*Contributo destinato alla pubblicazione sul fascicolo 1/2023.
1. Una delle più importanti linee di intervento della riforma del sistema penale, realizzata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è rappresentata da una significativa estensione del regime di procedibilità a querela, in rapporto a centrali figure di reato contro la persona e contro il patrimonio. In un sistema improntato al principio della obbligatorietà dell’azione penale – di recente rimesso in discussione –, afflitto dal carattere ipertrofico della legislazione penale e da un sempre più insostenibile numero di procedimenti penali, valorizzare la procedibilità a querela, riducendo in modo corrispondente l’area della procedibilità d’ufficio, rappresenta una ragionevole strategia politico criminale, del tutto funzionale nel contesto di una riforma volta a migliorare l’efficienza del processo penale, in linea con gli obiettivi del P.N.R.R. (riduzione del 25% dei tempi medi del processo penale entro il 2026).
Non a caso, già in passato – come in occasione della legge n. 689 del 1981 – l’estensione del regime di procedibilità a querela ha rappresentato una strada alternativa (e, in quell’occasione, parallela) alla depenalizzazione. Entrambe le vie esprimono, con modalità e gradazioni diverse, una valutazione legislativa di diminuito disvalore degli illeciti considerati e conducono ad esiti di deflazione processuale e penitenziaria. Se la depenalizzazione opera in astratto, escludendo l’illecito dal catalogo dei reati e dalla sfera del processo penale, la trasformazione del regime di procedibilità del reato – da procedibile d’ufficio a procedibile a querela – conserva l’astratta rilevanza penale del fatto e opera invece in concreto: la permanenza o meno dell’illecito nella sfera del processo penale viene a dipendere, infatti, da una manifestazione di volontà della persona offesa, che si mostri tempestivamente ed effettivamente interessata all’accertamento di fatti e responsabilità da parte dell’autorità giudiziaria. L’esperienza mostra come per le più diverse ragioni tale interesse, in non pochi casi, manchi e come, nondimeno, il regime di procedibilità d’ufficio previsto per questo o quel reato che offende interessi individuali obblighi l’autorità giudiziaria a compiere dispendiose attività, che il sistema non è in grado di sostenere: men che meno oggi, a fronte degli obiettivi del P.N.R.R. Se si ha a cuore l'effettività della giustizia penale nella persecuzione dei più gravi reati, con sano realismo bisogna rinunciare a qualcosa rispetto a quelli meno gravi.
Estendendo il regime di procedibilità a querela si realizza, infatti, un temperamento del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, senza metterlo in discussione nei suoi fondamenti costituzionali; un temperamento che è tradizionale, nel nostro ordinamento, e senz’altro ragionevole in relazione a reati che offendono interessi individuali, di natura privatistica.
Non solo: l’estensione del regime di procedibilità a querela si inserisce, nella riforma Cartabia, in un disegno più complesso, volto non solo a deflazionare il processo riducendo il numero dei procedimenti – in corrispondenza di quelli non avviati per mancata presentazione della querela –, ma anche a valorizzare condotte riparatorie e ripristinatorie in vista di una ricomposizione del conflitto alternativa all’esito punitivo. Espressione paradigmatica di questa idea è, tra l’altro, la scelta di far conseguire dalla giustizia riparativa effetti rispetto alla remissione della querela: il nuovo art. 152, co. 3. n. 2 c.p. (inserito dall’art. 1, co. 1. Lett. h) d.lgs. n. 150/2022) individua, infatti, una nuova ipotesi di remissione tacita della querela allorché “il querelante ha partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo”. Ebbene, estendere l’area della procedibilità a querela significa valorizzazione cause di estinzione del reato – come la remissione della querela e le condotte riparatorie ex art. 162 ter c.p. – che presuppongono il risarcimento del danno o comunque condotte riparatorie/ripristinatorie, oltre alle nuove condotte rilevanti nel quadro della vera e propria “giustizia riparativa” disciplinata per la prima volta, in modo organico, dalla riforma Cartabia. Vengono così incentivate, rispetto a determinati reati di non particolare gravità e caratterizzati da conflittualità interpersonale, quali tipicamente sono quelli contro la persona e contro il patrimonio, forme alternative di definizione del procedimento penale vantaggiose per tutti: per gli indagati/imputati, che possono uscire anticipatamente dal processo penale giovandosi dell’estinzione del reato; per le persone offese e danneggiate, che possono trovare una concreta e tempestiva risposta alla domanda di giustizia attraverso il risarcimento del danno e le altre condotte riparatorie dell’offesa o ripristinatorie; per l’amministrazione della giustizia, che può definire anticipatamente un certo numero di procedimenti, dedicando le proprie limitate energie ad altri, per reati di maggiore gravità o che coinvolgono interessi superindividuali.
