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05 Giugno 2023


“Arresto in attesa della querela” e procedibilità d’ufficio per i reati aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di terrorismo. Pubblicata la l. n. 60/2023

Legge 24 maggio 2023, n. 60



*Contributo destinato alla pubblicazione nel fascicolo n. 6/2023. 

 

1. È stata pubblicata, ed entrerà in vigore il 16 giugno 2023, la legge 24 maggio 2023, n. 60, recante “Norme in materia di procedibilità d’ufficio e di arresto in flagranza”.

Si tratta della prima legge approvata in questa legislatura su proposta del Ministro della Giustizia Carlo Nordio. Il disegno di legge, già oggetto d’esame sulla nostra Rivista, fu presentato alla Camera all’inizio dell’anno quale risposta del Governo a notizie di cronaca e interventi sui media, anche da parte di addetti ai lavori, dai toni allarmistici. La polemica, come è noto ai lettori, riguardava l’estensione del regime di procedibilità a querela, realizzato dal d.lgs. n. 150/2022 (riforma Cartabia) in relazione ad alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio, puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni. Tra questi, le lesioni lievi, la violenza privata, il sequestro di persona semplice, il furto aggravato. La querela, nota al sistema da sempre, anche per reati molto gravi, quale la violenza sessuale, è parsa ad alcuni, improvvisamente, un istituto indigesto, che espone la vittima a minacce e ritorsioni, pregiudica l’effettività della tutela penale e le esigenze cautelari. A tale ultimo proposito, a venire in rilievo è la regola (artt. 380, co. 3 e 381, co. 3 c.p.p), prevista anche nel previgente codice di rito, che subordina l’arresto in flagranza, tanto obbligatorio quanto facoltativo, alla presentazione della querela, anche in forma orale, da parte della persona offesa presente sul luogo: se la vittima non è presente, l’arresto non può essere effettuato. Quanto poi alle misure cautelari personali in corso all’entrata in vigore della riforma Cartabia, per effetto della disposizione transitoria di cui all’art. 85, co. 2 d.lgs. n. 150/2022, introdotta dal Governo Meloni con il d.l. n. 162/2022, senza una querela presentata entro 20 giorni si sarebbe andati incontro a delle scarcerazioni.   

Il rumore mediatico, mai supportato da dati empirici, ha portato il Governo a intervenire con una legge che, si noti, entra in vigore sei mesi e mezzo dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia. E’ significativo che un Governo che adotta di media quattro decreti-legge al mese (Fonte: openopolis) non abbia ravvisato ragioni di necessità e urgenza per intervenire in materia di regime di procedibilità dei reati. E’ la dimostrazione che gli allarmi, lanciati anche da alcuni magistrati con interventi pubblici, erano del tutto eccessivi.

 

2. Un altro dato assai significativo, che merita di essere subito segnalato, è che il ‘correttivo Nordio’ non modifica le scelte di fondo della riforma Cartabia che, come si ricorderà, erano state suggerite, anche in materia di estensione del regime di procedibilità, dalla Commissione di studio presieduta da Giorgio Lattanzi. Non si tratta nemmeno di un ‘correttivo’, a ben vedere, ma di un provvedimento ‘integrativo’: aggiunge senza togliere; completa la disciplina dei reati procedibili a querela: di tutti i reati procedibili a querela, compresi quelli (ma non solo quelli) oggetto della riforma Cartabia.

Approvando la legge 60 del 2023, la maggioranza che sostiene il Governo Meloni ha confermato la scelta politico criminale del d.lgs. n. 150/2022 in tema di estensione del regime di procedibilità a querela. Le parole utilizzate dal Ministro Nordio in apertura della relazione al disegno di legge sfociato nella legge 60 sono univoche e nette: “si ritiene di confermare l’intervento [realizzato con la riforma Cartabia] in quanto, nell’ambito degli impegni assunti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è opportuno favorire [gli] effetti deflativiperseguiti dalla riforma attraverso l’ampliamento del catalogo dei reati procedibili a querela.

