto, era quello di far rientrare, o no, nella norma in esame anche l’eccesso di potere, prima escluso dalla giurisprudenza[13] e poi fatto rientrare dalla stessa[14]. Da ciò, evidentemente, la reazione del legislatore che, con legge 11 settembre 2020 n. 120, ha di nuovo modificato l’abuso d’ufficio, ove, infatti, la prima parte così ebbe a recitare: “In violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. In tal modo il legislatore ha auspicato, o, forse, si è illuso, di avere apposto una “Tunica di Nesso” alla giurisprudenza.
4. In tal modo, però, la fattispecie è diventata praticamente di assai difficile applicazione perché, con una tipicità alquanto impalpabile e ciò spiega, evidentemente, anche il notevole numero di richieste e, poi, di accoglimento addirittura di archiviazioni, per cui è arrivata alla fine l’opera di eccessiva semplificazione della fattispecie che infatti, come apparente conseguenza necessitata, ha condotto alla abrogazione, da parte del d.d.l. Nordio, da cui abbiamo preso le mosse.
Per altro verso, dobbiamo però considerare anche il numero non indifferente di sentenze di condanna passate in giudicato, che, dai dati del Casellario dal 1997 al 2022, ammontano a 3600, che, on la riforma Nordio, sono evidentemente destinate all’effetto retroattivo dell’abolitio criminis[15]. Orbene, va da sé che l’abrogazione di una fattispecie, anche se assai assottigliata, ma importante nell’ambito dei delitti dei p.u. contro la P.A., ha suscitato voci favorevoli[16] e voci contrarie[17].
A nostro avviso, la questione non può essere risolta adeguatamente soltanto sotto questo profilo, ma va maggiormente approfondita. In primo luogo abbiamo già ricordato che sussistono oltre 3300 condanne passate in giudicato, che con la abolitio criminis rischierebbero di finire nel nulla anche se si potrebbe, di contro, sostenere che trattasi di un fenomeno anche di tipo successorio con riferimento all’introduzione del nuovo reato di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”, che non costituisce altro che una reviviscenza del peculato per distrazione, che era stato abolito con la riforma del ’90 e che ora “risorge dalle ceneri”, evidentemente per tentare di colmare la lacuna derivante dall’abolizione dell’abuso di danno patrimoniale[18]. Siamo, tuttavia, dello stesso parere del collega Gambardella che giustamente non intravvede alcun fenomeno abolitivo tra l’abrogazione del delitto di cui all’art. 323 c.p. ed il nuovo art. 314-bis c.p., non trattandosi affatto di un fenomeno di carattere successorio[19].
Volendo ritornare ex professo all’abuso d’ufficio, abbiamo già rilevato che costituisce una fattispecie che ha conosciuto diverse “stagioni”, dall’abuso innominato nel c.p. del ‘30 alla riforma del ’90, cui è succeduta la riforma del 1997, che vi ha aggiunto un dolo particolarmente carico, cioè il dolo intenzionale. Abbiamo anche ricordato come l’ultima formulazione della norma in analisi risulti la seguente, che è opportuno riportare per ciò che si rileverà successivamente: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità[20], ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggi patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da 1 a 4 anni”.
Come può agevolmente constatarsi anche ad una prima lettura, la fattispecie che risulta da tutte le ricordate “stratificazioni” legislative, non risulta certo di facile interpretazione e, quindi, di applicazione e ciò, ovviamente, dimostra il forte squilibrio tra il numero delle iscrizioni al registro degli indagati e quello relativo alle condanne, cioè una rilevante “cifra oscura”. Sarebbe, tuttavia, riduttivo spiegare l’abolitio criminis seppur per il legislatore soltanto “parziale”, a causa dell’introduzione dell’art. 314-bis c.p., solo secondo quest’ultima prospettiva, né può costituire un argomento giuridicamente valido quello soprattutto espresso da un numero notevole di sindaci che hanno manifestato la c.d. “paura della firma”.
