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17 Luglio 2024


Peculato, abuso d’ufficio e nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” (art. 314-bis c.p.). I riflessi intertemporali del decreto-legge n. 92/2024


Testo dell’audizione svolta presso la Commissione Giustizia del Senato della Repubblica (10.7.2024), nell’ambito dell’esame del disegno di legge n. 1183 “Conversione in legge del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, recante misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del ministero della giustizia”.

***

1. Il mio intervento è circoscritto al tentativo di comprendere quali possano essere le ricadute sul piano giuridico, e in particolare su quello intertemporale, collegate all’introduzione nel codice penale del nuovo art. 314-bis c.p. Per mezzo dell’art. 9, comma 1, d.l. n. 92/2024 (perlopiù incentrato sulla diversa materia penitenziaria), il legislatore ha inserito nel nostro ordinamento penale l’inedito e autonomo delitto intitolato “indebita destinazione di denaro o cose mobili”.

La straordinaria necessità e urgenza dell’inserimento del nuovo delitto di indebita destinazione di beni altrui ad opera dell’agente pubblico è motivata nel preambolo del decreto legge n. 92/2024 dagli obblighi eurounitari. Ora, come chiarito in dottrina, l’art. 4, comma 3, della Direttiva UE 2017/1371 (5 luglio 2017) vincola il legislatore anche italiano a criminalizzare la condotta dell’appropriazione indebita del funzionario pubblico (nazionale o della UE) che leda gli interessi finanziari dell’Unione[1].

Obbligo di incriminazione europeo soddisfatto attraverso l’art. 323 c.p. in corso però di abrogazione, come risultava anche dall’inserimento del riferimento all’art. 323 c.p. nell’art. 322-bis c.p. (d.lgs. n. 75/2020), che estende alcuni gravi reati contro la P.A. ai pubblici funzionari internazionali ed europei. Ecco perché il comma 2 dell’art. 9 d.l. n. 92/2024 in esame aggiunge al catalogo dei delitti contro la p.a previsti dall’art. 322-bis c.p. altresì il nuovo art. 314-bis c.p.: in pratica in sostituzione dell’art. 323 c.p.[2].

Tornando ai riflessi intertemporali della riforma, non può separarsi la presente vicenda da quella – quasi contestuale sul piano cronologico – dell’abrogazione secca e totale del delitto di abuso di ufficio. E ciò perché il legislatore – nella prima delle grandi riforme in tema di delitti contro la pubblica amministrazione nel 1990 (l. n. 86/1990) – aveva, da un lato, formalmente eliminato dal testo del peculato comune ex art. 314 c.p. la sottofattispecie della distrazione a profitto proprio o altrui di denaro o cosa mobile appartenente alla pubblica amministrazione; dall’altro lato (contemporaneamente) riformulato l’abuso di ufficio per far confluire almeno una parte di tali condotte nella nuova versione dell’art. 323 c.p.[3].

Da notare che l’entrata in vigore dell’art. 314-bis c.p. è antecedente all’abrogazione del delitto di abuso d’ufficio. E dunque per un breve lasso di tempo abbiamo avuto una coesistenza nel sistema penale delle due norme incriminatrici, con la difficoltà – almeno potenziale – di dover giudicare dei fatti concreti commessi durante la vigenza di entrambe le figure delittuose.

Di tutto questo ha sicuramente tenuto conto il legislatore del d.l. n. 92/2024, come è evidente esaminando la formulazione del delitto di nuovo conio. L’enunciato dell’art. 314-bis c.p. sembra infatti dar luogo a un “reato composto”: per la prima porzione ricalca il delitto di peculato comune (art. 314, comma 1, c.p.), mentre nella seconda parte quello di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.).

Ecco perché la comprensione degli effetti dell’inserimento del nuovo delitto non può prescindere dal modo in cui il “diritto vivente”, la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, ha in questi anni regolato i rapporti tra i delitti di peculato e quello di abuso d’ufficio in relazione alle condotte distrattive o di indebita (illegittima) destinazione poste in essere da un pubblico agente.