Va senz’altro salutata con favore la circostanza che, in questa occasione, il Governo e la maggioranza parlamentare non si siano fatti ingannare dagli ingiustificati quanto diffusi allarmismi dei mesi scorsi, che drogano il dibattito pubblico rischiando di innescare reazioni populistico-repressive, simboliche e ineffettive. E’ prevalsa, come emerge dalle parole del Ministro, la responsabilità di confermare gli impegni assunti con la Commissione Europea attraverso il PNRR.

Il vero allarme, infatti, non è quello di alcuni reati non particolarmente gravi (tutti con pena detentiva minima non superiore a due anni) resi procedibili a querela; è quello degli ancora patologici (per quanto in via di miglioramento) tempi del processo penale, che devono essere ridotti del 25% entro il 2026. Ebbene, la riforma Cartabia è intervenuta sulla procedibilità a querela perché questa misura promette effetti di riduzione del carico giudiziario: sia per la diminuzione delle notizie di reato (mancate querele), sia per la definizione anticipata dei procedimenti conseguente alla remissione della querela ex art. 152 c.p.  o a condotte riparatorie ex art. 162 ter c.p. Per questo è auspicabile che il Ministero della Giustizia, anche attraverso il Comitato per il monitoraggio dell’efficienza del processo penale, rilevi e renda al più presto noti i dati statistici relativi al numero dei procedimenti iscritti per i reati resi procedibili a querela e al numero delle definizioni anticipate dei relativi procedimenti, per remissione della querela o estinzione del reato per condotte riparatorie.

 

3. Veniamo, ora, ai contenuti della legge 60/2023, che persegue due obiettivi: a) escludere la procedibilità a querela in presenza di determinate aggravanti; b) consentire l’arresto obbligatorio in flagranza, per reati procedibili a querela, anche quando questa non viene presentata all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria presente sul luogo, perché non si riesce a rintracciare la persona offesa.

 

4. Quanto al primo profilo, la legge (art. 1) interviene su due aggravanti comuni previste nella parte speciale del codice penale, stabilendo che, ove ricorrano quelle aggravanti, si procede sempre d’ufficio: anche, pertanto, quando per il reato cui si riferisce l’aggravante è prevista la procedibilità a querela. Le aggravanti in questione sono quelle del metodo mafioso (art. 416-bis.1 c.p.) – già prevista dall’art. 7 d.l. n. 152/1991 – e della finalità di terrorismo (art. 270-bis.1 c.p.) – già prevista dall’art. 1 d.l. n. 625/1979). L’intervento è realizzato aggiungendo ai due citati articoli del codice penale un ultimo comma ai sensi del quale “per i delitti aggravati dalla circostanza di cui al primo comma si procede sempre d’ufficio”.

Rispettivamente da ventidue e da quarantaquattro anni le aggravanti comuni di cui agli artt. 416-bis.1 c.p. 270-bis.1 c.p. sono riferibili anche a reati procedibili a querela; la riforma Cartabia si è limitata ad estendere il numero di quei reati. Ben prima della riforma Cartabia era possibile, pertanto, che fossero procedibili a querela reati aggravati dal metodo mafioso o della finalità di terrorismo. La nuova legge rende ora procedibili d’ufficio i reati così aggravati. L’intervento è a nostro avviso ragionevole per due motivi: a) perché quelle aggravanti sono espressive di un’offesa a beni giuridici di rilievo pubblicistico e privano il fatto e l’offesa di una dimensione meramente privatistica, che sola giustifica la procedibilità a querela; b) perché, per quanto riguarda il metodo mafioso, le condizioni che aggravano il reato possono con ogni probabilità pregiudicare la libertà di presentare una querela. La forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e di omertà, è incompatibile con la logica della procedibilità a querela, che presuppone la normale possibilità di manifestare liberamente, senza pressioni, la volontà e l’interesse a procedere.

