ISSN 2704-8098
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16 Febbraio 2022


Osservatorio Corte EDU: gennaio 2022

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Maria Crippa (artt. 2, 3, 7 e 10 Cedu) e Roberta Casiraghi (artt. 5 e 6 Cedu).

 

In gennaio abbiamo selezionato pronunce relative a: mancato impedimento di suicidio e relative indagini (art. 2 Cedu); detenzione in carcere di soggetto affetto da disturbo bipolare (artt. 3, 5 e 6 Cedu); assenza di udienza nel procedimento di riesame della custodia cautelare (art. 5 Cedu); diritto a comunicare con il proprio difensore prima dell’interrogatorio di polizia (art. 6 Cedu); diritto di confrontarsi con i testimoni a carico (art. 6 Cedu); fondamento normativo e prevedibilità del precetto da parte del comandante militare condannato per omesso impedimento dei crimini di guerra commessi dai soldati sotto il suo controllo (art. 7 Cedu); abuso dell’arresto e della sanzione penale per sopprimere il mero dissenso politico  (art. 10 Cedu).

 

Segnaliamo ai lettori dell'Osservatorio Cedu l’entrata in vigore del Protocollo n. 15 della Convenzione, ratificato da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, che riduce da 6 a 4 mesi il termine di decadenza per proporre ricorso alla Corte europea, sempre a decorrere dalla pronuncia definitiva della giurisdizione nazionale secondo il principio dell’esaurimento delle vie di ricorso interne. La modifica è in vigore dal 1° febbraio 2022 e trova applicazione soltanto rispetto ai casi in cui la pronuncia nazionale definitiva è stata resa a partire da quella data in avanti.

 

ART. 2 CEDU

C.edu., sez. V, sent. 20 gennaio 2022, Edzgveradze c. Georgia.

Suicidio a seguito della deposizione di fronte alla polizia giudiziaria – mancata conduzione di indagini effettive - violazione

Il ricorso si incentra sul suicidio di un cittadino georgiano avvenuto nel luglio 2013, a seguito di una sua deposizione alla polizia giudiziaria, nel corso della quale sarebbe stato soggetto a gravi forme di pressione e forzato a rilasciare dichiarazioni sfavorevoli nei confronti di un conoscente. Nonostante la denuncia della scomparsa del marito e la testimonianza di un collega, che aveva riferito dello stato particolarmente agitato dell’uomo, le forze dell’ordine non avevano avviato alcuna operazione di ricerca. Le indagini avviate nel marzo 2016 per istigazione al suicidio (art. 115 codice penale georgiano) venivano archiviate per assenza di un nesso di correlazione diretta tra la condotta dei pubblici ufficiali e le circostanze spazio-temporali del suicidio. L’appello della moglie avverso tale decisione veniva rigettato nel giugno 2016, in ragione del suo mancato riconoscimento quale persona offesa. La ricorrente, moglie del defunto, lamentava la violazione dell’art. 2 Cedu, in relazione all’omesso impedimento del suicidio del marito e al profilo processuale della mancata conduzione di indagini effettive sulle circostanze che avevano condotto alla sua morte. La C. eur. dir. uomo ha accolto il ricorso e ritenuto violato l’art. 2 Cedu sotto il solo profilo processuale. I giudici hanno, in particolare, evidenziato come la connessione causale tra la condotta tenuta dalla polizia georgiana nel corso della deposizione e l’evento suicidario del giorno successivo avesse determinato l’obbligo in capo alle autorità giudiziarie di condurre indagini effettive sulla vicenda e di assicurarne le prove. Ciononostante, le brevissime indagini, della durata di soli tre mesi, avevano condotto ad un provvedimento di archiviazione del procedimento, sulla base di un’unica testimonianza, rilasciata da un soggetto che si era assentato dalla deposizione per oltre quaranta minuti. La C. eur. dir. uomo ha, invece, rigettato l’istanza in punto di violazione dell’art. 2 Cedu per quanto concerne l’omesso impedimento del suicidio da parte delle forze dell’ordine georgiane. (Maria Crippa)

Riferimenti bibliografici: A. Faina, Malfunctioning of domestic system e violazione degli aspetti sostanziali e procedurali del diritto alla vita, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 1, p. 359 e seguenti.