Trattasi non solo di un argomento di carattere politico, che tuttavia ha consentito l’approvazione della riforma anche con il voto adesivo dei partiti di centro, ma che, soprattutto giuridicamente, non convince, perché allora, seguendo questa prospettiva, bisognerebbe giungere ad una responsabilità esclusivamente civile e non penale anche in rapporto ai medici, onde evitare la c.d. medicina difensiva[21]. Se si seguisse quest’ultima strada, però, di cui peraltro pure ha ufficialmente parlato l’attuale ministro della Sanità, il legislatore rischierebbe di indebolire fortemente la tutela della vita e dell’integrità fisica dei malati che si sottopongono ad interventi del personale sanitario[22].
La prospettiva abolizionista adottata dal legislatore è per molti profili del tutto non condivisibile, per cui siamo del parere che sarebbe stata decisamente preferibile una riforma del delitto d’abuso d’ufficio, soprattutto se si tiene conto degli importanti risultati della Commissione Morbidelli, istituita nel lontano febbraio del 1996 dall’allora ministro della Giustizia, cons. Vincenzo Caianiello, cui abbiamo fatto già cenno[23]. Dai lavori di detta Commissione emerge un dato assolutamente fondamentale, peraltro pure già ricordato, e cioè che l’abuso d’ufficio contiene in sé addirittura tre fattispecie distinte, il che non può non possedere notevole rilievo ex art. 97 Cost.
In primo luogo, la “prevaricazione”, che costituisce, come è noto, il modello ottocentesco e con il quale si incrimina soprattutto l’abuso delle forze dell’ordine, come anche di recente avvenuto in un caso recato agli onori della cronaca, in cui un appartenente a dette forze aveva fermato due ragazze straniere chiedendo loro i documenti. Esse glieli avevano consegnati e, quando stavano andando via perché avevano capito le intenzioni dell’uomo, costui le ha indebitamente trattenute, ordinando loro che dovessero aspettare l’automobile di servizio affinché fossero controllati anche elettronicamente tali documenti. Trattavasi, evidentemente, di una scusa, non solo perché i documenti erano validi e già stati controllati, ma soprattutto perché sembrava un modo per approcciare le ragazze e per tale ragione il p.u. è stato condannato per abuso d’ufficio. La seconda fattispecie è quella dello “sfruttamento privato dell’ufficio” che riguarda, ad es., la classica ipotesi in cui il docente universitario, che intrattiene una relazione con una studentessa, le fa superare l’esame anche se non è preparata. Purtroppo, lo sfruttamento privato dell’ufficio potrebbe riguardare anche concorsi universitari, ove concorrono pure abilitati alla seconda fascia o, addirittura, alla prima fascia di docenza, ove però regolarmente prevale il concorrente locale, ma ora proprio con l’abolizione dell’abuso d’ufficio ancor più ci si vedrà costretti a ricorrere ai TAR, che in genere non decidono nel merito se non dopo circa tre anni.
La terza ipotesi riguarda il “favoritismo affaristico”, che secondo la mens legislatoris potrebbe essere in un certo senso recuperato attraverso la “riemersione” del c.d. peculato per distrazione.
Onde, però, cercare di ottenere una reductio ad unum di tali tra fattispecie criminose, sarebbe stata utile, a nostro avviso, una previa comparazione con il delitto di “infedeltà patrimoniale”, inserito nel 2002 nell’ambito dei reati societari[24]. Sia l’abuso d’ufficio, infatti, che l’infedeltà patrimoniale si caratterizzano per la situazione di conflitto d’interessi che non dovrebbe essere qualificata solo in chiave omissiva, ma caratterizzare l’abuso anche a livello di condotta attiva, cui dovrebbe poi seguire, con relativo nesso causale, l’evento di danno patrimoniale, oppure non patrimoniale. Una fattispecie di tal guisa, in conclusione, sarebbe stata la soluzione migliore per una tutela penale, anche in chiave costituzionale, ex art. 97, nonché convenzionale, con riguardo, in particolare, alla Convenzione di Mérida ed alla Direttiva comunitaria in materia, anziché un’abolizione tout court dell’abuso d’ufficio che rischierà, però, di suscitare un’ennesima forma di giurisprudenza giuscreativa[25].