2. In applicazione del criterio di delega di cui all’art. 1, co. 15 della l. 27 settembre 2021, n. 134, che ha recepito una delle proposte della Commissione Lattanzi, il d.lgs. n. 150/2022 estende il regime di procedibilità a querela ad alcuni delitti contro la persona e contro il patrimonio puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni (senza che si tenga conto, a tal fine, delle circostanze). Le scelte del legislatore delegato sono puntualmente riportate nella Relazione illustrativa (ivi, p. 318 ss.), pubblicata anche dalla nostra Rivista, alla quale si rinvia.
2.1. Quanto ai delitti contro la persona, si tratta dei seguenti:
2.2. Quanto, poi, ai reati contro il patrimonio, si tratta dei seguenti delitti:
3. Valorizzando la lettera della legge delega, che individua l’area di intervento del legislatore delegato facendo riferimento a “reati” – e non già a “delitti” – contro la persona o contro il patrimonio”, il d.lgs. n. 150/2020 compie un’altra scelta innovativa rendendo procedibili a querela, per la prima volta, due contravvenzioni previste nel Libro III del codice penale che, in effetti, configurano a ben vedere reati contro la persona, nella misura in cui l’offesa (spesso, per fatti bagatellari) è diretta a persone determinate:
a) il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 c.p.), limitatamente all’ipotesi, prevista dal primo comma, in cui il fatto sia commesso nei confronti delle “persone” (non anche di spettacoli, trattenimenti o ritrovi pubblici);
b) la molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.).
Va segnalato che, per consentire l’estinzione del reato per remissione della querela, anche in rapporto a dette contravvenzioni, il legislatore ha contestualmente modificato il primo comma dell’art. 152 c.p., sostituendo la parola “delitti”, contenuta in quella disposizione, con la parola “reati”, comprensiva anche delle contravvenzioni.
4. È di particolare rilievo segnalare, sia in rapporto ai sopra menzionati delitti, quanto alle anzidette contravvenzioni, che la procedibilità d’ufficio è sempre fatta salva, in attuazione della legge delega, “quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità”.
Si conferma, così una scelta già adottata dal precedente intervento di generale estensione del regime di procedibilità a querela, realizzato con la riforma Orlando (cfr. il criterio di delega di cui all’art. 1, co. 16, lett. a), n. 1 l. 23 giugno 2017, n. 103. V., inoltre, in tema di truffa e altri delitti contro il patrimonio, l’art. 649 bis c.p., come modificato dalla l. n. 3/2019, in sostanziale attuazione – tardiva – della l. n. 103/2017). La volontà del legislatore è di conservare la procedibilità d’ufficio quando la persona offesa non è in grado di manifestare la propria volontà di procedere penalmente in ragione di una condizione di incapacità per ragioni di età (giovane o avanzata) o di infermità (cioè di una condizione patologica, non necessariamente integrante una incapacità di intendere e di volere. La ratio della disposizione richiede, in ogni caso, una vera e propria condizione di incapacità di querelare, associata all’età o all’infermità, che, in concreto e a tutela della persona offesa, renda opportuno che lo Stato proceda comunque. Così, ad esempio, un’età avanzata, non associata a condizioni di incapacità, non rende procedibile d’ufficio il reato; così come una condizione di infermità che non incida in concreto sulla capacità di presentare una querela.
Va peraltro segnalato che le condizioni di incapacità, per età o per infermità, della persona offesa non rendono procedibili d’ufficio le lesioni stradali ex art. 590 bis, co. 1 c.p. Ciò in quanto la legge delega ha dato rilievo a tali condizioni solo in rapporto ai reati “ulteriori” rispetto a quello di cui all’art. 590-bis c.p. La ragionevolezza di questa scelta, dovuta a un difetto di coordinamento della legge delega, appare dubbia.
