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29 Aprile 2025


Osservatorio Corte EDU: marzo 2025

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Gaia Filocamo (artt. 2, 3 e 10 Cedu) e Francesco Manfrin (artt. 6 e 10 Cedu).

 

In marzo abbiamo selezionato pronunce relative a: obblighi procedurali in caso di malattia professionale con esito letale (art. 2 Cedu); detenzione di soggetto affetto da patologia mentale (art. 3 Cedu); imparzialità del giudice e presunzione di innocenza rispetto alla posizione di co-indagati (art. 6 Cedu); condanna di soggetto con deficit cognitivo e diritto al silenzio (art. 6 Cedu); libertà di informazione e pubblicità delle sentenze (art. 10 Cedu); interesse pubblico alla diffusione di notizie concernenti il rapporto tra classe politica e fenomeno corruttivo (ancora sulla vicenda Navalnyy) (art. 10 Cedu).

 

 

ART. 2 CEDU

C. eur. dir. uomo, Sez. I, 27 marzo 2025, Laterza e D’Errico c. Italia

Obblighi positivi di carattere procedurale – Efficacia dell’indagine sulla morte di un lavoratore dell’acciaieria ex-Ilva – Archiviazione non adeguatamente motivata del procedimento penale relativo al decesso per patologia oncologica di possibile origine professionale – Mancata prosecuzione delle indagini richieste sulla base di diversi spunti investigativi – violazione

La vicenda sottoposta all’esame della Corte vede protagonisti la moglie ed il figlio di Giovanni Laterza, operario in forza presso l’acciaieria ex-Ilva di Taranto dal 1980 al 2004, deceduto nel 2010 a seguito dell’insorgere di una patologia oncologica polmonare. I ricorrenti si rivolgono ai giudici di Strasburgo, lamentando l’ineffettività e l’insufficienza delle indagini svolte sul decesso del lavoratore, nonché l’infondatezza della disposta archiviazione del procedimento penale da parte del Gip. La Corte europea rappresenta come dall’art. 2 Cedu derivino per lo Stato membro obblighi sotto il profilo procedurale, che concernono l’adeguata predisposizione di un sistema effettivo ed efficace nell’accertare le eventuali violazioni della norma e le responsabilità ivi coinvolte (§ 36-37-40). Nel caso di specie, è fatto oggetto di ricorso dai familiari di Laterza il rifiuto opposto dall’autorità giudiziaria alla prosecuzione di indagini sulla causa del decesso dello stesso, al fine di accertare od escludere l’eventuale nesso tra l’esposizione alle sostanze nocive rilasciate nell’acciaieria e l’insorgere della malattia fatale (§ 25). In particolare, il giudice procedeva con l’archiviazione, adducendo l’impossibilità di stabilire in quale momento fosse stato innescato il processo causale da cui sarebbe poi derivata la morte di Laterza. A parere del Gip, invero, solo a partire da tale accertamento avrebbe potuto essere individuato il soggetto responsabile, in quanto tenuto, in uno specifico frangente, a predisporre le cautele necessarie per la gestione della specifica fonte di rischio (§ 45). Come rilevato dalla Corte adita, tuttavia, le conclusioni maturate dall’autorità nazionale non venivano supportate né da idonei pareri di esperti, che, come richiesto dalla prassi giudiziaria, si basassero su studi scientifici pertinenti, né da particolari circostanze o spiegazioni tecniche tali da impedire, oggettivamente, di pervenire ai necessari accertamenti (§ 44). La Corte europea osserva come, peraltro, il giudice che aveva disposto l’archiviazione avesse omesso di indicare ed adeguatamente illustrare l’approccio metodologico-scientifico utilizzato per addivenire alla propria decisione, senza che, nello specifico, fossero indicati elementi di fatto concreti, emersi nel corso delle indagini, che avrebbero chiarito le ragioni per le quali il caso di specie non potesse essere altrimenti risolto (§ 46-47). Errava, pertanto, secondo i giudici di Strasburgo l’autorità giudiziaria italiana, quando, a seguito dell’opposizione dei ricorrenti alla richiesta di archiviazione, non riservava sufficiente considerazione all’incompletezza delle indagini fino a quel momento svolte ed alle opportune richieste dei familiari del defunto, pronunciandosi con una decisione di rigetto (§ 51). Non v’è dubbio per la Corte adita che, infatti, alla luce della giurisprudenza interna in materia e del fatto che l’origine professionale della patologia non fosse comunque mai stata esclusa a priori, un accertamento più approfondito della vicenda, a partire dall’effettiva sussistenza del nesso causale tra l’esposizione alle sostanze nocive e l’insorgere della malattia, avrebbe potuto esser svolto con l’instaurarsi del giudizio (§ 50). Per tutto quanto sopra esposto, la Corte Edu dichiara violato il disposto dell’art. 2 Cedu, sotto il profilo procedurale che gli compete, per l’ineffettività dell’indagine condotta dall’autorità giudiziaria italiana. (Gaia Filocamo)