Come ricorda la relazione illustrativa dell’originario disegno di legge, la tecnica normativa che esclude la procedibilità a querela in presenza di determinate aggravanti comuni non è nuova: l’art. 6, co. 1 del d.l. n.122/1993 prevede che la procedibilità d’ufficio tutte le volte in cui ricorre l’aggravante della finalità di discriminazione o odio etnico o razziale o religioso, di cui all’art. 604 ter c.p.

La legge 60/2023 (art. 2) modifica inoltre l’art. 71, co. 1 del codice antimafia (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159) inserendo il delitto di lesioni personali dolose (art. 582 c.p.) tra quelli per i quali le pene sono aumentate, da un terzo alla metà, se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale, durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione. L’estensione alle lesioni personali di tale aggravante fa sì, in virtù del disposto del secondo comma dello stesso art. 71 del codice antimafia, che si proceda d’ufficio; anche, pertanto, in relazioni alle lesioni personali lievi, rese procedibili a querela dal d.lgs. n. 150/2022. Anche in questo caso si tratta, a nostro avviso, di un intervento ragionevole: come si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge, l’aggravante di cui all’art. 71, co. 1 è oggi riferibile anche a reati meno gravi – pure oggetto dell’intervento realizzato con il d.lgs. n. 150/2022 – quali la violenza privata e la minaccia. 

 

4.1. Va ricordato che, nelle ipotesi considerate, la procedibilità d’ufficio introdotta dalla legge 60/2023 resta ferma anche all’esito dell’eventuale giudizio di bilanciamento delle aggravanti con concorrenti circostanze attenuanti. Quanto a tutte e tre le aggravanti di cui sopra, infatti, vale la regola generale, accolta dal diritto vivente, secondo cui il giudizio di subvalenza o di equivalenza di circostanze aggravanti non rende procedibile a querela un reato procedibile d’ufficio nell’ipotesi aggravata (cfr., da ultimo, Cass. Sez. II, 21.12.2020, n. 22952, Sadik, Rc. 281454-01). Quanto poi alle aggravanti del metodo mafioso e della finalità di terrorismo, va segnalata, ancor prima, una considerazione assorbente: il divieto di prevalenza o di equivalenza di circostanze attenuanti (con la sola eccezione di quelle di cui agli artt. 98 e 114 c.p.) rispetto a quelle aggravanti (cfr. artt. 270-bis.1, co. 2 e 416-bis.1, co. 2 c.p.).

Un diverso discorso, invece, ci sembra debba essere fatto con riguardo alle attenuanti della dissociazione e della collaborazione, previste per i reati con finalità di terrorismo e per i reati commessi con metodo mafioso, rispettivamente, dagli artt. 270-bis.1, co. 3 e 416-bis.1, co. 3. Per espressa previsione normativa (artt. 270-bis.1, co. 4 e 416-bis.1, co. 4), quelle attenuanti rendono inapplicabili le rispettive aggravanti e pertanto, a noi pare, conservano la procedibilità a querela dei reati considerati.

Quanto ai profili di diritto intertemporale, va ricordato che, secondo giurisprudenza consolidata, le modifiche del regime di procedibilità sono riconducibili alla disciplina in tema di successione di leggi penali di cui all’art. 2 c.p. Ciò sul presupposto che la querela è istituto di “natura mista, sostanziale e processuale…, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità” (v. già Cass., Sez. III, 8.7.1997, n. 2733, Rv. 209188 e, da ultimo, Cass., Sez. II, 9.1.2020, n. 14987, Rv. 279197). Ne consegue che, in ipotesi di modifiche del regime di procedibilità che, come nel caso degli artt. 1 e 2 della legge 60 del 2023, diano vita a un regime deteriore introducendo la procedibilità d’ufficio per un reato precedentemente procedibile a querela, è senz’altro applicabile l’art. 2, co. 1 c.p., cioè il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole all’agente, costituzionalizzato dall’art. 25, co. 2 Cost. (cfr., da ultimo, Cass., Sez. II, 1.2.2022, n. 4800, Rv. 282624; Cass., Sez. IV, 16.1.2019, n. 13577, Rv. 275709). Le disposizioni della legge 60/2023, che comportano la procedibilità d’ufficio di reati prima procedibili a querela, sono pertanto applicabili solo per i fatti commessi dopo il 16 giugno 2023, data di entrata in vigore della legge stessa.