L’analisi in questione non può inoltre non tener conto della diversa gravità dei comportamenti umani, la quale ha trovato spazio nella disuguale configurazione della cornice edittale del delitto di peculato (da 4 a 10 anni e 6 mesi di reclusione) rispetto a quella dell’abuso di ufficio (da 1 a 4 anni di reclusione).

 

2. Ebbene, la cancellazione con la riforma del 1990 del frammento linguistico riguardante la distrazione (a profitto proprio o altrui) non ha di certo espunto dall’ambito applicativo del delitto di peculato la sottofattispecie “distrattiva”, poiché tale modifica ha inevitabilmente comportato la naturale riespansione della sottofattispecie “appropriativa”.

D’altronde nel delitto di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) il significato del concetto di appropriazione è comprensivo di ogni comportamento del soggetto uti dominus, e quindi anche della deviazione della cosa verso una finalità incompatibile con quella del titolo possessorio (nel nostro caso: la ragione dell’ufficio o servizio)[4]. Nei reati di bancarotta inoltre la condotta “più tipica” è quella di “distrazione”: nessuno ha mai pensato che distrazione non volesse dire anche “appropriazione”; distrazione nella bancarotta significa appunto anche appropriazione.

In tal senso, nella giurisprudenza di legittimità si è affermato che, nel delitto di peculato, il concetto di “appropriazione” comprende anche la condotta di “distrazione”, in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene. Ad esempio, si è reputato ancora integrare il peculato ex art. 314 c.p. la condotta distrattiva di un agente pubblico che invece di investire le risorse di cui aveva la disponibilità per le finalità pubbliche istituzionalmente previste, le aveva impiegate per acquistare quote di fondi speculativi[5]

In questi anni dopo la riforma del ‘90, si è comunque individuato anche un limitato spazio di collocazione all’interno del perimetro applicativo dell’art. 323 c.p. delle condotte distrattive, ossia di indebita destinazione di beni o energie fisiche commesse dai pubblici agenti. E nel trovare tali spazi, la giurisprudenza ha tenuto conto – come accennato – anche della più blanda risposta sanzionatoria collegata all’abuso di ufficio (il massimo edittale dell’art. 323 c.p. corrisponde al minimo edittale del peculato).

Ma quali comportamenti distrattivi dei pubblici agenti sono stati dislocati dal “diritto vivente” all’interno del campo operativo del delitto di abuso d’ufficio?

Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi sussistere il delitto di abuso d’ufficio in presenza di una condotta distrattiva a profitto proprio la quale si concretizza in un uso indebito del bene, che non ne comporti tuttavia la perdita e la conseguente lesione patrimoniale dell’ente cui appartiene[6].

Ad avviso di un ulteriore e omogeneo indirizzo giurisprudenziale, il confine tra peculato e abuso d’ufficio è tracciato, con riferimento alle condotte distrattive, dalla natura delle finalità cui è destinato il denaro o la cosa mobile altrui. La destinazione a una finalità diversa da quella predeterminata, ma pur sempre di interesse pubblico e non connotata da profili di illiceità è riconducibile all’ipotesi di abuso di ufficio, in quanto comunque si tratta di finalità non completamente “privatistiche”; e quindi in tali casi il delitto di peculato non può configurarsi giacché viene meno l'elemento tipico dell'appropriazione dei beni[7].

La Corte di cassazione a Sezioni unite “Vattani”[8] ha affermato che l’eliminazione della parola distrazione dal testo dell’art. 314 c.p. non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall'agente pubblico nell'area di rilevanza penale dell'abuso d'ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. Viceversa, la condotta distrattiva può rilevare come abuso d'ufficio nei soli casi in cui la destinazione del bene mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla pubblica amministrazione: in particolare, la Corte chiarisce che il discrimine tra peculato per distrazione e abuso di ufficio risiede nella circostanza che si riscontri o meno, nel fatto concreto, una totale cesura del legame funzionale tra il bene e la pubblica amministrazione conseguente alla distrazione del bene dalla sua originaria destinazione.