Riferimenti bibliografici: F.E. Manfrin, Violazione degli obblighi di protezione della vita e d’indagine: un recente caso di “frontiera” in materia di art. 2 CEDU, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 2.

 

 

ART. 3 CEDU

C. eur. dir. uomo, Sez. I, 27 marzo 2025, Niort c. Italia

Obblighi positivi di carattere procedurale – Efficacia delle indagini – Compatibilità tra lo stato di salute mentale del ricorrente e lo stato di detenzione – Vulnerabilità del detenuto – violazione

Il giudizio della Corte Edu viene sollecitato in un caso concernente il protrarsi, per diversi anni, dello stato di detenzione di un giovane affetto da disturbi psichiatrici. Simone Niort, ventottenne al momento della sentenza, è detenuto dal 2016. Negli oltre otto anni di reclusione cui è stato soggetto, il ricorrente ha tentato decine di volte il suicidio, è stato vittima di numerosi episodi di autolesionismo e protagonista di altrettanti procedimenti disciplinari. All’origine del disagio di Niort vi è un grave disturbo borderline di personalità, con tratti antisociali e paranoidi nonché deficit di attenzione, per il quale è in carico fin dall’infanzia al servizio sanitario territoriale (Centro di salute mentale) e gli viene riconosciuta un’invalidità del 100% con relativa pensione. Dall’età adolescenziale, il ricorrente è inoltre tossicodipendente. Processato per un certo numero di reati (tra cui omicidio colposo, tentato omicidio, sequestro di persona, resistenza a p.u.), viene ritenuto non imputabile in relazione ad alcuni e condannato in relazione ad altri, per un totale di anni dieci e giorni venti di reclusione. Viene quindi tradotto in carcere, per la prima volta, nel 2016, salvo concedergli i domiciliari nel gennaio 2017 e revocarli nel successivo mese di marzo. Da quel momento, Niort viene trasferito diverse volte, tra le carceri di Cagliari, Nuoro, Sassari e Torino, le quali tutte riscontrano ed attestano le predette problematiche. Nel 2019, in particolare, nell’ambito di un procedimento penale instauratosi dinnanzi al Tribunale di Nuoro per fatti commessi nel corso della detenzione del ricorrente, viene eseguita una perizia psichiatrica da cui il giovane risulta aver sviluppato una “sindrome reattiva al carcere”. Seppure, infatti, lo stato detentivo non possa esser di per sé riconosciuto quale causa di una patologia psichiatrica, non v’è dubbio che lo stesso possa esacerbare fragilità o disturbi preesistenti. Stanti le suddette premesse, la Corte europea passa al vaglio il quadro normativo nazionale, in relazione al trattamento penitenziario di detenuti affetti da tali patologie (§ 37-41). Quindi, si rifà al proprio precedente Rooman c. Belgique del 2019, per la ricognizione dei principi rilevanti in materia (§ 79). In particolare, per accertare l’eventuale incompatibilità tra lo stato di salute di un individuo e lo stato di detenzione, deve, anzitutto, valutarsi l’evoluzione del primo a seguito dell’inizio del secondo. Deve considerarsi, infatti, che i detenuti affetti da disturbi psichici, in generale, sono più vulnerabili rispetto agli altri, con la conseguenza di una maggiore esposizione a pericoli, non solo per il proficuo svolgersi del trattamento rieducativo, ma anche per la loro salute (§ 80-81). Inoltre, si deve assicurare al detenuto la possibilità di ricevere adeguate cure mediche, secondo le sue specifiche esigenze, appurate a seguito di visite specialistiche periodiche, volte a sorvegliare l’evolversi della patologia, che non deve aggravarsi a causa dello stato detentivo (§ 82-83). Tutto ciò, poiché, sebbene dalla Convenzione non possa farsi discendere alcun obbligo generale di rilasciare un detenuto per il suo particolare stato di salute, certo deve dedursi dal sistema convenzionale e dalla giurisprudenza della Corte europea che determinate gravi situazioni possano indurre a ritenere giusta solo l’adozione di misure diverse, di carattere prettamente umanitario (§ 85-95). Pertanto, se le autorità nazionali decidono di mantenere recluso un soggetto con le suddette vulnerabilità, dovrà esser ancor più rigorosa la loro vigilanza sulle condizioni della detenzione dello stesso (§ 86). Nell’ambito di tale responsabilità degli Stati membri, si ravvisa la violazione dell’articolo 3 Cedu ad opera delle preposte autorità italiane. Invero, non risulta in alcun modo comprovato che le stesse siano state adempienti rispetto agli oneri che dalla disposizione convenzionale discendono, non essendo state in grado, in particolare, di dimostrare di aver esaminato con sufficiente rigore la compatibilità dello stato di salute di Simone Niort con la detenzione dello stesso in istituto penitenziario. (Gaia Filocamo)

