ISSN 2704-8098
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  Recensione  
20 Aprile 2023


L’esperienza della pandemia in quanto opportunità di progettazione politico-criminale

Recensione ad Angela Della Bella, Il legislatore di fronte all’emergenza sanitaria. Principi penalistici alla prova del Covid-19, Giappichelli, 2023, XX-260.



Non me ne vorrà l’Autrice se l’intitolazione delle presenti note sembra trascurare quella del suo volume, la quale s’incentra sulla verifica di come i principi garantistici che dovrebbero presidiare qualsiasi apparato punitivo abbiano saputo resistere alla pressione derivante dalle norme, e dalle connesse scelte sanzionatorie, emanate nel tentativo di arginare la vicenda pandemica prodottasi all’inizio del 2020.

Simile verifica, in effetti, è condotta nel volume in modo analitico ed esaustivo, con riguardo soprattutto ai diversi profili che investono il canone della legalità: secondo l’intento di preservare quei principi da erosioni giustificate in modo suggestivo con riguardo a stati di eccezione, ma per tale via suscettibili, poi, di infettare, a loro volta in modo pandemico, l’intero sistema degli illeciti penali e delle loro procedure applicative.

Si tratta di una verifica, tuttavia, la quale va ben oltre lo scopo di una pur pregevole indagine, esegetica e sistematica a un tempo, circa la qualità della legislazione penale, o meglio lato sensu punitiva, in tempo di pandemia. Posto che rimarca nel contempo, in modo esplicito o talora in controluce, come il caso Covid-19 lasci emergere l’esigenza di un ripensamento complessivo dei modi con cui s’intenda operare per finalità preventive – rimanendo fedeli ai binari fissati in materia dalla carta costituzionale – attraverso gli strumenti penalistici.

Questo tipo d’interesse rappresenta, del resto, una sorta di filo conduttore nella produzione monografica di Angela Della Bella, che, già attraverso il volume fondamentale sull’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario e la precedente indagine sulla normativa inerente all’emergenza carceri dopo i richiami della Corte EDU, s’è cimentata nel formulare proposte – sempre sul presupposto di un vaglio critico molto puntuale delle normative di volta in volta rilevanti – al fine di una riforma organica dell’approccio giuridico (e non solo) alle materie di rilievo penalistico considerate: in altre parole, s’è cimentata in quella progettazione politico-criminale troppe volte negletta, essendosi a lungo ritenute indiscutibili forme di mera corrispettività simbolica della risposta ai fatti illeciti, senza verifica alcuna in rapporto alla loro reale attitudine preventiva.

Lo si evince fra l’altro, significativamente, da una sconsolata affermazione conclusiva dell’Autrice, la quale denuncia l’«assenza di un ventaglio di pene principali che consentano di comminare pene diverse dalla pena detentiva (che certo non rappresenta una tipologia sanzionatoria adeguata in una situazione di emergenza sanitaria), e dalla pena pecuniaria».

Una prospettiva, quella in tal senso descritta, assai vicina, riterremmo, a quanto anche chi scrive sosteneva in uno scritto, esso pure rivolto a trarre conseguenze di rilievo penalistico dalla tragedia della pandemia[1], di non molto anteriore al volume redatto da Angela Della Bella. Vi si affermava: «Di luoghi deputati a progettare prevenzione, pur anche con risorse del tutto inferiori rispetto a quelle della macchina da guerra penalistica, non si ha notizia. A meno che essi siano da identificarsi nei comitati tecnico-scientifici riuniti di fretta alla bisogna, quasi che pur ragguardevoli competenze di ordine professionale abilitino a capacità strategiche pluridisciplinari: tanto che simili comitati hanno sempre accuratamente rimandato all’autorità politica, in materia di pandemia, la responsabilità delle scelte da effettuarsi, benché, a sua volta, l’investitura elettorale non garantisca, da sola, decisioni efficaci e lungimiranti».

Nel quadro suddetto, il proposito dell’Autrice è quello di addivenire a un sistema degli interventi sanzionatòri in contesti di emergenza sanitaria che – solo per apparente paradosso – non sia di tipo emergenziale, in quanto il prospettarsi di evenienze consimili alla pandemia Codid-19 non è per nulla improbabile (come attesta la stessa suggestiva previsione, risalente al 2012, di David Quammen, con cui si apre il volume): finalità, questa, che viene perseguita attraverso riferimenti comparatistici desunti, soprattutto, dall’ordinamento tedesco e da quello francese.

Rimanendo fermo che il fulcro dell’intervento giuridico in materia è da ravvisarsi nella validità preventiva delle norme cui le sanzioni, in un ruolo subordinato, dovrebbero accedere, e non nel perseguimento, attraverso la penalizzazione, di una presenza simbolica delle istituzioni la quale prometta di offrire singoli soggetti cui imputare, in forma catartica, gli specifici accadimenti lesivi che dovessero derivare dall’emergenza stessa: dato che nella vicenda pandemica si è resa manifesta, piuttosto, quella che chi scrive ebbe a definire in un diverso contributo, con espressione ripresa anche dall’Autrice, «una gigantesca colpa di organizzazione».