Tale orientamento è stato di recente ribadito: si è specificato che l'utilizzo per finalità esclusivamente personali ed estranee a quelle istituzionali di denaro pubblico determina la “distrazione” dello stesso; mentre il reato non è ravvisabile nei casi in cui l'interesse privato dell'agente e quello istituzionale dell'ente siano sincroni e sovrapponibili, non risultando in alcun modo contrastanti[9].

 

3. Abbiamo visto come alla luce del diritto vivente le più gravi condotte distrattive, anche dopo la riforma del 1990, sono state fatte rientrare dalla giurisprudenza di legittimità all’interno del peculato ex art. 314 c.p.

Tali condotte distrattive permarranno ancora nel perimetro applicativo del peculato comune, nonostante l’introduzione nel codice penale della nuova figura di reato dell’indebita destinazione di denaro o cosa mobile altrui (art. 314-bis c.p.). Si pensi, ad esempio, alle vicende legate alla distrazione delle somme percepite quali contributi dai gruppi consiliari regionali, nelle quali si è esclusa la legittimità dell'impiego di fondi pubblici in relazione a spese non giustificate o rispetto alle quali siano prodotti scontrini o fatture privi di giustificazione o recanti indicazioni talmente generiche da impedire la verifica della loro riconducibilità all'attività istituzionale (quali scontrini di acquisto di beni, titoli di viaggio o ricevute di consumazioni presso bar e ristoranti senza alcuna menzione dell'identità degli ospiti o dell'occasione)[10].

Si pensi ancora alle tormentate vicende relative alla mancata giustificazione contabile delle spese di rappresentanza.

Secondo la giurisprudenza, ai fini della configurabilità del reato di peculato possono considerarsi "spese di rappresentanza" solo quelle che soddisfino il duplice requisito di essere destinate alla realizzazione di un fine istituzionale dell'ente che le sostiene e di essere funzionali a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico, al fine di accrescere il prestigio della sua immagine e la diffusione delle relative attività istituzionali[11].

Anche se la giurisprudenza ha chiarito nell’importante caso riguardante l’ex Sindaco di Roma che non è configurabile il delitto di peculato nel caso di inadeguatezza o incompletezza dei giustificativi contabili relativi a spese di rappresentanza del Comune, che non permettano di riferire gli esborsi a finalità istituzionali dell'ente, gravando sull'accusa l'onere della prova dell'appropriazione del denaro pubblico e della sua destinazione a finalità privatistiche[12].

Questa conclusione è oggi convalidata in ragione dell’inserimento nell’incipit dell’art. 314-bis c.p. della clausola “fuori dai casi previsti dall’articolo 314”. Una clausola di sussidiarietà che rende appunto la nuova disposizione “sussidiaria” rispetto alla figura “principale” dell’art. 314 c.p. E pertanto qualora il comportamento storico sia sussumibile in entrambe le norme incriminatrici, si applicherà soltanto il peculato comune ex art. 314 c.p. quale norma principale, evitando così il concorso formale eterogeneo fra le due ipotesi di reato.

Le condotte distrattive sussunte sotto il delitto di abuso di ufficio dopo la sua abrogazione definitiva saranno:

(i) soltanto “in parte” riconducibili nel nuovo delitto di indebita destinazione di denaro o cose (art. 314-bis c.p.);

(ii) soltanto “per il futuro” rileveranno penalmente alla stregua della ipotesi criminosa di nuovo conio, ossia per le condotte distrattive concretamente commesse dopo il 5 luglio 2024.