 

ART. 3 CEDU

C.edu., sez. I, sent. 24 gennaio 2022, Sy c. Italia.

Trattamenti inumani e degradanti – detenzione in carcere di un soggetto con disturbo bipolare della personalità in condizioni di precarietà – assenza di percorso terapeutico – violazione

Il ricorso ha ad oggetto la complessa vicenda giudiziaria che ha coinvolto G. Seydou Sy, cittadino italiano affetto da disturbo bipolare della personalità, a seguito dell’arresto il 15 luglio 2017 per resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e molestie. A causa di diversi episodi di allontanamento dall’abitazione, presso la quale Sy si trovava agli arresti domiciliari, il 4 settembre 2017 il Giudice per le indagini preliminari disponeva la custodia cautelare presso il carcere di Rebibbia e, contestualmente, richiedeva una perizia psichiatrica per verificare la compatibilità dello stato di salute del ricorrente con la detenzione. Il 22 novembre 2017, all’esito del giudizio abbreviato, il Gip assolveva Sy per difetto di imputabilità, e ne ordinava il ricovero della durata di sei mesi in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), presso la quale Sy avrebbe invero dovuto trovarsi già dal 6 ottobre 2017, a seguito della sostituzione della custodia cautelare in carcere per le sue condizioni di salute mentale e di pericolosità sociale. A causa della assenza di posti disponibili nelle REMS, il 23 dicembre 2017 il ricorrente veniva rimesso in libertà, a condizione della partecipazione ad un percorso di terapia personalizzato. Preso atto della persistenza della pericolosità sociale di Sy, il 14 maggio 2018 il giudice dell’esecuzione convertiva la misura del ricovero in una REMS con un anno di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, contestualmente alla prescrizione di un percorso terapeutico. Il 2 luglio 2018 Sy veniva arrestato per furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale, e sottoposto a custodia cautelare nel carcere di Rebibbia. La condanna inflitta in primo grado veniva ridotta a undici mesi di reclusione dalla Corte d’Appello di Roma, che, detratto il tempo già trascorso in custodia cautelare, ordinava la liberazione del ricorrente il 20 maggio 2019. Nel frattempo, il giudice dell’esecuzione convertiva la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con il ricovero in una REMS per un anno; Sy rimaneva, tuttavia, detenuto presso il carcere di Rebibbia a causa della mancanza di posti disponibili negli istituti di esecuzione delle misure di sicurezza. Il 7 aprile 2020, su istanza del ricorrente, la C. eur. dir. uomo imponeva al governo italiano la misura provvisoria (ex reg. 39 Regolamento Cedu) del trasferimento di Sy presso una REMS ovvero altro istituto compatibile con un percorso terapeutico e di trattamento del disturbo psichico. Il ricorrente, trasferito nella REMS Castore di Subiaco il 27 luglio 2020, lamentava la violazione, tra gli altri, dell’art. 3 Cedu, poiché la detenzione presso l’istituto carcerario ordinario di Rebibbia avrebbe impedito di seguire un percorso terapeutico riabilitativo. La C. eur. dir. uomo ha accolto il ricorso e ritenuto all’unanimità la violazione dell’art. 3 Cedu, in quanto lo stato di salute mentale del ricorrente, attestato in più occasioni dai giudici nazionali, nonché dai consulenti d’ufficio e dai medici del carcere, e la sottoposizione ad un percorso terapeutico personalizzato risultavano incompatibili con la carcerazione ordinaria, prolungatasi per quasi due anni in luogo del ricovero presso una REMS. Le condizioni della detenzione avevano, invero, contribuito al persistere e all’aggravarsi del disturbo psichico del ricorrente, che non aveva potuto beneficiare di alcun trattamento medico terapeutico personalizzato. Per i profili relativi agli artt. 5 e 6 Cedu, v. infra (Maria Crippa)

Riferimenti bibliografici: S. Santini, La dignità umana quale barriera invalicabile: la Corte di Strasburgo “respinge” la disciplina italiana dell’ergastolo ostativo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 4, p. 2246 e seguenti.

