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11 Dicembre 2024


Abuso d’ufficio: dal Tribunale di Teramo l’ennesima questione di legittimità costituzionale. Prospettata la tesi dell’obbligo (anche implicito) di incriminazione in Costituzione (art. 28 Cost.)

Trib. Teramo, ord. 22.11.2024, Pres. Di Valerio, Est. Ursini



1. Segnaliamo ai lettori l’ordinanza con la quale il Tribunale di Teramo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. b) della L. 9 agosto 2024, n. 114, nella parte in cui ha abrogato l'art. 323 c.p.

Si tratta della settima rimessione in ordine di tempo, successiva a tre diverse ordinanze del giudice fiorentino (clicca qui, qui e qui), e di quelle del Tribunale di Locri, Busto Arsizio e Bolzano. Pur presentando argomentazioni in parte comuni alle altre ordinanze, per le quali si rinvia ai precedenti commenti, il provvedimento se ne discosta per alcune considerazioni innovative, su cui merita di essere riposta l’attenzione.

 

2. In punto ammissibilità, accanto agli obblighi d’incriminazione internazionali rilevanti ex art. 117, comma 1, Cost. – che il rimettente richiama al pari di quanto avvenuto in tutte le precedenti ordinanze – il Tribunale di Teramo ritiene che sia anche l'art. 28 Cost., nella parte in cui dispone che «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti» a giustificare l’intervento della Corte nel caso di specie.

Lungi dal rappresentare solo l’ovvia affermazione della responsabilità del pubblico ufficiale che agisca in violazione di leggi penali, il rimettente ritiene infatti che l’art. 28 Cost. sia «espressione della necessità di una soglia di tutela penale minima di fatti realizzati da dipendenti pubblici che ledono o espongono a pericolo i diritti dei cittadini». Nella misura in cui «lascia sfornita di tutela un'ampia gamma di circostanze concrete in cui la condotta dell'agente pubblico lede […] diritti fondamentali del cittadino», l’abrogazione dell’art. 323 c.p. evidenzia dunque un contrasto con l’art. 28 Cost., richiedendo l’intervento del giudice delle leggi.

 

2.1. Al di là del richiamo esplicito all’art. 28 Cost., del resto, sarebbe anche la sussistenza di obblighi impliciti di criminalizzazione, operanti a favore di beni giuridici ulteriori rispetto alla sola incolumità psico-fisica di coloro che siano sottoposti a misure restrittive della libertà personale ex art. 13 Cost., a giustificare l'intervento in malam partem della Corte: «contrariamente opinando, si finirebbe per lasciare sguarnita di tutela un’ampia platea di interessi protetti a livello costituzionale e consacrati negli artt. 1, 3, 54, comma primo, 97 e 98, comma primo, Cost.».

 

3. Di qui l’ipotizzabilità di una «nuova frontiera del sindacato della Corte costituzionale sulle norme penali favorevoli», destinata ad aggiungersi e ad arricchire le ipotesi precedentemente riconosciute dalla stessa giurisprudenza della Consulta, nei casi di intervento su leggi penali c.d. di favore (sent. n. 394 del 2006; anche laddove l’effetto in malam costituisca «mera conseguenza indiretta della reductio ad legitimitatem di una norma processuale» che crea una deroga ingiustificata di disciplina: sent. n. 236 del 2018), nonché nelle ipotesi di scorretto esercizio di potere legislativo (sentt. n. 5, 32 e 46 del 2014) e di violazione di obblighi internazionali di criminalizzazione rilevanti ex artt. 11 o 117 Cost. (sent. n. 28 del 2010).

 

3.1. Proprio a partire dal raffronto con l’area di intervento pacificamente riconosciuta alla Corte in presenza di una violazione di obblighi internazionali, che pur conoscono il limite della compatibilità a Costituzione – quantomeno nella forma dei c.d. controlimiti –, il rimettente trae un argomento ulteriore a favore della propria ricostruzione: come si legge nell’ordinanza, «ammettere che le norme di diritto internazionale convenzionale debbano essere rispettose di tutta l’architettura costituzionale, fino a consentire alla stessa Corte di sindacarne la loro tenuta costituzionale, e contestualmente ammettere che l’obbligo internazionale di criminalizzazione di determinate condotte consenta di derogare all'art. 25, comma secondo, Cost. rappresenta ancora di più la plastica evidenza di come quest'ultimo principio, caposaldo del diritto penale democratico, ben possa essere bilanciato con altri rilevanti principi costituzionali al ricorrere, come nel caso di specie, di circostanze che impongano alla Corte di evitare che il Parlamento, attraverso la riserva di legge, possa intervenire senza alcun limite e sindacato con norme penali favorevoli».

 

4. Si apre così un ulteriore ed innovativo fronte di riflessione che, in aggiunta alle altre argomentazioni spese in questa e nelle precedenti ordinanze in merito alla ritenuta violazione di un obbligo di stand still internazionale e alla possibile lacuna nella tutela del buon andamento e dell’imparzialità della p.a., chiama in causa la delicata questione dell’ampiezza dei poteri di intervento riconosciuti alla Corte costituzionale, dell’esistenza di obblighi costituzionali – anche impliciti – di incriminazione e dei rapporti con il principio di riserva di legge, di cui all’art. 25, comma 2, Cost.: tutti profili su cui si attende ora una risposta dalla Consulta.