Riferimenti bibliografici: C.M.E. Mistrorigo, Infermità mentale e rischio suicidario in carcere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2024, 3; P. Bernardoni, Detenzione e infermità psichica sopravvenuta: un problema europeo e una soluzione nazionale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2019, p. 1065 ss.

 

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 6 marzo 2025, Gorse c. Slovenia

Imparzialità e presunzione d’innocenza – carenza di imparzialità nel giudice che aveva già vagliato la posizione del ricorrente in altre sentenze – linguaggio nelle sentenze relative alla posizione di altri co-indagati lesivo della presunzione d’innocenza - violazione

Il ricorrente era un avvocato e curatore fallimentare che, con altre persone, venne accusato di abuso d’ufficio, truffa e riciclaggio. Due co-indagati del ricorrente, dopo essersi dichiarati colpevoli, proposero una richiesta di patteggiamento, che venne accolta dal giudice dell’udienza preliminare. Il medesimo giudice presiedette due giorni dopo anche l’udienza preliminare a carico del ricorrente, il quale, dichiaratosi estraneo alle accuse, propose un’istanza di ricusazione del giudice, poiché questi, accogliendo il patteggiamento dei due “complici”, aveva necessariamente presupposto che l’imputato fosse il principale autore del reato, sebbene non ancora rinviato a giudizio (§ 8). La richiesta di ricusazione venne rigettata dal Presidente della Corte distrettuale di Capodistria. Successivamente, il dibattimento del procedimento penale a carico del ricorrente venne tenuto davanti a un collegio di giudici presieduto dal medesimo giudice che aveva celebrato l’udienza preliminare (e che, prima, aveva accolto i patteggiamenti dei due co-indagati). Il ricorrente venne condannato e decise, pertanto, di impugnare la sentenza, sostenendo tra i vari argomenti che il presidente del collegio che lo aveva condannato non avrebbe dovuto celebrare quel procedimento, versando in una situazione di incompatibilità a causa dell’accoglimento dei patteggiamenti dei due concorrenti nel reato. La Corte d’appello rigettò il motivo relativo alla ricusazione e, nel successivo grado di giudizio, anche la Corte Suprema confermò che nessuna carenza di imparzialità poteva attribuirsi al giudice, in quanto l’accoglimento dei patteggiamenti non aveva pregiudicato il ricorrente in alcun modo (§§ 13-14). Il ricorrente, quindi, decise di rivolgersi alla Corte edu per lamentare una violazione dell’art. 6 § 1 e 2 Cedu. Nell’esame del ricorso, la Corte di Strasburgo ha anzitutto analizzato le sentenze di patteggiamento relative ai due concorrenti nel reato, constatando che in esse era presente una valutazione giuridica delle azioni del ricorrente, sebbene questi non fosse ancora stato giudicato. Nelle due pronunce si afferma, infatti, che i due co-indagati avevano aiutato il ricorrente nella commissione del reato di abuso di ufficio e si fa riferimento anche ad altre azioni criminose di cui il ricorrente era definito “l’autore” (§ 62). Nelle sentenze riguardanti i due concorrenti, cioè, oltre ad una descrizione fattuale circa il ruolo della condotta criminosa del ricorrente, non ci si riferiva a lui come ad una persona presunta innocente e non si faceva cenno al fatto che la sua colpevolezza non era stata ancora accertata (§ 63). Quindi, secondo la Corte europea, non erano stati compiuti sforzi adeguati a evitare, per quanto possibile, di creare l’impressione che il ricorrente fosse già stato dichiarato colpevole. Tali sentenze, pertanto, hanno leso il diritto del ricorrente alla presunzione d’innocenza. Inoltre, la Corte edu ha anche ritenuto che fosse legittimo che il ricorrente temesse che il giudice (che poi lo ha condannato) mancasse d’imparzialità, a causa dei plurimi riferimenti a lui come “autore del reato” nelle due precedenti sentenze di patteggiamento (§ 64). Del resto, le corti nazionali a cui sono stati sottoposti i ricorsi del ricorrente non hanno sanato la violazione d’imparzialità. Da ciò è conseguita la violazione dell’art. 6 §§ 1 e 2 Cedu. (Francesco Manfrin)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’imparzialità del giudice fra precedenti valutazioni e influenze mediatiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, n. 2, p. 747 ss.; V. Sirello, Questioni in tema di imparzialità oggettiva del giudice, ivi, 2024, n. 3, p. 1349 ss.

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 13 marzo 2025, F. S. M. c. Spagna

Condanna di persona con deficit cognitivo – capacità di partecipare al processo penale – diritto di difesa – assistenza del difensore di fiducia - esercizio del diritto al silenzio – non violazione