5. Come si vede, la procedibilità a querela è stata estesa a reati che, per lo più, sono di assai frequente contestazione: lesioni, minaccia, violenza privata, violazione di domicilio, furto, appropriazione indebita, truffa, disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone e molestie. Se si pensa che, tra il 2016 e il 2020, sono stati denunciati quasi sei milioni di furti, e aperti altrettanti fascicoli, l’effetto deflattivo della riforma è potenzialmente notevole in ragione, vuoi del numero di casi in cui non sarà presentata una querela, vuoi del numero di casi in cui potrà essere rimessa la querela, a seguito di condotte risarcitorie o riparatorie delle quali la persona offesa potrà beneficiare in tempi brevi, e non all’esito di un procedimento, a distanza di molti anni. I toni allarmistici di una parte della stampa, che ha riferito in merito alla remissione della querela (con annessa scarcerazione), il giorno stesso dell’entrata in vigore della riforma, in rapporto a fatti di cronaca nera di rilievo mediatico (un sequestro di persona, nel caso del rapper Simba La Rue), non fanno bene alla nostra malandata giustizia penale. Premesso che reati ‘non brutti’ non esistono, se si vuole, come si deve, decongestionare il processo penale, da qualche parte bisogna pur intervenire, come la riforma Cartabia ha coraggiosamente fatto in rapporto a reati, non gravi per quanto talora ‘odiosi’, che offendono interessi individuali: favorendo così non l’impunità (che è comunque tutta da dimostrare, considerato che la presunzione di innocenza, nel dibattito pubblico, non può essere brandita a piacere), bensì la riparazione dell’offesa; un risultato concreto che in molti casi la giustizia penale e civile non riescono ad assicurare. Solleticare la pancia dell’opinione pubblica ad ogni querela non presentata o rimessa, gridando all’impunità, è una forte tentazione populistica, cui corrisponde, come i giuristi sanno, una banalizzazione di una realtà più complessa, necessariamente coinvolta da interventi di riduzione dell’area dei reati procedibili d’ufficio. Non è l’atteggiamento responsabile che può aiutare l’opinione pubblica a comprendere e il Paese a raggiungere gli obiettivi del P.N.R.R., che non possono prescindere da una riduzione del numero dei procedimenti penali. Se tanta polvere viene sollevata per l’estensione della procedibilità a querela, come possono d’altra parte crearsi le premesse culturali, nel Paese, per un serio intervento di depenalizzazione, da molti, ritenuto necessario?
6. Per migliorare l’efficienza del processo penale, la riforma interviene anche su alcuni profili processuali connessi al regime di procedibilità a querela, sui quali in questa sede non ci soffermiamo, rinviando alla Relazione illustrativa (ivi, p. 331 ss.) e ulteriori contributi di approfondimento. Ci riferiamo all’attuazione dei criteri di delega in tema di domicilio del querelante e di notificazioni al querelante (nuovo art. 153-bis c.p.p.), alla mancata ingiustificata comparizione del querelante all’udienza cui è stato citato come testimone (che integra una nuova ipotesi di remissione tacita della querela: art. 152, co. 2, n. 1 e co. 2 c.p.); alla nuova disciplina delle informazioni al querelante (artt. 90, co. 1-bis, 90, lett. a-bis)-a-quinquies e n-bis) c.p.p., 142, co. 3-4 disp. att. c.p.p.).
7. Come già in occasione di precedenti riforme, che hanno esteso il regime della procedibilità a querela, il legislatore si è fatto carico della disciplina transitoria con apposite disposizioni, contenute nell’art. 85 del d.lgs. n. 150/2022. Tale disciplina transitoria presuppone un quadro del diritto vivente da tempo consolidato nel ritenere che le modifiche del regime di procedibilità siano riconducibili alla disciplina in tema di successione di leggi penali di cui all’art. 2 c.p. Ciò sul presupposto che la querela è istituto di “natura mista, sostanziale e processuale…, che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità” (v. già Cass., Sez. III, 8.7.1997, n. 2733, Rv. 209188 e, da ultimo, Cass., Sez. II, 9.1.2020, n. 14987, Rv. 279197).