 

5. Se le modifiche in tema di procedibilità d’ufficio interessano la parte speciale del diritto penale – le sole figure di reato aggravate ai sensi delle tre citate circostanze – gli interventi della legge 60 del 2023 in materia di arresto in flagranza hanno invece portata generale: interessano, infatti, la disciplina del codice di procedura penale per il caso di arresto in flagranza di reato procedibile a querela.

Come è noto, da sempre (già nel codice di procedura penale del 1930) la legge consente l’arresto in flagranza, obbligatorio o facoltativo, anche per reati procedibili a querela. In questo caso, la regola – comune all’arresto obbligatorio (art. 380, co. 3 c.p.p.) e facoltativo (art. 381, co. 3 c.p.p) – è che “l’arresto in flagranza è eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all'agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l'avente diritto dichiara di rimettere la querela, l'arrestato è posto immediatamente in libertà”. Nella flagranza del reato (cioè nel luogo in cui viene colto il sospetto autore) – in sostanza – ad oggi deve essere presente (o immediatamente reperibile) anche la persona offesa, titolare del diritto di querela. La presenza della vittima sul luogo in cui deve essere eseguito l’arresto in flagranza può non essere problematica per alcuni reati procedibili a querela; ad esempio, per la violenza sessuale, le lesioni personali dolose, il sequestro di persona, nonché, in via di principio, per tutti i reati in cui, di norma, la persona offesa, sul cui corpo ricade immediatamente la condotta delittuosa, è presente sulla scena del reato. Con ogni probabilità è proprio a queste situazioni che pensava il legislatore del 1930, quando ha concepito la disposizione poi replicata nel “nuovo” codice di rito. Viceversa, rispetto a non pochi reati procedibili a querela può capitare in un rilevante numero di casi che la vittima non sia presente e comunque rintracciabile e che, pertanto, non sia in grado di presentare la querela alla polizia giudiziaria presente sul luogo. Si pensi, ad esempio, alla violazione di domicilio, al furto e all’appropriazione indebita. In questi casi, la mancata presentazione della querela impedisce l’arresto e può frustrare le esigenze precautelari e di sicurezza pubblica. Il rischio concreto è in particolare quello della fuga, soprattutto quando si tratti di persone non identificate o di dubbia identificazione. Alcuni casi di cronaca oggetto di attenzione mediatica, nei mesi scorsi, hanno riguardato proprio casi in cui non è stato possibile procedere all’arresto in flagranza di autori di furti.

L’art. 3 della legge 60/2023 modifica per la prima volta l’assetto tradizionale della disciplina in materia stabilendo, per il solo arresto obbligatorio in flagranza, che questo può essere effettuato anche in assenza della querela, che però deve essere presentata entro 48 ore, pena la liberazione dell’arrestato. Più precisamente, si consente il solo arresto obbligatorio in flagranza quando la querela non è contestualmente proposta perché la persona offesa non è prontamente rintracciabile, purché la querela possa ancora sopravvenire (perché non è stata manifestata la volontà di rinuncia). Se la querela non è proposta nel termine di 48 ore dall’arresto oppure se l’avente diritto dichiara di rinunciarvi o rimette la querela proposta, “l’arrestato è posto immediatamente in libertà”.

Si prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’arresto debbano effettuare tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa, entro le 48 ore. E si ribadisce poi che, quando la persona offesa è presente – ovvero è rintracciata, – la querela può essere proposta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria, ferma restando – ed è questa una novità che realizza un opportuno coordinamento con la riforma Cartabia – la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all’articolo 90-bis c.p.p., come modificato dal d.lgs. n. 150/2022.