Il caso riguarda un anziano cittadino spagnolo, affetto da disturbi cognitivi, che nel 2013 fu accusato di reati fiscali in relazione alla gestione di due società. Durante il conseguente procedimento penale, al fine di accertare la capacità del ricorrente di capire e conoscere le accuse, vennero disposte due perizie: la prima indicava che l’uomo era in grado di partecipare al processo e suggeriva alcune misure procedurali (come la presenza di un accompagnatore): la seconda confermava la capacità di partecipare al processo, ma non raccomandava alcuna misura specifica. Ciò nonostante, il ricorrente non richiese l’adozione di alcuna misura specifica e, durante l’udienza, egli esercitò il suo diritto di rimanere in silenzio, senza che ciò comportasse conseguenze negative. Egli, infatti, venne condannato sulla base di prove documentali, data la natura della frode fiscale che gli era stata contestata. Esauriti senza successo i gradi di impugnazione interni, l’uomo si rivolse alla C.edu, lamentando una violazione dell’art. 6 § 1 e 3 lett. b Cedu, poiché il suo deficit cognitivo gli avrebbe impedito di preparare correttamente la difesa, di comprendere le accuse e di comunicare con il suo avvocato. Nell’esaminare il ricorso, la Corte di Strasburgo ha, anzitutto, rilevato che il ricorrente era difeso da un avvocato di fiducia e che il legale non aveva mai richiesto l’adozione di misure processuali atte a compensare il deficit cognitivo dell’anziano, sebbene una delle due perizie espletate suggerisse tale eventualità (§ 66). Inoltre, i giudici europei non hanno ravvisato alcuna violazione dell’art. 6 § 1 e 3 Cedu, anche sulla base delle seguenti ragioni: il ricorrente era stato difeso in ogni grado del procedimento da un avvocato (prima d’ufficio, poi di fiducia); l’autorità giudiziaria aveva richiesto due perizie forensi per accertare la capacità, poi confermata, di partecipare al procedimento penale; sono stati analizzati tutti gli argomenti proposti dalla difesa; i giudici nazionali si sono accertati che il ricorrente potesse esercitare il suo diritto al silenzio, senza che l’autorità procedente ne traesse conclusioni negative (§ 70). Alla luce di tali considerazioni, la Corte europea - pur ribadendo l’importanza generale di valutare caso per caso la necessità di misure procedurali speciali per gli imputati con disturbi cognitivi - non ha ritenuto che nel caso di specie vi fosse stata alcuna violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 lett. b Cedu. (Francesco Manfrin)

 

ART. 10 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 4 marzo 2025, Girginova c. Bulgaria