7.1. La giurisprudenza sui profili intertemporali delle modifiche del regime di procedibilità può essere così compendiata:
8. Nel contesto di una riforma che introduce un regime più favorevole, la disciplina transitoria prevista dall’art. 85 del d.lgs. n. 150/2022 presuppone il principio sub c), cioè l’applicazione retroattiva del nuovo regime di procedibilità a querela. Il primo comma dell’art. 85 stabilisce, infatti, che “per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”. Questa disposizione riproduce quelle già previste dall’art. 99 della l. 24 novembre 1981, n. 689 e dall’art. 12 del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (c.d. riforma Orlando). Il legislatore prevede la retroattività del nuovo regime di procedibilità, che viene riferito ai reati commessi prima della sua entrata in vigore (30 dicembre 2022), e si preoccupa di disciplinare il dies a quo del termine per la presentazione della querela. A tal proposito, si distinguono due ipotesi:
9. Gli effetti deflativi della riforma si produrranno, dunque, sui procedimenti pendenti.
Anzitutto, di norma, se entro il 30 marzo 2022 non viene presentata querela, il giudice dovrà definire il procedimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (termini più lunghi per la presentazione della querela sono notoriamente previsti per alcuni reati: es., per alcuni delitti sessuali, dall’art. 609 septies c.p., che stabilisce un termine annuale, e, per il delitto di atti persecutori, dall’art. 612 bis, co. 4, che stabilisce un termine di sei mesi). È pertanto opportuno che gli uffici giudiziari si organizzino in modo da poter verificare, decorsi tre mesi dalla data di entrata in vigore della riforma, la possibilità di definire il procedimento con una declaratoria di non doversi procedere per difetto di una condizione di procedibilità. Si tratta di una misura organizzativa funzionale, anche nella prospettiva del raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R., all’obiettivo della riduzione del numero dei procedimenti pendenti e dei tempi medi di definizione degli stessi.
Qualora, invece, entro tale data venga presentata una querela, per il reato già procedibile d’ufficio, una pronuncia di non luogo a procedere conseguirà all’eventuale remissione della querela ex art. 152 c.p., che comporterà l’estinzione del reato. Come si è detto, non è inverosimile ritenere, sul piano delle strategie processuali, che possa essere questa una strada percorsa (e incentivata) per sollecitare, da parte dell’indagato o dell’imputato, condotte risarcitorie o riparatorie, con soddisfazione di tutti i protagonisti del processo: della persona offesa, dell’indagato/imputato e dell’autorità giudiziaria, che perviene alla definizione anticipata del procedimento. Anche quando la persona offesa non intenda rimettere la querela, sarà peraltro percorribile la strada dell’estinzione del reato per condotte riparatorie, ai sensi dell’art. 162 ter c.p.
10. Va precisato che la presentazione della querela per il reato già procedibile d’ufficio è un onere della persona offesa, che manifesta così la volontà che si proceda o si continui a procedere. L’esercizio del diritto di querela presuppone la conoscenza del mutato regime di procedibilità, assicurata dalla vacatio legis che, nel caso di specie, è durata ben due mesi e mezzo. Anche e proprio in ragione di questo lungo periodo di vacatio legis, in sede di conversione del d.l. n. 162/2022 il legislatore ha scelto di escludere ai fini della procedibilità ogni onere di informazione della persona offesa a carico dell’autorità giudiziaria. Va infatti segnalato che, in linea con precedenti riforme (l. n. 689/1981 e d.lgs.n. 36/2018), l’art. 85, co. 2 del d.lgs. n. 150/2022, nella versione non entrata in vigore per effetto del differimento ad opera dell’art. 6 d.l. n. 162/2022, stabiliva che “Quando…alla data di entrata in vigore del presente decreto è stata già esercitata l’azione penale, il giudice informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice effettua ogni utile ricerca anagrafica, ove necessaria. Prima dell’esercizio dell’azione penale, provvede il pubblico ministero”. Questa disposizione è stata però espunta dal testo dell’art. 85 in sede di conversione del d.l. n. 162/2022. Si tratta di una scelta ragionevole – in ragione, come si diceva, del lungo periodo di vacatio legis stabilito dallo stesso d.l. n. 162/2022 –, in linea con la ratio del mutato regime di procedibilità (diventa onere della persona offesa manifestare, spontaneamente, la volontà che lo Stato proceda nell’accertare fatti e responsabilità), e, infine, opportuna sul piano del raggiungimento di obiettivi di efficienza ed economia nell’attività processuale. Un onere di ricerca e di informazione di migliaia di persone offese, in migliaia di procedimenti penali, avrebbe comportato un notevole aggravio e dispendio di tempo per l’attività giudiziaria. Re melius perpensa, bene ha fatto il legislatore a rimeditare la disciplina transitoria in esame, discostandosi da un modello tralatizio che, in effetti, è ragionevole e opportuno abbandonare nel momento in cui si persegue l’obiettivo della riduzione dei tempi del processo penale.