Questo, per comodità di lettura, il testo del nuovo comma 3 dell’art. 380 c.p.p.: “Se si tratta di delitto perseguibile a querela e la querela non è contestualmente proposta, quando la persona offesa non è prontamente rintracciabile, l’arresto in flagranza, nei casi di cui ai commi 1 e 2, è eseguito anche in mancanza della querela che può ancora sopravvenire. In questo caso, se la querela non è proposta nel termine di quarantotto ore dall’arresto oppure se l’avente diritto dichiara di rinunciarvi o rimette la querela proposta, l’arrestato è posto immediatamente in libertà. Gli ufficia[1]li e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno proceduto all’arresto effettuano tempestivamente ogni utile ricerca della persona offesa. Quando la persona offesa è presente o è rintracciata ai sensi dei periodi precedenti, la querela può essere propo[1]sta anche con dichiarazione resa oralmente all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria, ferma restando la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all’articolo 90-bis”.

 

5.1. Come si è detto, l’intervento del legislatore interessa sostanzialmente l’arresto obbligatorio in flagranza, limitandosi, quanto all’arresto facoltativo, a prevedere nell’art. 381, co. 3 c.p.p. la necessità di rendere alla persona offesa, anche con atto successivo, le informazioni di cui all’articolo 90-bis.

 

5.2. Rispetto all’originario disegno di legge, nel corso dei lavori parlamentari sono state poi inserite due disposizioni necessarie per coordinare la nuova disciplina con quella della convalida dell’arresto e del giudizio direttissimo. Viene aggiunto, negli artt. 449, co. 3 e 558, co. 6 c.p.p. il seguente periodo: “Nel caso di arresto effettuato ai sensi dell’articolo 380, comma 3, il giudice, se l’arresto è convalidato, quando manca la querela e questa può ancora sopravvenire, sospende il processo. La sospensione è revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione”. La novità introdotta con la possibilità, in caso di arresto obbligatorio, di presentare la querela entro 48 ore, rende possibile – come conferma la disposizione qui riportata – la convalida dell’arresto in assenza della condizione di procedibilità. In questo caso, se manca la querela (che può ancora sopravvenire, perché non ritirata o rimessa), il giudice deve sospendere il processo. Viene dunque introdotta una ipotesi di sospensione del giudizio direttissimo, al quale non può procedersi in assenza dell’intervenuta condizione di procedibilità. Se la querela non interviene in tempo utile, non può procedersi al rito direttissimo e l’arrestato deve essere liberato; non potrà peraltro lamentare una ingiusta detenzione, atteso che la querela non è più un presupposto per l’arresto obbligatorio in flagranza.

Il termine di 48 ore previsto per rintracciare la persona offesa ai fini della querela, funzionale all’arresto in flagranza, coincide con il termine massimo per la richiesta di convalida da parte del pubblico ministero (convalida che, come è noto, deve poi intervenire entro le successive 48 ore). Le citate nuove disposizioni, in tema di sospensione del giudizio direttissimo, sono state introdotte immaginando che il pubblico ministero ben possa portare l’arrestato davanti al giudice, per la convalida, prima dello spirare del termine di 48 ore. E’ quel che avviene normalmente in alcune sedi, come a Milano, dove gli arrestati vengono portati la mattina seguente davanti al giudice per la convalida. In questo caso, la convalida sarà possibile, senza la querela, fermo restando però che, non potendosi applicare una misura cautelare in difetto di condizione di procedibilità, l’arrestato dovrà essere rimesso in libertà. L’art. 273, co. 2 c.p.p., infatti, esclude l’applicabilità delle misure cautelari se risulta che il fatto è stato commesso in presenza di una “causa di non punibilità”: il che ricorrerebbe, secondo la giurisprudenza, anche quando manca una condizione di procedibilità (cfr., ad es., Cass. Sez. VI, 25.2.2016, n. 8618).