(i) Ma perché i fatti di distrazione ricondotti all’art. 323 c.p. dal 1990 in poi saranno solo “in parte” inquadrabili oggi nel nuovo peculato per indebita destinazione?

La risposta a tale domanda è semplice: in quanto alcune classi di condotte a seguito dell’abrogazione dell’art. 323 c.p. saranno definitivamente e completamente “abolite” (e dunque non riconducibili nemmeno all’art. 314 c.p.)[13].

Si pensi alla distrazione delle “energie umane lavorative”.

La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che integra il delitto di abuso di ufficio e non quello di peculato o di peculato d’uso la condotta del pubblico ufficiale che si avvalga arbitrariamente, per finalità esclusivamente private, delle prestazioni lavorative dei dipendenti di un ente pubblico, atteso che le energie umane, non essendo cose mobili, non sono suscettibili di appropriazione. Ed invero il peculato, in tutte le sue forme, presuppone comunque l'appropriarsi da parte dell'agente di una cosa, che viene destinata ad una finalità diversa da quella prevista dalla legge, mentre non è concepibile l'appropriarsi di una persona o della sua energia lavorativa[14].

Si pensi ancora alle ipotesi in cui le condotte distrattive siano poste in essere in violazione di disposizioni regolamentari o circolari (e non già di disposizioni di legge o aventi forza di legge, come richiede oggi il testo dell’art. 314-bis c.p.), nonché alle condotte distrattive realizzate all’interno dell’azione discrezionale della pubblica amministrazione. Ad esempio, l’uso dell’automobile di servizio per finalità non strettamente istituzionali o scopi estranei ai compiti d’istituto, disciplinato da fonti secondarie, è stato talvolta fatto rientrare nel delitto di abuso d’ufficio[15].

Per tali vicende (la distrazione delle prestazioni lavorative dei dipendenti, le distrazioni compiute in violazione di fonti norme secondarie, le distrazioni nell’agire discrezionale dell’agente pubblico) non solo per il futuro non vi sarà alcun presidio penale, ma dovrà anche essere disposta l’archiviazione (art. 411 c.p.p.) o pronunciata una sentenza ex art. 129 c.p.p. di immediato proscioglimento se il procedimento/processo è in corso, mentre le condanne definitive per abuso d’ufficio dovranno essere revocate dal giudice dell’esecuzione ex art. 673 c.p.p. per intervenuta abolitio criminis (art. 2, comma 2, c.p.); in tutte le ipotesi perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

(ii) Le condotte distrattive tipizzate all’interno dell’art. 314-bis c.p. renderanno penalmente rilevanti soltanto i “fatti futuri”, ossia le condotte del pubblico agente tenute successivamente all’entrata in vigore del nuovo delitto di indebita destinazione di beni.

I comportamenti distrattivi degli agenti pubblici ricondotti all’abuso d’ufficio e già giudicati definitivamente, se conclusi con una sentenza di condanna, vedranno queste ultime revocate dal giudice dell’esecuzione ex art. 673 c.p.p. per intervenuta abolitio criminis (art. 2, comma 2, c.p.).

Non siamo infatti qui in presenza di una ipotesi inquadrabile nel fenomeno di abrogatio sine abolitione. Non si configura invero una espressa abrogazione di una disposizione, con la simultanea introduzione da parte del legislatore di un'altra disposizione, la quale ricomprende le tipologie di fatti prima punibili attraverso la disposizione eliminata. Non vi è la persistente illiceità penale di tutte o soltanto alcune delle tipologie di condotte prima punite dalla previgente disposizione[16].

Tale schema successorio non opera allorché manchi una relazione di specialità (unilaterale) tra due norme incriminatrici. La mancanza della relazione normativa di genere a specie fra l’abrogato art. 323 c.p. e il nuovo art. 314-bis c.p. (strutturalmente eterogenei fra loro) impedisce così di ravvisare gli estremi della continuità normativa che, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p. consente al giudice di riqualificare i fatti, già integranti gli estremi di una norma speciale oramai abolita, ai sensi di altra norma generale applicabile. Siamo al cospetto di un caso di discontinuità normativa: con l’abrogazione dell’abuso di ufficio non si riespande il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili altrui.