11. In sede di conversione del d.l. n. 162/2022, ad opera della l. n. 199/2022, sono state inoltre inserite nell’art. 85 d.lgs. n. 150/2022 tre nuove disposizioni transitorie.
11.1. La prima disposizione, inserita nel nuovo testo dell’art. 85, co. 2 d.lgs. n. 150/2022, regola gli effetti del mutato regime di procedibilità sulle misure cautelari in corso di esecuzione. Va infatti segnalato che l’estensione del regime di procedibilità a querela, operato dalla riforma Cartabia, interessa anche reati per i quali è ammessa la possibilità di applicare misure cautelari: è ad esempio il caso del furto aggravato ex art. 625 c.p. o del sequestro di persona. E va altresì e ancor prima ricordato – e premesso – che il regime di procedibilità a querela non è incompatibile con l’applicazione di misure cautelari, previste in alcuni casi anche in rapporto a reati procedibili a querela (si pensi, ad esempio, alla violenza sessuale). In tale ipotesi, la mancanza della querela comporta la caducazione della misura cautelare che sia stata nondimeno disposta (cfr. Cass, Sez. I, 9.5.1994, n. 2128, Rv.197879): ciò in applicazione dell’art. 273, co. 2 c.p.p., ai sensi del quale nessuna misura cautelare può essere applicata “se risulta che il fatto è stato commesso in presenza di una causa…di non punibilità”, per tale dovendosi intendere, in linea con l’art. 129 c.p.p., anche una causa di improcedibilità, attratta, per l’appunto, nell’obbligo della immediata declaratoria di “cause di non punibilità”. La legge è d’altra parte esplicita, a riguardo, in rapporto alla misura precautelare dell’arresto obbligatorio in flagranza: ai sensi dell’art. 380, co. 3 c.p.p., infatti, “se si tratta di delitto perseguibile a querela, l’arresto in flagranza è eseguito se la querela viene proposta, anche con dichiarazione resa oralmente all'ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria presente nel luogo. Se l’avente diritto dichiara di rimettere la querela, l’arrestato è posto immediatamente in libertà”.
Senonché, il difetto di un’apposita disciplina transitoria, nell’originaria versione dell’art. 85 d.lgs. n. 150/2022, aveva fatto sorgere alcuni dubbi interpretativi, alimentati anche dai già ricordati toni allarmistici di alcuni quotidiani dal populismo facile, preoccupati di un effetto “salva-ladri” (sic) conseguente alla possibile caducazione delle misure cautelari e, in particolare, della custodia in carcere per gli indagati/imputati per furto aggravato. Una relazione dell’Ufficio del Massimario della Cassazione (red. Natalini), pubblicata anche su questa Rivista, dà ampiamente conto del dubbio interpretativo (ivi, p. 40 ss.), fondato su una possibile lettura alternativa, sostenuta dalla Relazione stessa, orientata nel senso della ultrattività della procedibilità d’ufficio, in costanza del termine per proporre la querela.
In sede di conversione del d.l. n. 162/2022 è stata inserita una disposizione transitoria che, fugando ogni possibile dubbio interpretativo, disciplina l’ipotesi del sopravvenuto regime di procedibilità a querela del reato in relazione al quale, prima del 30 dicembre 2022, sia stata disposta una misura cautelare. Ai sensi del nuovo comma 2 dell’art. 85 del d.lgs. n. 150/2022, come modificato dalla legge di conversione del d.l. n. 162/2022, “le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela”. Resta peraltro ferma, per espressa previsione normativa, la possibilità per la persona offesa di presentare querela successivamente, purché entro il termine ordinario, consentendo così la prosecuzione del giudizio, pur dopo la revoca della misura cautelare.