Ciò nel senso che molto probabilmente si tenderà, per colmare i vuoti di tutela, ovviamente, a non accontentarsi del “risorgere” del peculato per distrazione, ma ci si orienterà anche, assai probabilmente, ad estendere oltremodo i limiti delle fattispecie di corruzione, soprattutto con riferimento al concetto di “altra utilità”. In tal modo, però, si potrebbe generare un ulteriore equivoco, cioè quello di ritenere lesi penalmente i beni dell’imparzialità e del buon andamento della P.A., ex art. 97 Cost., soltanto attraverso una promessa o una dazione di denaro o altra utilità, che in fondo costituisce anche la voluntas legislatoris, senza però che si tenga nel dovuto conto che l’art. 97 può anche essere penalmente inciso attraverso condotte di abuso, soprattutto se fondate sul sintagma relativo al “conflitto d’interessi”.
5. Con il decreto-legge n. 92 del 2024 il Governo ha infatti introdotto, tra i delitti dei p.u contro la P.A., anche quello di “Indebita destinazione di denaro o cose mobili”, nel nuovo art. 314-bis c.p.
A questo punto giunti bisogna, ovviamente, chiedersi che cosa rappresenti tale nuova fattispecie nella c.d. mens legislatoris. Erano, probabilmente, presenti sia una sorta di “ritorno” al peculato per distrazione, che anche la salvezza di una porzione del reato d’abuso d’ufficio. L’una, ovviamente, appare come conseguenza dell’altra, nel senso che, evidentemente, l’abolizione tout court del delitto d’abuso d’ufficio, potrebbe essere risultata invero eccessiva anche per l’attuale ministro della Giustizia on. Carlo Nordio, non solo nell’ottica della tutela della P.A. in generale, ma anche del patrimonio di quest’ultima, cui infatti si riferiva una parte dell’abuso d’ufficio prima della sua abrogazione, tanto è vero che era previsto come evento di danno non solo “l’arrecare ad altri un danno ingiusto”, ma anche “il procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale”.
Per altro verso, “resuscitato”, seppure sotto “mentite spoglie”, il peculato per distrazione – che era stato abrogato con la riforma del 1990, che infatti aveva limitato la rilevanza penale del peculato come attualmente anche avviene, alla sola condotta di appropriazione – ciò lascia indubbiamente perplessi, perché non si tiene conto che proprio il concetto di distrazione era stato abolito, in quanto scarsamente “tassativo”, che, a ben considerare, costituisce proprio uno degli addebiti mossi alla fattispecie di abuso d’ufficio, considerata dallo stesso legislatore, non a caso, alquanto “evanescente”[26].
A questo proposito, il collega Seminara giustamente opera diverse qualificazioni del nuovo art. 314-bis, ovverosia a) come forma specifica di abuso d’ufficio; oppure b) quale peculato per distrazione; e da tali raffronti fa giustamente emergere le ragioni dell’incostituzionalità dell’art. 314-bis, per contrasto con il principio di proporzione della pena, rilevante, come è noto, ex art. 3 e 27, comma 3, Cost., giacché l’art. 314-bis è punito che la sola reclusione da sei mesi a tre anni, mentre il peculato è punito addirittura con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi e lo stesso art. 323 è punito con la reclusione da uno a quattro anni, per cui, sia che venga considerato il nuovo art. 314-bis come ipotesi speciale di peculato, oppure come “riedizione”, seppur parziale, dell’abuso d’ufficio, in tutti e due i possibili casi emerge una patente violazione del principio di proporzionalità della pena[27] e, quindi, l’illegittimità costituzionale del novellato art. 314-bis c.p..