Come riaffermato anche di recente dalle Sezioni unite penali “Mazzarella” (in tema di traffico di influenze illecite e truffa), non è pertanto riconducibile nell'ambito della previsione di cui al comma 4 dell'art. 2 c.p., il caso della applicazione di una norma riguardante una ipotesi di reato strutturalmente diversa da quella abrogata: situazione nella quale opera certamente il disposto del secondo comma dell'art. 2 c.p., quanto alla fattispecie soppressa, non trovando la medesima, nel suo aspetto strutturale essenziale, riscontro in altra norma dell'ordinamento[17].

 

4. In definitiva la scelta del legislatore del decreto-legge n. 92/2024, con l’inserimento di una inedita figura di reato dislocata in un articolo di nuovo conio (art. 314-bis c.p.), potrebbe comportare notevoli rischi di tenuta del microsistema dei delitti di peculato in senso ampio (ad esempio: peculato comune, peculato d’uso, peculato per distrazione, peculato mediante profitto dell’errore altrui, peculato del pubblico agente internazionale, malversazione di erogazioni pubbliche, indebita percezione di erogazioni pubbliche, abuso d’ufficio).

Uno dei rischi principali di tale opzione legislativa sembra essere quello di veder inquadrate, da parte della giurisprudenza, nel futuro non molto prossimo, le condotte più gravi di peculato distrattivo all’interno della fattispecie appartenente al microsistema di peculato punita in modo più blando (art. 314-bis c.p.: da 6 mesi a 3 anni di reclusione).

Occorre evitare di incorrere nelle stesse difficoltà postesi nel recente passato in tema di corruzione. Si vuole alludere a quanto avvenuto quando alcune delle ipotesi più gravi di comportamenti illegali nell’azione amministrativa – come quello relativo alla stabile e duratura messa a libro paga del pubblico funzionario – sono transitate in giurisprudenza dalla fattispecie di corruzione propria ex art. 319 c.p. nella riformulata previsione dell’art. 318 c.p. denominata corruzione funzionale: quest’ultima è la forma meno grave di corruzione dal punto di vista della comminatoria edittale. E ciò perché il legislatore delineò il fatto tipico dell’art. 318 c.p. prescindendo dall’individuazione dell’atto d’ufficio, rendendola così più aderente a punire le vicende di corruzione “smaterializzata”, a prescindere cioè dalla individuazione del preciso provvedimento amministrativo oggetto del pactum sceleris. Non vorrei che l’art. 314-bis c.p. andasse a punire quelle ipotesi gravissime in cui l'agente pubblico distrae (sottraendoli) fondi, energie, beni e li destini a finalità che non sono quelle della pubblica amministrazione.

Al contrario, altro pesante rischio per il sistema è quello che la giurisprudenza (nel futuro) includa invece nella più afflittiva forma di peculato ex comma 1 dell’art. 314 c.p. i meno offensivi comportamenti distrattivi dei pubblici agenti, non trovando più gli stessi una fattispecie incriminatrice – quale l’abuso d’ufficio – in cui essere sussunti e non potendo essere ricondotti neppure al nuovo delitto di “indebita destinazione di denaro o cose mobili” per l’evidente mancanza di “tipicità” delle condotte concrete poste in essere.

Una diversa soluzione per cercare di limitare al massimo gli effetti abolitivi della riforma, di rispettare gli obblighi di criminalizzazione eurounitari e soprattutto al fine del necessario rispetto dei principi di proporzione, offensività, extrema ratio, nonché della “coerenza” del sottosistema dei delitti di peculato, potrebbe risiedere nell’inserimento di un terzo comma nell’art. 314 c.p. configurato nel rispetto del diritto vivente e secondo le seguenti linee direttrici.