 

ART. 5 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 24 gennaio 2022, Sy c. Italia

Legalità della detenzione - incompatibilità della detenzione con lo stato di salute mentale – diritto alla riparazione per l’illegittima detenzione – mancata esecuzione della sentenza che disponeva la scarcerazione – mancata adozione delle misure ad interim indicate dalla Corte di Strasburgo - violazione

Per la sintesi della vicenda e i profili relativi all’art. 3 Cedu, v. supra. Il ricorrente lamentava, inoltre, l’illegittimità della sua detenzione. A tal riguardo, il giudice europeo individua due distinti periodi di detenzione. Con riguardo a un primo periodo decorrente dalla data in cui il ricorrente è stato incarcerato dopo aver violato le condizioni degli arresti domiciliari alla data della sentenza con cui la corte d'appello ha ordinato la sua rimessione in libertà, viene esclusa la violazione convenzionale: constatato che tale periodo rientra nelle previsioni di cui all’art. 5 comma 1 lett. a Cedu (§ 118), la Corte europea rammenta che l'assenza di cure adeguate potrebbe porre un problema di compatibilità con la suddetta disposizione quando un ricorrente detenuto soffre di una patologia psichica talmente grave da impedirgli di comprendere l'obiettivo di reinserimento sociale perseguito dalla detenzione e di beneficiarne; nondimeno, nel caso di specie, dal fascicolo processuale, e in particolare dalla perizia psichiatrica, risulta la consapevole partecipazione al processo del ricorrente, cosicché, in mancanza di altri elementi, può concludersi che il ricorrente (regolarmente detenuto in seguito a una condanna, ancorché non definitiva) fosse in grado di comprendere la finalità di reinserimento sociale perseguita dalla detenzione e di beneficiarne (§ 122-123). Con riguardo al successivo periodo di detenzione (decorrente dalla data in cui la corte d’appello ha revocato la misura cautelare e disposto la liberazione del ricorrente alla data in cui questi è stato trasferito in una comunità terapeutica), esso si è protratto in assenza di una base legale (§ 125); né la protrazione dello status detentionis poteva giustificarsi, come addotto dal Governo italiano, sulla scorta di una (di qualche mese) precedente ordinanza del magistrato di sorveglianza che aveva ordinato il ricovero in REMS del ricorrente, in quanto la detenzione in ambiente penitenziario e il ricovero in REMS sono misure diverse per ciò che riguarda le loro condizioni di applicazione, le loro modalità di esecuzione e lo scopo che esse perseguono (§ 128). In ogni caso, il giudice europeo reputa non necessario stabilire se la detenzione del ricorrente durante il periodo in questione sia stata decisa nei modi previsti dalla legge, poiché tale periodo di detenzione non soddisfaceva comunque i requisiti di regolarità previsti dall'articolo 5 comma 1 lett. e Cedu. A tal riguardo, il giudice europeo rammenta anzitutto che, ai sensi della suddetta norma, un individuo può essere considerato «alienato» e subire una privazione della libertà soltanto se sussistono almeno le tre condizioni seguenti: in primo luogo, la sua alienazione deve essere stata accertata in maniera probante; in secondo luogo, il disturbo deve essere di natura o di ampiezza tale da legittimare l'internamento; in terzo luogo, l'internamento non può protrarsi validamente se non persiste tale disturbo (§ 104-110). Inoltre, la detenzione è «regolare» in riferimento all’art. 5 comma 1 lett. e Cedu soltanto se avviene in un ospedale, in una clinica o in un altro istituto adeguato (§ 111), considerata la duplice funzione di tale privazione della libertà, avente, da una parte, una funzione sociale di protezione, e, dall'altra, una funzione terapeutica, affinché la persona alienata possa beneficiare di una terapia o di un percorso di cura appropriati e individualizzati (§ 114). Nel caso in esame, non sussistevano i predetti requisiti: premesso che, alla data in cui è stato ordinato il ricovero in REMS, l'alienazione del ricorrente era stata dimostrata mediante una perizia medica e il disturbo mentale del ricorrente legittimava l'internamento, data la grave violazione alle condizioni della libertà vigilata, la Corte europea osserva che, nel caso in esame, il ricorrente è stato mantenuto in detenzione in regime carcerario ordinario, in cattive condizioni, e non ha beneficiato di un percorso terapeutico individualizzato (§ 133-134). Né i problemi logistici e finanziari possono essere addotti a giustificazione, poiché lo Stato è tenuto a organizzare il proprio sistema penitenziario in modo da assicurare ai detenuti il rispetto della loro dignità umana (§ 135). Risulta pertanto violato l’art. 5 comma 1 Cedu. È altresì violato l’art. 5 comma 5 Cedu: l'azione civile di risarcimento dei danni prevista dall'art. 2043 c.c. esige che il ricorrente provi l'esistenza del fatto illecito, il dolo o la colpa dell'amministrazione e i danni subiti, richiedendo pertanto all’istante un onere probatorio eccessivo che priva il rimedio di effettività (§ 147). Per i profili relativi all’art. 6 Cedu, v. infra. (Roberta Casiraghi

Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Detenzione e infermità psichica sopravvenuta: un problema europeo e una soluzione nazionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1065 ss.

 

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 25 gennaio 2022, Kocamış e Kurt c. Turchia

Diritto a un controllo sulla legalità della detenzione provvisoria – difetto di udienza - mancata notifica del parere scritto del pubblico ministero alla difesa – violazione

I ricorrenti lamentano l’assenza di un'udienza nel procedimento di riesame della custodia cautelare. Il giudice europeo ribadisce che, in caso di detenzione provvisoria, la possibilità per il soggetto in vinculis di essere ascoltato di persona nel corso del procedimento relativo al controllo sulla legalità della detenzione figura tra le garanzie procedurali fondamentali (§ 24). Con particolare riguardo al sistema turco, la Corte di Strasburgo osserva che, potendo il detenuto sia presentare una richiesta di revoca della misura cautelare in qualsiasi momento sia reiterare tale domanda senza dover attendere un periodo determinato, non è necessario lo svolgimento di un'udienza per ogni istanza di revoca; tuttavia, all’accusato in vinculis dovrebbe riconoscersi, a intervalli ragionevoli, il diritto di essere ascoltato dal giudice che controlla la legalità della detenzione (§ 26). Nel caso di specie, diversamente, i ricorrenti non hanno avuto la possibilità di essere sentiti dal giudice che ha esaminato la loro opposizione alla proroga della custodia cautelare (presentata e discussa dopo circa un mese dall’inizio della custodia cautelare); solo a partire dalla prima udienza dibattimentale – circa due mesi e dieci giorni dopo l’inizio della custodia cautelare – i ricorrenti hanno potuto comparire con cadenza più o meno regolare dinanzi a un tribunale per il riesame della loro detenzione. Ne consegue la violazione dell’art. 5 comma 4 Cedu (§ 29-31). Tale norma risulta altresì violata in ragione della mancata comunicazione ai ricorrenti e ai loro difensori del parere scritto del pubblico ministero presentato in sede di esame dell’opposizione alla proroga della custodia cautelare (§ 35). Infine, è accertata la violazione dell’art. 5 comma 5 Cedu, in quanto l’ordinamento turco non prevede la possibilità di chiedere il risarcimento del danno subito a causa di vizi procedurali riscontrati nel procedimento cautelare. (Roberta Casiraghi)

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Impugnazioni de libertate e garanzie minime dell’equità processuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 968 ss.