Libertà di informazione – pubblicità delle sentenze – rigetto della richiesta di una giornalista di conoscere le motivazioni di una sentenza di assoluzione di un ex-ministro - violazione

La ricorrente, giornalista di un quotidiano online che si occupa di cronaca giudiziaria, nel 2015 formulava una richiesta al Tribunale di Sofia per conoscere le motivazioni di una sentenza passata in giudicato con cui nove mesi prima un ex ministro degli Interni era stato assolto da gravi accuse. Nello specifico, il politico era stato accusato, insieme a tre suoi funzionari, di aver impiegato durante il suo mandato ministeriale le apparecchiature di sorveglianza segreta in uso all’ufficio per spiare illegalmente uomini pubblici (magistrati e politici) e imprenditori. In seguito al rinvio a giudizio dei quattro imputati, il Tribunale dispose la secretazione dell’intero procedimento, all’esito del quale anche le motivazioni della sentenza di assoluzione non vennero pubblicate. Successivamente alla richiesta della giornalista di conoscere le ragioni della pronuncia, il tribunale rigettava la domanda, sulla base del fatto che la sentenza riguardava un procedimento secretato e, pertanto, conteneva numerose informazioni riservate concernenti la sicurezza nazionale. Ciò nonostante, la ricorrente impugnava il rigetto, ma le corti bulgare di secondo e terzo grado confermavano la legittimità del rifiuto, sostenendo che la legge nazionale sull’accesso alle informazioni pubbliche non si applicava a tutte le decisioni giudiziarie. Nell’analizzare la vicenda, la C.edu ha ribadito che l’importanza della pubblicità delle sentenze in una società democratica si coglie, in particolare, quando sono coinvolti in processi penali alti funzionari dello Stato, poiché è necessario informare la pubblica opinione che la legge è amministrata in modo imparziale anche quando gli imputati rivestono posizioni di potere (§ 92). Inoltre, la Corte di Strasburgo sottolinea che, pure quando il procedimento penale riguarda profili di sicurezza nazionale, non è possibile giustificare la secretazione dell’intera motivazione di una sentenza. Sono, infatti, possibili alcuni accorgimenti tecnici che rendono possibile un ragionevole compromesso tra il legittimo interesse alla sicurezza nazionale e la garanzia fondamentale della pubblicità della sentenza (§ 93): si pensi, per esempio, alla possibilità di secretare solo alcuni brani di una pronuncia. Tuttavia, nessun accorgimento è stato realizzato nel caso di specie. Pertanto, la scelta del Tribunale di Sofia di mantenere segreta l’intera motivazione della sentenza di assoluzione non può essere giustificata e configura una violazione dell’art. 10 Cedu. (Francesco Manfrin)