6. Tratteremo, ora, la modifica relativa al delitto di traffico di influenze illecite, di cui all’art. 346-bis c.p.[28]. Anche in questo caso riteniamo imprescindibile una ricostruzione storica della fattispecie. Non va dimenticato che originariamente, nel c.p. del 1930, esisteva solo la fattispecie di millantato credito, di origine romanista come “vendita di fumo” che infatti, per la sua conformazione, apparteneva alla categoria dei reati di frode. Nella riforma del 2012, l’allora ministra della Giustizia, prof.ssa Paola Saverino e con la legge spazza-corrotti del 2019, si introdusse dapprima e poi si modificò la fattispecie di traffico di influenze illecite, che tuttavia inglobava in sé anche, a ben considerare, il millantato credito. Tanto ciò è vero che la condotta criminosa non si limitava allo sfruttamento, ma comprendeva anche il vantarsi di relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. In altri termini, risultava evidente che così come disciplinato, il traffico di influenze illecite ricomprendeva nel suo seno il millantato credito, tanto è vero che fu abrogato dall’art. 1, lett. s, della l. 9 gennaio 2019, n. 3. Attualmente, invece, il legislatore della riforma Nordio ha di nuovo modificato il delitto di traffico di influenze illecite, non solo perché si è innalzato il limite minimo di pena, ma soprattutto in quanto viene ristretta la sua area di applicazione alle sole ipotesi di sfruttamento di relazioni esistenti e non, quindi, soltanto vantate. Tale modifica pone però un ulteriore problema, ovverosia quello dell’opportunità di reintrodurre come delitto anche il millantato credito come reato di frode, in quanto la parte fraudolenta è stata definitivamente cassata dal traffico di influenze illecite. D’altro canto, l’attuale legislatore non è nuovo nel “far risorgere” dalle ceneri fattispecie criminose già abolite da tempo, come dimostra il caso del “redivivo” peculato per distrazione, e d’altro canto, laddove non fosse reintrodotto il millantato credito, rischierebbe di verificarsi un nuovo vuoto di tutela proprio in rapporto a condotte assai pericolose, come quelle, appunto, connotate dall’elemento fraudolento che, infatti, ha sempre caratterizzato il millantato credito fin che è rimasto in vigore.
7. In conclusione, dal decreto legge n. 92 del 2024, nonché dal d.d.l. n. 808 del 2024, ormai definitivamente approvato dai due rami del Parlamento, ma non ancora promulgato, né pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, abbiamo potuto verificare con mano l’esistenza di un legislatore fortemente discutibile, che ha notevolmente indebolito, anche contro la normativa costituzionale e comunitaria, il settore dei delitti dei p.u. contro la P.A., rischiando così di far subire al nostro Paese un procedimento di infrazione a livello europeo.
D’altro canto, ciò costituisce l’ennesima riprova del c.d. populismo penale, che si caratterizza, come appare ormai evidente, per essere “debole con i forti e forte con i deboli”[29].
[1] Tanto ciò è vero che l’avv. Rosanna Natoli, membro laico del CSM, risulta attualmente indagata dalla Procura di Roma, che l’ha invitata a presentarsi per rispondere, dinanzi al Procuratore Aggiunto, cons. Paolo Ielo, dei delitti di rivelazione di segreti d’ufficio e, appunto, anche di abuso d’ufficio: cfr. CERAMI G., “Rivelò i segreti del CSM”. Indagata la consigliera amica di La Russa, in La Repubblica, 30 luglio 2024, 11; nonché MUSCO S., Abuso d’ufficio. Il reato moribondo contestato alla laica CSM, in Il Dubbio, 31.7.2024.
[2] BRICOLA F., voce Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. It., XIX, 1973, 7 ss. e, quivi, 41, nonché ID., Sub Art. 25, 2° e 3° comma, in Commentario della Costituzione a cura di G. BRANCA, Art. 24-26, Rapporti civili, Bologna, 1981, 227 ss. e quivi 248; e già ID., Legalità e crisi: l’art. 25, commi 2° e 3°, della Costituzione rivisitato alla fine degli anni ’70, in Quest. Crim., 1980, 179 ss., e pure in ID., Scritti di diritto penale, I, tomo 2, Milano, 1997, 1273 ss.
[3] GATTA G.L., Morte dell’abuso d’ufficio, recupero in zona Cesarini del “peculato per distrazione” (art. 314-bis c.p.) e obblighi (non pienamente soddisfatti) di attuazione della Direttiva UE 2017/1371, in questa Rivista, 10 luglio 2024.