Una autonoma figura delittuosa che segua, all’interno dell’art. 314 c.p., le autonome ipotesi del peculato comune e del peculato d’uso, la quale anzitutto si emancipi dall’abuso d’ufficio; che non ne ricalchi quindi (nemmeno in parte) l’enunciato legislativo dell’art. 323 c.p., come fa l’art. 314-bis c.p.

Si schiverebbero inoltre le lacune e gli errori dovuti ai necessari coordinamenti normativi, sempre difficili da individuare a priori. Come si è notato, il legislatore del decreto-legge n. 92/2024 ha quantomeno dimenticato di inserire il richiamo all’art. 314-bis c.p. nelle disposizioni relative alla riparazione pecuniaria (art. 322-quater c.p.) e alle circostanze attenuanti (art. 323-bis c.p.)[18].

Inserendo la fattispecie di peculato per distrazione in un nuovo terzo comma, invece, non vi sarebbero grandi problemi di coordinamento poiché la stessa starebbe pur sempre all’interno dell’art. 314 c.p.: disposizione già richiamata ad esempio negli artt. 322-bis e 323-bis c.p.

È necessario tuttavia estendere alla nuova figura di reato la disciplina della responsabilità da reato degli enti (art. 25, comma 1, d.lgs. n. 231/2001) quando il fatto lede gli interessi finanziari della UE. Il citato art. 25 fa riferimento soltanto al comma 1 dell’art. 314 c.p.

Quanto al contenuto della disposizione si suggerisce quanto segue.

(a) La fattispecie legale (astratta) dovrebbe iniziare con la medesima clausola di sussidiarietà dell’art. 314-bis c.p.: “fuori dai casi previsti dal primo comma” (dell’art. 314 c.p.). Per configurare la fattispecie di “peculato per distrazione”, senza incertezze, in chiave di sussidiarietà rispetto al peculato comune.

(b) Nel fatto tipico occorrerebbe eliminare ogni riferimento alla necessaria destinazione indebita rispetto al solo parametro della “specifica disposizione di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità”.

E questo per due ragioni: (i) far rimanere penalmente rilevanti i comportamenti distrattivi meno gravi collegati alle deviazioni rispetto a quanto previsto da regolamenti e circolari: condotte distrattive la cui tipicità è necessariamente congiunta al contrasto della condotta dell’agente pubblico con norme di rango inferiore alla legge; (ii) far rimanere penalmente rilevanti le ipotesi di condotte distrattive realizzate dall’agente pubblico all’interno dell’azione discrezionale della pubblica amministrazione. Va aggiunto, per inciso, che quando si fa riferimento all’azione vincolata della pubblica amministrazione (senza margini di discrezionalità) in realtà si fa riferimento a un'azione dove non è presente un potere pubblico; e non essendoci un pubblico potere, sembrerebbe difficilmente qualificabile un agente come pubblico: gli artt. 357 e 358 c.p. fanno riferimento, come noto, a una “concezione funzionale-oggettiva” e non già alla sussistenza di un contratto di lavoro con una pubblica amministrazione. Bisogna esercitare i poteri pubblici e quando l'azione della P.A. è vincolata non ci sono poteri pubblici, secondo anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato.

(c) Occorrerebbe evitare di connotare il dolo (“intenzionalmente”), escludendo dall’ambito applicativo della incriminazione le forme dello stesso (diretto, eventuale) che non siano quelle dell’intenzionalità.

(d) Sarebbe necessario eliminare il riferimento alla sola detenzione di “denaro o cose mobili altrui”, che circoscrive eccessivamente la tipicità del peculato per distrazione. Ciò permetterebbe di mantenere la rilevanza penale dello sviamento da parte dell’agente pubblico delle energie lavorative altrui, e di non escludere anche i beni immobili dall’ambito applicativo.