Riferimenti bibliografici: E. Cipani, Giornalismo investigativo e accesso ad informazioni riservate di interesse pubblico: una pronuncia recente della Corte europea, in Riv. it. dir. proc. pen., 2024, n. 3, p. 1233 ss.

 

C. eur. dir. uomo, Sez. III, 6 marzo 2025, Navalnyy e OOO ZP c. Russia

Libertà di espressione – Bilanciamento tra diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e diffamazione – Rilevante interesse pubblico alla diffusione di notizie concernenti il rapporto tra classe politica e fenomeno corruttivo – Violazione

La Corte europea dei diritti dell’uomo si pronuncia su alcuni ricorsi presentati da Aleksey Navalnyy, attivista e politico fra i più noti oppositori del governo russo di Vladimir Putin, deceduto il 16 febbraio 2024. Tra il 2012 e il 2022, il ricorrente ha adito la Corte di Strasburgo denunciando, tra l’altro, la violazione dell’articolo 10 Cedu. In diverse occasioni, invero, le iniziative politiche dell’attivista, concentrate sulla lotta al dilagare del fenomeno corruttivo tra i componenti della classe politica russa, sono state represse dai giudici nazionali, che, con pretesti diversi, hanno ritenuto non fondate le accuse del ricorrente, condannandolo più volte per diffamazione o, comunque, ordinando la rimozione degli articoli e delle notizie di denuncia pubblicate da Navalnyy sul suo blog. La Corte europea, ritenutasi preliminarmente competente a conoscere i ricorsi de quibus, essendo riconducibili le eventuali violazioni delle norme convenzionali ad un momento antecedente all’estromissione della Federazione dalle Parti contraenti, rileva la mancanza di equo bilanciamento tra diritti sanciti dalla Convenzione ove tra loro in conflitto (§ 7). In particolare, rappresenta come sproporzionato lo standard probatorio richiesto dalle autorità giurisdizionali nazionali al ricorrente, a fronte del rilevante interesse pubblico nascente dalle questioni dallo stesso poste, le quali avrebbero meritato un più approfondito accertamento, soppiantato invece da un rigetto non idoneamente motivato (Appendix). Altrettanto insufficienti si rivelano le ragioni poste a fondamento delle condanne per diffamazione, prive di una disamina adeguatamente attenta dei fatti alla base ed opportuni giudizi di valore tra diritti contrapposti, quali il diritto al rispetto della vita privata, ex articolo 8 Cedu, e la libertà di espressione, ex articolo 10 Cedu (Appendix). In relazione ai ricorsi riuniti ai fini di tale giudizio, pertanto, la Corte europea unanimemente dichiara violato il disposto dell’articolo 10 Cedu per la illegittima restrizione della libertà d’espressione di Navalnyy. (Gaia Filocamo)

Riferimenti bibliografici: L. Franzetti, I confini della libertà di espressione in caso di vilipendio alla bandiera, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 4; C. Pagella, Responsabilità penale di un aspirante deputato per i commenti islamofobi pubblicati da terzi sulla sua pagina facebook: la Corte Edu sui limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 3; F. Vitarelli, Il whistleblowing come “baluardo” della libertà di espressione. La Grande Camera riconosce ampia tutela al whistleblower nell’ottica di prevenire chilling effect delle sanzioni sul diritto di informare la collettività su fatti di interesse pubblico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 2; M. Crippa, La violazione della libertà di stampa nell’ordinamento turco: ancora una condanna della Corte Edu per la custodia cautelare dei giornalisti di un quotidiano antigovernativo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, 1.