La scelta del legislatore, preoccupato di evitare la possibile caducazione delle misure al momento dell’entrata in vigore della riforma, è dunque di condizionare l’efficacia delle misure stesse alla presentazione della querela entro un breve termine, individuato in quello di venti giorni. Non si tratta di un termine individuato arbitrariamente, avendo esso – come si legge nella relazione illustrativa dell’emendamento governativo alla legge di conversione del d.l. n. 162/2022 – un aggancio sistematico in quello previsto dall’art. 27 c.p.p., secondo cui le misure cautelari disposte dal giudice che, contestualmente o successivamente, si dichiara incompetente per qualsiasi causa cessano di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza di trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma di legge. Il legislatore ha cercato di trovare un non facile ma, ci pare, nel complesso ragionevole bilanciamento tra la salvaguardia delle esigenze cautelari e la tutela dei diritti (a partire dalla libertà personale) compressi dalle misure cautelari in corso di esecuzione. Il lungo periodo di prolungata vacatio legis disposto con il d.l. n. 162/2022, d’altra parte, avrebbe potuto legittimare una soluzione diversa, come quella dell’immediata caducazione delle misure cautelari in difetto della presentazione della querela da parte della persona offesa, che si sarebbe potuta attivare spontaneamente o dopo opportune sollecitazioni dell’autorità giudiziaria (che ha avuto due mesi e mezzo per farlo). Ha prevalso, nella valutazione del legislatore, la pur apprezzabile preoccupazione di difendere la riforma dalle polemiche sollevate da chi ha espresso timore per possibili scarcerazioni ed effetti “salva-ladri”. E’, con sano realismo, un prezzo che la politica criminale ha dovuto pagare sull’altare di dannose campagne mediatiche di impronta populista.
Proprio per far fronte a simili preoccupazioni, un onere di ricerca della persona offesa, ai fini della presentazione della querela, viene mantenuto dal legislatore in capo all’autorità giudiziaria solo rispetto all’ipotesi in cui, per il reato reso procedibile a querela, e per il quale si procede, risulti applicata e in corso di esecuzione una misura cautelare. Sempre il comma 2 dell’art. 85 stabilisce che, al fine di acquisire la querela, “l'autorità giudiziaria effettua ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria”. Il prolungato periodo di vacatio legis del d.lgs. n. 150/2022, a ben vedere, dovrebbe aver consentito all’autorità giudiziaria di organizzarsi per tempo, a tal fine, scongiurando il rischio della caducazione delle misure cautelari.
Il favor del legislatore per la tutela delle esigenze cautelari, nei procedimenti relativi a reati resi procedibili a querela, è infine testimoniato altresì da un’ulteriore disposizione, contenuta nell’ultimo periodo dell’art. 85, co. 2 d.lgs. n. 150/2022, come modificato in sede di conversione del d.l. n. 162/2022: durante la pendenza del già menzionato termine di venti giorni, sono sospesi i termini di durata massima della custodia cautelare, previsti dall'art. 303 c.p.p. Prolungare la durata della custodia cautelare disposta per reati di non particolare gravità, confermata dalla valutazione del legislatore che li rende procedibili a querela, dando, rispetto all’entrata in vigore della riforma, due mesi e mezzo di anticipo all’autorità giudiziaria per rintracciare la persona offesa, poteva forse essere ragionevolmente evitato. Sembra trattarsi anche in questo caso, a ben vedere, di un altro prezzo pagato, con sano realismo, per evitare i toni allarmistici di quanti hanno paventato un effetto “salva-ladri”. Decongestionare il processo penale e ridurre i destinatari (presunti innocenti) di misure cautelari, ai tempi del populismo, è operazione tanto necessaria quanto difficile.
11.2. Un’ulteriore disposizione transitoria, inserita in sede di conversione del d.l. n. 162/2022 nel nuovo comma 2 bis dell’art. 85 d.lgs. n. 150/2022, stabilisce poi che durante la pendenza dei termini per presentare la querela – di quello, ordinario, per la procedibilità, e di quello, di venti giorni, dal quale dipende anche la conservazione della misura cautelare in corso di esecuzione – si applica l’art. 346 c.p.p. (‘Atti compiuti in mancanza di una condizione di procedibilità’): possono pertanto essere compiuti gli atti d’indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova e, quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove con incidente probatorio, ai sensi dell’art. 392 c.p.p. La ratio della disposizione è di consentire, in pendenza del termine per presentare la querela per il reato, già procedibile d’ufficio, che vengano effettuate le sole attività di raccolta delle prove a rischio di dispersione. Essendo la procedibilità condizionata alla eventuale presentazione della querela, è ragionevole, per ragioni di economia processuale, limitare in tal senso le attività d’indagine, in linea con la regola generale di cui all’art. 346 c.p.p.