(e) Bisognerebbe prevedere altresì la medesima cornice edittale del delitto di abuso d’ufficio, ossia la reclusione da 1 a 4 anni; e non quella stabilita ora per il nuovo art. 314-bis c.p. (da 6 mesi a 3 anni di reclusione), coincidente con la comminatoria edittale dell’autonomo delitto di peculato d’uso di minor disvalore rispetto alle condotte distrattive, perché contrassegnato dallo scopo dell’uso momentaneo. Una cornice editale così blanda (da 6 mesi a 3 anni di reclusione) risulterebbe altrimenti indiziata di incostituzionalità perché sproporzionata, essendo identica a quella prevista per il peculato d'uso, che è una forma molto meno grave di reato del peculato per distrazione. Com'è possibile che il peculato d'uso sia punito con la medesima pena del peculato per distrazione? Si tratta di un profilo di evidente sproporzione e incoerenza di siffatta cornice edittale rispetto al microsistema dei delitti di peculato (e in genere del sottosistema dei delitti contro la P.A.).

Sulla base di tali premesse, la formulazione della nuova ipotesi di peculato per distrazione – innestata al comma 3 dell’art. 314 c.p. – ricalcherebbe così la definizione della più recente giurisprudenza, allorché inquadrava queste tipologie di minor disvalore nell’abrogato abuso d’ufficio. Ipotesi di distrazione che si verificano quando l’agente pubblico destina il denaro, il bene o l’energia lavorativa umana verso finalità diverse da quelle istituzionali, ma senza che vi sia il radicale abbandono del loro rapporto con gli interessi della pubblica amministrazione. Una finalità diversa da quella predeterminata, ma pur sempre di interesse pubblico e non completamente “privatistica”.

In conclusione, non abbiamo certo bisogno di un hircocervus: per metà peculato e per metà abuso d’ufficio. Una fattispecie quella contenuta nell’art. 314-bis c.p. – come l’animale (metà caprone e metà cervo) – che denota un reato “ibrido” davvero “mitologico”.

Eppure il nuovo delitto di “indebita destinazione di beni” ricorda l’ircocervo: una espressione linguistica provvista di “significato”, benché riferita a una cosa “inesistente”. Essa al più permette di ragionare sull’apparenza delle categorie di “vero” e “falso” quando applicate all’espressione linguistica nella sua assolutezza, senza incidere in alcun modo sul suo essere priva di senso … come il delitto inserito all’art. 314-bis c.p. dal decreto-legge n. 92/2024.

 

Proposte di emendamento:

Modifiche al codice penale

1. L’articolo 9 è sostituito dal seguente:

Al codice penale è aggiunto all’articolo 314 il seguente terzo comma:

«Fuori dai casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di energie lavorative, denaro o altro bene altrui, a proprio o altrui vantaggio, li destina ad una finalità diversa da quella  prevista da una disposizione di legge, regolamento, circolari o altra fonte secondaria, ma pur sempre di interesse pubblico, senza che ciò ne comporti la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente diritto, è punito con la reclusione da uno a quatto anni».

2. All’art. 25, comma 1, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 sono inserite dopo le parole «articoli 314, primo» le parole «e terzo».

 

[1] Cfr. le puntuali e condivisibili osservazioni al riguardo di G.L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, recupero in zona cesarini del “peculato per distrazione” (art. 314-bis c.p.) e obblighi (non pienamente soddisfatti) di attuazione della Direttiva UE 2017/1371, in questa Rivista, 10 luglio 2024, cui si rinvia per gli approfondimenti. L’Autore dubita che l’introduzione del nuovo art. 314-bis c.p. sia in grado di scongiurare, dopo l’abrogazione dell’abuso di ufficio, la violazione degli obblighi di incriminazione posti della Direttiva europea 2017/1371 e di esporre il nostro Paese a una procedura di infrazione.

[2] Si vedano ancora le riflessioni di G.L. Gatta, Morte dell’abuso d’ufficio, cit.