 

Art. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 18 gennaio 2022, Atristain Gorosabel c. Spagna

Equità processuale – difesa tecnica - diritto a un difensore di fiducia – diritto a comunicare con il proprio difensore prima dell’interrogatorio di polizia - violazione

Nell’ambito di un’indagine terroristica, al ricorrente, arrestato e posto in detenzione cautelare, viene assegnato un difensore d’ufficio, senza la facoltà di nominarne uno di propria fiducia, e con l’ulteriore limitazione del divieto di incontrare il difensore assegnatogli d’ufficio prima dell’interrogatorio di polizia. Durante tale atto, il ricorrente, assistito dal difensore d’ufficio, rilascia dichiarazioni confessorie, sulla cui scorta le autorità inquirenti conducono una perquisizione a seguito della quale viene rinvenuto materiale esplosivo. Il processo, nel corso del quale l’imputato è assistito da un difensore di propria fiducia, si conclude con una sentenza di condanna, confermata nei giudizi di impugnazione. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 Cedu, per non aver potuto scegliere fin da subito un difensore di fiducia e per essergli stata negata la facoltà di interloquire con il difensore d’ufficio prima dell’interrogatorio di polizia. Anzitutto, il giudice europeo rileva che la limitazione del diritto di scegliere un avvocato di propria fiducia non era sostenuta da motivi pertinenti e sufficienti, non essendo basata su una valutazione individuale delle circostanze particolari del caso, bensì discendeva in via generale dalla tipologia di reato per cui il ricorrente era accusato (§ 58-60). Né esistevano ragioni impellenti per giustificare le restrizioni al diritto dell’accusato di comunicare con il difensore d’ufficio (§ 63). Quanto all’equità complessiva del procedimento, nonostante vi fossero altre prove contro il ricorrente, il significativo impatto della sua confessione iniziale sull'ulteriore sviluppo del procedimento penale a suo carico non può essere ignorato (§ 67). Di qui, la violazione convenzionale. (Roberta Casiraghi)

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Violazione della difesa tecnica ed equità processuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1211 ss.

 

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 18 gennaio 2022, Faysal Pamuk c. Turchia

Equità processuale – diritto al confronto – testimoni assenti sentiti da un tribunale diverso rispetto a quello chiamato a decidere - principio d’immediatezza – prove decisive – assenza di idonei fattori di bilanciamento - violazione

Il ricorrente, appartenente a un’organizzazione terroristica, viene rinviato a giudizio e condannato per la sua partecipazione a due operazioni armate. La sentenza di condanna si basa, fra le altre prove, sulle dichiarazioni rese da quattro imputati in procedimento connesso che la difesa non ha mai avuto occasione di sentire. Quando il difensore del ricorrente ha chiesto al tribunale di primo grado di tenere un confronto tra il ricorrente e i quattro testimoni, il tribunale ha delegato all’esame i tribunali del luogo di residenza dei testimoni. Il ricorrente lamenta dunque la violazione del diritto a confrontarsi con le fonti di prova a carico. La Corte di Strasburgo, anzitutto, osserva che la circostanza che tre testimoni si trovassero in carcere in un’altra città non costituisce di per sé motivo sufficiente per giustificare la loro assenza dibattimentale (§ 56), mentre con riguardo al quarto testimone - dichiarato irreperibile - non sono stata esperite tutte le necessarie ricerche per permettere la sua audizione davanti al giudice delegato (§ 57). Accertata l’assenza di buone ragioni che giustificassero l’assenza dei testimoni, il giudice europeo rileva altresì il peso probatorio determinante delle quattro testimonianze (§ 61). Neppure risultano idonee garanzie procedurali che abbiano compensato la mancata opportunità della difesa di interrogare le fonti di prova a carico. Anzitutto, la delega di assumere le testimonianze al tribunale del luogo di residenza dei testi non ha consentito alla difesa di valutare correttamente ed equamente la credibilità delle prove, in quanto richiedere agli avvocati di assistere a udienze potenzialmente multiple in città lontane costituisce un onere sproporzionato incompatibile con il principio di uguaglianza delle armi; per di più, nel caso di specie, nonostante l'identificazione fisica giocasse un ruolo fondamentale e quindi la presenza personale del ricorrente all’esame dei testimoni fosse di cruciale importanza, non essendo sufficiente l’eventuale possibilità del difensore di contestare la credibilità dei dichiaranti, il ricorrente, in custodia cautelare per tutto il procedimento penale, non poteva, sulla scorta della normativa nazionale, partecipare alle udienze dinanzi ai diversi tribunali (§ 69). In secondo luogo, è stato compromesso il principio d'immediatezza, in quanto i giudici chiamati a pronunciarsi sulla colpevolezza dell’imputato non hanno fatto tutto ciò che era ragionevolmente possibile per essere in grado di osservare direttamente il comportamento e la credibilità dei testimoni (§ 70). Inoltre, non risulta che i giudici nazionali abbiano valutato le dichiarazioni dei testimoni assenti con una particolare cautela (§ 72). In conclusione, il pregiudizio subito dalla difesa in ordine all’opportunità di verificare la veridicità e l'attendibilità delle testimonianze determinanti ha inficiato l'equità complessiva del procedimento, risultando così violato l’art. 6 commi 1 e 3 lett. d Cedu (§ 75-76). (Roberta Casiraghi)