11.3. La nuova disciplina transitoria è, infine, completata dalla previsione contenuta nel nuovo comma 2 ter dell’art. 85 d.lgs. n. 150/2022, ai sensi del quale “per i delitti di cui agli articoli 609 bis, 612 bis e 612 ter del codice penale, commessi prima dell’entrata in vigore del presente decreto, continua a procedersi d’ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto”. Per inquadrare tale disposizione transitoria va premesso che le legge prevede, per i richiamati delitti di violenza sessuale, ‘stalking’ e ‘revenge porn’, che si proceda d’ufficio in caso di connessione con altro delitto procedibile d’ufficio (cfr. gli artt. 609 septies, co. 4, n. 4, 612 bis, co. 4, 612 ter, co. 5 c.p.). Il regime di procedibilità previsto per i tre delitti in questione non è stato modificato dal d.lgs. n. 150/2022; nondimeno, il legislatore si è preoccupato di escludere possibili effetti indiretti, conseguenti al mutato regime di procedibilità di reati che possono essere connessi con quei delitti. Si pensi, ad esempio, a una violenza sessuale procedibile a querela, che sia connessa con delle lesioni personali lievi, procedibili d’ufficio prima del d.lgs. n. 150/2022. Il mutato regime di procedibilità del reato connesso, quand’anche per esso non venga presentata querela, non farà venir meno la procedibilità d’ufficio della violenza sessuale. Per espressa previsione normativa, ciò è vero, tuttavia, solo in relazione ai fatti commessi prima del 30 dicembre 2022.
Tale disposizione transitoria sembra a prima vista di dubbia compatibilità con il principio di retroattività della legge penale più favorevole, al quale sembra derogare impedendo che la modifica del regime di procedibilità produca effetti sui reati connessi di cui si è detto. Se così fosse, premessi i richiamati principi giurisprudenziali in tema di retroattività delle modifiche migliorative del regime di procedibilità, si tratterebbe, al metro dell’art. 3 Cost., di individuare valide ragioni in grado di giustificare la deroga al principio di retroattività della lex mitior e la disparità di trattamento rispetto ai fatti, procedibili a querela, di violenza sessuale, stalking e revenge porn commessi dopo il 30 dicembre 2022. Il problema, tuttavia, può forse essere superato accedendo alla tesi della natura non integratrice delle norme richiamate dalle citate disposizioni del codice penale attraverso l’elemento normativo “delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”. In tale prospettiva, la procedibilità d’ufficio del delitto connesso rappresenta un presupposto di fatto per l’applicazione della legge penale, indifferente a successive modifiche normative. Sostanzialmente su questa linea, la Cassazione ha escluso in passato che venga meno la procedibilità d’ufficio della violenza sessuale, ai sensi dell’art. 609 septies, co. 4, n. 4 c.p., qualora venga abolito il connesso reato procedibile d’ufficio (cfr. Cass., Sez. III, 31.1.2019, n. 17070, Rv. 275943; Cass., Sez. III, 29.11.2011, n. 1190, Rv. 251908).
12. Prima di concludere, va segnalato, per completezza, che la Corte di cassazione ha escluso che l’estensione del regime di procedibilità a querela operato dal d.lgs. n. 150/2022 abbia prodotto effetti nel periodo di vacatio legis, prolungato dall’art. 6 d.l. n. 162/2022 fino al 30 dicembre 2022 (cfr. Cass., Sez. V, 4.11.2022, n. 45104, che può leggersi in allegato). Nel caso di specie, la S.C., giudicando nel periodo di vacatio legis in un procedimento per lesioni personali commesse prima dell’entrata in vigore della riforma, allorché erano procedibili d’ufficio, ha escluso che l’intervenuta remissione della querela potesse avere comportato l’estinzione del reato. La Cassazione è giunta a questa conclusione dopo essersi espressamente discostata da un diverso indirizzo espresso in due precedenti pronunce (Cass., Sez. I, 14.5.2019, n. 39977, Rv. 276949; Cass., Sez. I, 18.5.2017, n. 53602, Rv. 271639), già problematicamente segnalate su questa Rivista in un nostro precedente contributo (ivi, § 3.3.). Secondo la richiamata giurisprudenza della Prima Sezione, formatasi, rispettivamente, in tema di abolitio criminis e di ampliamento della sfera della legittima difesa, la ratio di garanzia della conoscibilità della legge penale, connessa al termine di vacatio legis, è un indispensabile presupposto per l’applicazione di norme penali sfavorevoli; non anche di norme penali favorevoli all’agente, che potrebbero essere applicate già nel periodo di vacatio. Di diverso avviso è, tuttavia, la Quinta Sezione, che adduce una serie di motivi in senso contrario. Essa:
a) valorizza “l’univoco tenore dell’art. 10 delle preleggi e quello, ancor più perspicuo, dell’art. 73, terzo comma Cost”, dai quali risulta che “il periodo di vacatio costituisce il riferimento essenziale per fissare il momento in cui la legge entrerà in vigore”;
b) osserva come è ben possibile, ed è accaduto nel recente passato in una vicenda normativa in tema di reati alimentari, di cui si è dato conto anche sulle pagine di questa Rivista, che il legislatore torni sui suoi passi (nel caso di specie, accorgendosi di aver commesso un errore) e, prima che entri in vigore, modifichi nel periodo di vacatio una legge già pubblicata;
c) sottolinea come, attraverso il d.l. n. 162/2022, il legislatore ha comunque manifestato una volontà di differimento degli effetti della riforma (della cui ragionevolezza, tuttavia, potrebbe dubitarsi, per ragioni che abbiamo esposto in un nostro precedente contributo).