[3] In dottrina nel primo contributo al riguardo si sottolinea come i propositi della riforma compiuta con la l. n. 86/1990, di trasferire le ipotesi distrattive dal peculato al riformulato abuso d’ufficio, sono stati ribaltati in sostanza dal diritto vivente. E pertanto il nuovo art. 314-bis c.p. si inserisce nel previgente campo applicativo del peculato (quale forma di peculato per distrazione), piuttosto che come parziale compensazione della coeva abrogazione dell’art. 323 c.p. (così D. Micheletti, La “distrazione” gioca brutti scherzi. Sulle ricadute intertemporali del nuovo art. 314-bis c.p., in Discrimen, 8.7.2024, p. 1 ss.).

[4] In tal senso si vedano le considerazioni di M. Romano, I delitti contro la pubblica amministrazione, Commentario sistematico, artt. 314-335-bis cod. pen., Giuffrè, 2019, p. 37 ss.

[5] Così Cass., sez. VI, 4 luglio 2014, n. 25258, in CED Cass., n. 260070-01; Cass., sez. VI, 17 luglio 2013, n. 1247/2014, ivi, n. 258411-01.

[6] Cfr. Cass., sez. VI, 23 gennaio 2018, n. 19484, in CED Cass., n. 273783-01; Cass., sez. VI, 2 marzo 2016, n. 12658, ivi, n. 266871-01; Cass., sez. VI, 13 marzo 2009, n. 14978, ivi, n. 243311-01; Cass., sez. VI, 9 aprile 2008, n. 31688, ivi, n. 240692.

[7] Cfr. Cass., sez. VI, 22 giugno 2017, n. 41768, in CED Cass., n. 271283-01; Cass., sez. VI, 2 marzo 2016, n. 12658, ivi, n. 266871.

[8] Cass., sez. un., 20 dicembre 2012, n. 19054/2013, Vattani, in CED Cass., n. 255296, sull’utilizzo per fini personali del telefono assegnato all’agente pubblico per esigenze dell’ufficio.

[9] Cass., sez. VI, 30 settembre 2020, n. 36496, in CED Cass., n. 280295-02.

[10]Cass., sez. VI, 19 settembre 2017, n. 53331, in CED Cass., n. 271654 – 01.

[11] Cass., sez. VI, 4 luglio 2018, n. 36827, in CED Cass., n. 274023 – 01, in una fattispecie in cui la Suprema Corte ha escluso che rientrassero nella nozione di “spese di rappresentanza” quelle sostenute dai vertici di un ente pubblico economico che, in occasione delle festività natalizie, avevano distratto consistenti somme di denaro per il pagamento di un munifico pranzo ai dipendenti dell'ente stesso.

[12]Cass., sez. VI, 9 aprile 2019, n. 21166, in CED Cass., n. 276067 – 01.

[13] In tal senso, v. D. Micheletti, La “distrazione” gioca brutti scherzi, cit., p. 4 ss.

[14] Cass., sez. VI, 1° gennaio 2020, n. 37074, in CED Cass., n. 280551 – 03; Cass., sez. VI, 13 maggio 1998, n. 8494, ivi, n. 211313 – 01.

[15] Cass., sez. VI, 15 aprile 2009, n. 25537, in CED Cass., n. 244358 – 01.

[16] Cfr. M. Gambardella, voce Legge penale nel tempo, in Enc. dir., Annali VII, Giuffrè, 2014, p. 663 ss.; e nella manualistica G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffrè, 2023, p. 149 ss.

[17] Cfr. Cass., sez. un., 29 febbraio 2024, n. 19357, Mazzarella, in CED Cass., n. 286304 – 01; Cass., sez. un., 26 febbraio 2009, n. 24468, Rizzoli.

[18] Cfr. D. Micheletti, La “distrazione” gioca brutti scherzi, cit., p. 5.