Riferimenti bibliografici: S. Buzzelli, Violazione dei diritti di difesa tecnica e al confronto in Ucraina, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 348 ss.

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 24 gennaio 2022, Sy c. Italia

Mancata esecuzione della sentenza che disponeva la scarcerazione – mancata esecuzione dell’ordinanza che disponeva il ricovero in REMS in luogo del carcere – mancata adozione delle misure ad interim indicate dalla Corte di Strasburgo (art. 34) - violazione

Per la ricostruzione della vicenda e i profili relativi agli artt. 3 e 5 Cedu, v. supra nei corrispondenti paragrafi. Il giudice europeo ha altresì accertato la violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu: per un verso, la sentenza con cui la corte d'appello aveva ordinato la rimessione in libertà del ricorrente non è stata eseguita; per l’altro, nonostante l'ordinanza emessa qualche mese prima dal magistrato di sorveglianza avesse disposto il ricovero in REMS, il ricorrente è rimasto in carcere. Infine, risulta violato pure l’art. 34 Cedu, poiché il termine di trentacinque giorni impiegato dal Governo italiano per conformarsi alla misura provvisoria disposta dalla Corte europea (che consisteva nell'assicurare il trasferimento del ricorrente in una struttura che permettesse di garantire che la sua patologia psichica fosse adeguatamente presa in carico sul piano terapeutico) non può ritenersi ragionevole. (Roberta Casiraghi)

 

ART. 7 CEDU

C.edu, sez. I, 20 gennaio 2022, Milanković c. Croazia.

Principio di legalità – prevedibilità e fondamento normativo della incriminazione – diritto internazionale – crimini di guerra – responsabilità del comandante militare – non violazione