[4] GATTA G.L., La legge Nordio e il “soffocamento applicativo” del traffico di influenze illecite. Tra parziale abolitio criminis e profili di illegittimità costituzionale per violazione di obblighi internazionali, in questa Rivista, 16 luglio 2024.
[5] TITO C., L’UE boccia l’Italia, in La Repubblica, 24 luglio 2024, spec. 3.
[6] Sia consentito, in argomento, il rinvio a MANNA A., L’abolizione dell’abuso d’ufficio: “cronaca di una morte annunciata?”, in disCrimen, 7.7.2023, nonché, già più ampiamente, PADOVANI T., Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in Giurisprudenza penale, 28.7.2020.
[7] In argomento, per tutti e comunque mostrandosi più favorevole alla tesi conforme al principio di offensività, BRICOLA F., voce Interesse privato in atti d’ufficio, in Enc. Dir., XXII, Milano 1972, 47 ss.; nonché sull’originaria formulazione dell’abuso d’ufficio cfr. anche ID., In tema di legittimità costituzionale dell’art. 323 c.p., in RIDPP, 1966, 984 ss., nonché in ID., Scritti di diritto penale, etc. cit., II, I, Milano, 1997, rispettivamente 2455 ss. e 2245 ss.
[8] Sulla riforma del ’90, cfr. MERLO A., L’abuso d’ufficio tra legge e giudice, Torino, 2019, 6 ss.; PELISSERO M., L’instabilità dell’abuso d’ufficio e la lotta di Sumo, in DPP, 2023, 613 ss.
[9] Circa il testo della Relazione presentata al Ministro, cfr. D’AVIRRO A., L’abuso d’ufficio – Le legge di riforma 16 luglio 1997 n. 234, II, Milano, 1997, 147 ss.
[10] “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, esercitando ovvero omettendo di esercitare in maniera arbitraria e strumentale i poteri inerenti alle funzioni ed al servizio, arreca intenzionalmente ad altri un danno che sa essere ingiusto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 20 milioni”.
[11] “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, esercitando ovvero omettendo di esercitare in maniera arbitraria e strumentale i poteri inerenti alle funzioni e al servizio, al fine di favorire taluno gli procura un vantaggio patrimoniale che sa essere ingiusto, è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione da 1 a 5 anni”.
[12] “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, esercitando ovvero omettendo di esercitare in maniera arbitraria e strumentale i poteri inerenti alle funzioni e al servizio, si procura intenzionalmente un vantaggio patrimoniale che sa essere ingiusto, è punito, se il fatto non costituisce reato più grave, con la reclusione da 2 anni a 5 anni”.
[13] Cass. Sez. II, 4 dicembre 1997, ric. Tosches, in Cass. pen., 1998, 2332, con nota critica di GAMBARDELLA M., Considerazioni sulla “violazione di norme di legge” nel nuovo delitto di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), in ibid, 2335 ss.
[14] Cass., Sez. VI, 25 settembre 2002, ric. Marcello, in Foro it., 2003, II, 483 ss., con nota parzialmente critica di TESAURO A., I rapporti tra art. 323 c.p. e art. 97 Cost. tra disposizioni programmatiche e norme precettive.
[15] Cfr. in argomento, in particolare, GIUNTA F., La scomparsa dell’abuso d’ufficio e il ritorno del peculato per distrazione, in PQM, Il Riformista, 20 luglio 2024.
[16] SPANGHER G., È stato definitivamente approvato il DDL Nordio, in Iuspenale, (Il penalista), 15 luglio 2024; nonché, seppur parzialmente, D’AVIRRO A., Indebita destinazione di denaro o di altra cosa mobile: la parziale rinascita dell’abuso d’ufficio, in ibid, 11 luglio 2024; RAMPIONI R., Il lamento funebre, le prefiche e l’abrogazione del delitto d’abuso di ufficio, in www.dirittodidifesa.eu, 23 luglio 2024.