Dal che l’introduzione, evidenziata dall’Autrice, di norme rivelatesi esse pure, per lo più, di carattere simbolico (data, comunque, la difficile applicabilità effettiva delle sanzioni vecchie e nuove pertinenti rispetto all’attuale pandemia) finalizzate a rassicurare sanitari e amministratori rispetto al rischio, foriero di atteggiamenti difensivi, dell’essere esposti a procedimenti penali in contesti di incertezza sulle condotte più adeguate da assumere.

In particolare, viene delineato, con riguardo alla materia in oggetto, un modello sanzionatorio graduale, a tre livelli.

Il primo afferente alla violazione, in genere, «di misure di contenimento di natura preventiva e caratterizzate da una ‘identità offensiva pregnante’» e tale da prevedere, secondo lo schema del pericolo astratto, illeciti di carattere amministrativo: essendosi preferita quest’ultima soluzione rispetto a quella penale, stante la maggiore certezza e rapidità applicativa delle sanzioni amministrative rispetto a quelle pecuniarie comminate, com’è avvenuto, mediante il rinvio all’art. 650 c.p.

Nell’ambito del secondo gradino andrebbero collocate, invece, fattispecie penali di pericolo concreto, con riguardo a «condotte di violazione delle misure di contenimento più gravi»: fattispecie, in particolare, «a forma vincolata», che ricomprendano, inoltre, una tipizzazione degli «indici di pericolosità della condotta al cui positivo accertamento subordinare la sussistenza del fatto». L’Autrice ritiene che la rilevanza penale debba estendersi, in tal senso, anche alle condotte colpose, posto che la scelta tedesca di cui all’art. 74 Infektionsschutzgesetz di limitare la responsabilità al dolo «non sembra adeguata quando si riferisca a condotte, commissive o omissive, poste in essere da soggetti ‘garanti’, come datori di lavoro, amministratori pubblici o personale sanitario».

Ciò premesso, la configurazione della fattispecie come reato di condotta prende atto, per un verso, della circostanza per cui la tutela effettiva dei beni tutelati in rapporto ai comportamenti colposi si gioca sul controllo delle condotte pericolose, e non attraverso la punizione enfatica del soggetto agente nei casi sporadici in cui il rischio in tal modo attivato si concretizzi in un evento lesivo; come altresì, per altro verso, tiene conto delle specifiche difficoltà relative all’accertamento del nesso causale tra eventi lesivi riconducibili a contesti di pandemia e le medesime condotte. Peraltro – ulteriore aspetto, questo, caratterizzante lo studio in esame – auspicandosi la limitazione della responsabilità per colpa, «in situazioni di emergenza sanitaria, come in ogni settore caratterizzato da particolare complessità», alla colpa grave, la quale verrebbe ad assumere (al pari di quanto previsto nell’art. 121.3 del codice penale francese) una funzione selettiva della responsabilità penale in luogo di quella altrimenti svolta dall’evento.

Sulla base, poi, del già richiamato disappunto per l’impossibilità di ricorrere, in proposito, a pene principali diverse da quelle previste all’art. 17 c.p., viene prospettato il ricorso a modalità sanzionatorie edittali che non comportino, di regola, un’effettiva detenzione in carcere.

Al terzo gradino rimarrebbero rilevanti, come previsto nel sistema penale vigente, «i delitti di evento a tutela della vita», di cui peraltro l’intero volume di Angela Della Bella, per quanto concerne la modalità colposa, contribuisce a evidenziare – sotto la lente privilegiata, per questi fini, della pandemia – l’inefficienza preventiva.

Emergendo con forza, proprio rispetto alla pandemia, quanto sarebbe importante un sistema normativo il quale favorisca l’emergere ex post della verità su disfunzioni ed errori che si siano verificati (come purtroppo è stato) nel suo contrasto, affinché non si ripetano in emergenze future: piuttosto di un sistema nel quale l’emergere della verità è pressoché totalmente precluso in forza del timore, da parte di tutti gli attori in gioco, che qualsiasi disponibilità alla revisione critica del loro operato li potrebbe assoggettare a contestazioni penali per colpa (secondo una selezione facilmente discriminatoria del resto, come già sìè detto, circa i soggetti qualificati colpevoli). Problematica, questa, rispetto alla quale gli strumenti della giustizia riparativa potrebbero rappresentare una risorsa da prendere in considerazione.

 

[1]  Cfr. L. Eusebi, Covid-19 ed esigenze di rifondazione della giustizia penale, in A. Bondi - G. Fiandaca - G. P. Fletcher - G. Marra - A. M. Stile - C. Roxin - K. Volk, Studi in onore di Lucio Monaco, Urbino University Press, 2020, pp. 425-470, nonché online in Sistema penale, 13 gennaio 2021, pp. 1-34.