E’ dunque verosimile che, per salvaguardare le esigenze cautelari il più possibile, in difetto della querela il pubblico ministero ‘consumi’ l’intero termine di 48 ore per rintracciare la persona offesa. Un effetto collaterale della legge in commento è allora essere quello di prolungare di fatto, rispetto ad oggi, la limitazione della libertà personale per gli arrestati per i meno gravi reati procedibili a querela. Ciò pone il problema, anche logistico, del possibile prolungato trattenimento degli arrestati nelle camere di sicurezza, prima di essere portati davanti al giudice; un trattenimento che può e deve tuttavia già a legislazione vigente essere opportunamente evitato, a favore dell’applicazione, se e in quanto possibile, dell'arresto nel domicilio (cfr. art. 558, co. 4 bis c.p.p).

 

5.3. La limitazione dell’arresto ‘in attesa della querela’ ai soli casi di arresto obbligatorio è motivata in ragione della ritenuta opportunità di circoscrivere la misura ai casi più gravi. Senonché tra i reati per i quali è possibile l’arresto facoltativo in flagranza ve ne sono non pochi procedibili a querela, per i quali la legge Nordio non risolve il problema agitato sui media in questi media, che è destinato a riemergere al primo caso di mancato arresto, per irreperibilità sul posto della persona offesa. Si pensi alle lesioni personali dolose lievi, al sequestro di persona, alla violenza privata, alla violazione di domicilio, al furto semplice o aggravato dall’uso del mezzo fraudolento o dalla destrezza, al furto del bagaglio, al furto di cose esposte alla pubblica fede (come le autovetture parcheggiate per strada) o destinate a pubblico servizio/utilità, al furto all’interno dei mezzi di trasporto pubblico, o a danno di persona che fruito di un bancomat, alla truffa e all’appropriazione indebita. In tutti questi casi, l’assenza/irreperibilità della persona offesa sul luogo della flagranza del reato impedisce e continuerà ad impedire l’arresto, pur dopo l’approvazione della legge Nordio. Come abbiamo cercato di mostrare in altra sede, sarebbe stata possibile e ragionevole trovare una soluzione normativa anche rispetto alla flagranza di questi reati: il carattere facoltativo dell’arresto non toglie che, ove si ritenga di effettuarlo – per la gravità del fatto o per la pericolosità del soggetto (cfr. art. 381, co. 4 c.p.p) – l’assenza/irreperibilità della persona rappresenti un impedimento che sacrifica le esigenze precautelari e di sicurezza pubblica. Il disallineamento della disciplina dell’arresto facoltativo, rispetto a quello obbligatorio, prospetta ora possibili dubbi di legittimità costituzionale, sotto il profilo dell’art. 3 Cost. La discrezionalità del legislatore, forse, non ha tenuto adeguatamente in considerazione le ragioni normative che legittimano l’arresto facoltativo, rappresentandone un presupposto.

Ciò, beninteso, sulla premessa della legittimità costituzionale, a monte, della scelta di consentire l’arresto obbligatorio in assenza di una querela che può sopravvenire. A tal riguardo, come abbiamo osservato in altra sede, alla quale rinviamo il lettore (ivi, in particolare, § 3.5), a noi pare che tale scelta sia conforme ai principi costituzionali e trovi conferma in altre disposizioni presenti nel sistema: l’art. 343, co. 3 c.p.p., che prevede che il fermo e le misure cautelari personali siano consentiti, prima dell’autorizzazione a procedere, quando la persona è colta nella flagranza di un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; l’art. 85, co. 2 d.lgs. n. 150/2022, come modificato in sede di conversione del d.l. n. 162/2022, che prevede, nell’ambito della disciplina transitoria della riforma Cartabia, che le misure cautelari in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della riforma, per reati che erano procedibili d’ufficio e che sono stati resi procedibili a querela, perdono efficacia se, entro venti giorni, non viene presentata la querela.