Nel caso di specie, pur nel contesto di un pregevole percorso argomentativo, la Cassazione ha avuto ‘buon gioco’ a escludere l’effetto estintivo della remissione della querela intervenuta nel periodo di vacatio legis: il reato, infatti, era comunque estinto per prescrizione e l’esito, pertanto, non è stato quello di una condanna irrevocabile. Il problema è oggi verosimilmente superato, in buona parte, a seguito dell’entrata in vigore della riforma. Senonché proprio questo caso induce a riflettere su come il differimento di due mesi e mezzo dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 può avere comportato in alcuni casi effetti pregiudizievoli, impedendo l’applicazione della lex mitior. Si pensi, emblematicamente, al caso della mancata possibilità di sostituire una pena detentiva con una pena sostitutiva, grazie alla nuova disciplina introdotta dalla riforma; o al caso della mancata applicazione del riformato art. 131 bis c.p. rispetto a un reato fino a ieri escluso dalla sfera della causa di esclusione della punibilità, o al mancato riconoscimento, appunto, dell’estinzione del reato per intervenuta remissione della querela. Casi consimili, senza mettere in discussione il principio affermato dalla Quinta Sezione, chiamano in causa il principio di ragionevolezza rispetto alla scelta, criticabile, di aver rinviato l’entrata in vigore dell’intera riforma Cartabia con il d.l. n. 162/2022.
Una questione di legittimità costituzionale - non ancora affrontata dalla Corte - è stata sollevata dal Tribunale di Siena proprio in un caso in cui pure veniva in rilievo la remissione della querela. Non è inverosimile che, in rapporto a effetti pregiudizievoli realizzati dalla prolungata vacatio legis, possano essere sollevate nuove questioni di legittimità costituzionale. E va osservato a ben vedere, come il problema si risolverebbe – e si sdrammatizzerebbe – se nel nostro sistema, come avviene in altri ordinamenti, non operasse il limite del giudicato di cui all’art. 2, co. 4 c.p., che impedisce la retroattività delle leggi penali più favorevoli, diverse da quelle che aboliscono il reato. È chiaro, infatti, che gli effetti pregiudizievoli del prolungamento del periodo di vacatio legis possono essere sterilizzati a giudizio in corso (in appello o in cassazione) mentre, in ragione di quel limite, non possono più esserlo da noi dopo la formazione del giudicato (cosa che non si verifica in altri paesi, come ad es. in Cile, dove si registra un interessante dibattito sul punto, sdrammatizzato, appunto, per il fatto che non opera il limite del giudicato. Interessante, sul punto, G. Oliver, Retroactividad e irretroactividad de las leyes penales, 2007. V. anche da ultimo, in argomento, A. Bascuñán Rodríguez, 'Tiempo y validez' revisitado, in J. F. Beltran, J. Moreso, P.E. Navarro, J.L. Rodriguez (Coords.), Eugenio Bulygin en la teoria del derehco contemporanea, vol. I, 2022, p. 333 s.).
Che ciò sia ragionevole è lecito dubitare. Oltre che sul d.l. n. 162/2022, i dubbi di legittimità costituzionale (si pensi, ancora, al caso della mancata sostituzione di una pena detentiva), sembrano allora a nostro avviso addensarsi sull’art. 2, co. 4 c.p., nella parte in cui non consente al giudice dell’esecuzione di rimuovere il giudicato o di rideterminare la pena in applicazione di una lex mitior sopravvenuta alla condanna definitiva, quanto meno se quella condanna è stata pronunciata nel periodo di vacatio di una legge poi entrata in vigore.