La vicenda riguarda la condanna di M. Milanković per crimini di guerra commessi nei confronti di prigionieri appartenenti alla etnia serba della regione croata di Sisak tra l’agosto 1991 e il giugno 1992, quando il ricorrente era a capo del dipartimento locale di polizia. Milanković veniva condannato per ventidue capi di imputazione per crimini di guerra (consistiti in omicidi e trattamenti degradanti), diciotto dei quali commessi prima della dichiarazione di indipendenza croata (avvenuta l’8 ottobre 1991). I giudici ritenevano, in particolare, sussistente la peculiare forma di attribuzione della responsabilità penale internazionale del comandante militare, per omesso impedimento della commissione di crimini internazionali da parte delle forze sotto il proprio controllo. Milanković ricorreva avverso la decisione, sostenendo l’illegittima applicazione della responsabilità del comandante, istituto non previsto dal codice penale croato, nonché del richiamo alla III e alla IV Convenzione di Ginevra del 1949 e al I Protocollo Addizionale del 1977, che presuppongono la sussistenza di un conflitto armato internazionale, ancora assente nel periodo antecedente la dichiarazione di indipendenza della Croazia. Esaurite le vie di ricorso interne, Milanković lamentava di fronte alla C. eur. dir. uomo la violazione dell’art. 7 Cedu, alla luce della assenza di un fondamento normativo della condanna, in qualità di comandante militare, per crimini di guerra commessi nel contesto di un conflitto armato non internazionale. La C. eur. dir. uomo ha escluso all’unanimità la violazione dell’art. 7 Cedu, alla luce del rinvio operato dagli artt. 120 e 122 codice penale croato alle norme internazionali richiamate nel procedimento in esame. I giudici hanno evidenziato, inoltre, la sussistenza, all’epoca degli eventi, di un fondamento normativo nel diritto penale internazionale sufficientemente chiaro ai fini dell’affermazione della responsabilità penale del ricorrente per i crimini di guerra, ancorché commessi nel contesto di un conflitto armato non internazionale. I canoni di accessibilità delle norme e di prevedibilità della condanna erano, a loro volta, da ritenersi sussistenti alla luce della formazione del ricorrente nell’accademia militare e dalla posizione da costui ricoperta, che gli imponeva, in qualità di ufficiale, di operare con particolare cautela e di agire per prevenire il rischio di commissione di crimini di guerra da parte dei propri sottoposti, indipendentemente dalla natura internazionale o interna del conflitto. (Maria Crippa)

Riferimenti bibliografici: M. Crippa, La prevedibilità delle condanne per genocidio “politico” degli oppositori al regime sovietico: la Lituania supera il vaglio della Corte edu, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 3, p. 1753 e seguenti.

 

ART. 10 CEDU

C.edu., sez. III, 18 gennaio 2022, Karuyev c. Russia.

Libertà di espressione – assenza di un fondamento normativo chiaro e prevedibile nella legge nazionale – insussistenza degli elementi costitutivi del reato

Karuyev, cittadino russo, lamentava la violazione dell’art. 10 Cedu per l’arresto e la successiva condanna subiti a seguito della partecipazione ad una manifestazione contro la presidenza di Vladimir Putin. Nel corso della protesta il ricorrente aveva, infatti, sputato su un ritratto del presidente, esposto dai dimostranti insieme ad una corona di garofani, a simboleggiare la tradizione russa di portare fiori ai defunti. Karuyev veniva condannato a quindici giorni di reclusione per violazione dell’ordine pubblico, nonché per lesione dell’onore della società e della dignità del presidente. Il ricorrente lamentava la violazione della libertà di espressione e di opposizione politica, in quanto il ricorso allo strumento penale sarebbe stato strumentale a sopprimere ogni forma di critica nei confronti di Putin. La C. eur. dir. uomo ha evidenziato come la condanna del ricorrente abbia costituito una interferenza illegittima nella libertà di espressione, alla luce della assenza di prove circa la commissione del reato contestato. La fattispecie di cui all’art. 20 del codice penale russo risulta, infatti, integrata dall’utilizzo di un linguaggio osceno, dal ricorso alla violenza, dalla distruzione o dal danneggiamento di proprietà pubblica o privata. Al contrario, la manifestazione aveva mantenuto i caratteri di una dimostrazione pacifica, come dimostrato anche dalla circostanza che l’arresto del ricorrente fosse avvenuto ben quattro ore dopo gli eventi. I giudici hanno, pertanto, ritenuto violato l’art. 10 Cedu in quanto, in assenza di un fondamento normativo chiaro e prevedibile, la condanna del ricorrente aveva costituito una compressione illegittima della libertà di espressione. (Maria Crippa)

Riferimenti bibliografici: E. Zuffada, La Corte edu condanna la Russia per il divieto imposto ad un detenuto di ricevere libri e riviste, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 2, p. 1052; G. Spinelli, Secondo la Corte europea, il reato di vilipendio alla Corona non merita la pena detentiva: il caso Stern Taulats e Roura Capellera c. Spagna, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, p. 1841 e seguenti.