[17] SANTALUCIA G., in Il Dubbio, 17.7.2024 in risposta a Spangher; nonché, in particolare, GATTA G.L., Morte dell’abuso d’ufficio, etc. cit.; ID., La legge Nordio e il “soffocamento applicativo”, etc., loc. ult. cit.; DONINI M., Abrogare i reati per risolvere i problemi del processo. Dal falso in bilancio all’abuso d’ufficio, in questa Rivista, 15.7.2024; CARIOLA A., Abuso d’ufficio e conflitto d’interessi: un’esercitazione su norme obbligatorie e merito costituzionale, in ibid, 25 luglio 2024.
[18] In argomento, in senso però giustamente critico, MICHELETTI D., La “distrazione” gioca brutti scherzi sulle ricadute intertemporali del nuovo art. 314 bis c.p., in disCrimen, 8 luglio 2024.
[19] GAMBARDELLA M., Peculato, abuso d’ufficio e nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” (art. 314-bis c.p.). I riflessi intertemporali del decreto-legge n. 92/2024, in questa Rivista, 17 luglio 2024.
[20] Ex art. 23 d.l. 16.7.2020 n. 26, convertito nella l. 11.9.2020 n. 120.
[21] Sia consentito in argomento il rinvio a MANNA A., Medicina difensiva e diritto penale. Tra legalità e tutela della salute, Pisa, 2014.
[22] Per tali ultime notazioni anche in tema di medicina difensiva sia di nuovo consentito il rinvio a MANNA A., Il diritto penale a “due velocità”, in Diritto penale della globalizzazione, 2024, 131 ss.
[23] Sia consentito in argomento, per maggiori delucidazioni, il rinvio a MANNA A., Abuso d’ufficio e conflitto d’interessi nel sistema penale, Torino, 2004, spec. 27 ss.
[24] In argomento, già FOFFANI L., Infedeltà patrimoniale e conflitto d’interessi nella gestione dell’impresa, Milano, 1997, nonché, successivamente, ID., Le infedeltà, in ALESSANDRI A. (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, 345 ss.; nel medesimo senso MASULLO M.N., Sub art. 2634, in PADOVANI T. (a cura di), Le fonti del diritto italiano, Milano, 2007, 2458 ss.; nonché, anche per un’esaustiva descrizione delle precedenti tappe normative, cfr. MEZZETTI E., L’infedeltà patrimoniale nella nuova dimensione del diritto penale societario, in RIDPP, 2004, 193 ss.; MUSCO E., I nuovi reati societari, 3ᵃ, Milano, 2007, 202 ss.
[25] A questo proposito si sostiene che, all’interno del c.d. circolo ermeneutico, la norma scritta, attraverso la mediazione del giudice, dovrebbe adattarsi al fatto in concreto verificatosi e che in questa operazione circolare da cui dal caso concreto si risale alla norma generale ed astratta ed al suo significato ultimo, non mancherebbe, per l’appunto, l’apporto creativo, seppure in senso lato, della giurisprudenza nello stabilire l’ambito di applicazione della norma: cfr., in tal senso, FIANDACA G., Prima lezione di diritto penale, Bari-Roma, 2017, spec. 114 ss. Questa teoria nasconde, però, una sorta di inversione metodologica, giacché è la fattispecie concreta che deve essere sussunta nella fattispecie astratta e non già il contrario: v. in tale ultimo senso, ENGISCH K., Introduzione al pensiero giuridico, Milano, 1970; nonché sia consentito il rinvio anche a MANNA A. - SERENI A., Diritto penale. Parte generale. Teoria e prassi, Milano, 2024, 83 ss.
[26] In argomento, cfr. in particolare il pregevole saggio di SEMINARA S., Sui possibili significati del nuovo art. 314-bis c.p., in questa Rivista, 19 luglio 2024.
[27] In argomento, per tutti, VIGANÒ F., La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, 2021.
[28] Per tutti MONGILLO V., Splendore e morte del traffico di influenze illecite. Dalle Sezioni Unite alla riforma Nordio, in questa Rivista, 22 marzo 2024, cui si rinvia non solo per un approfondito esame dell’intervento delle Sezioni Unite penali del 29 febbraio 2024, ma anche per gli ulteriori e numerosi riferimenti bibliografici.
[29] Sia consentito in argomento il rinvio a MANNA A., Il diritto penale a due velocità, etc. cit., 131 ss.