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19 Febbraio 2021


Osservatorio Corte EDU: gennaio 2021

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Francesca Vitarelli (artt. 2, 3 e10 Cedu) e Gaia Caneschi (artt. 6 e 8 Cedu).

 

In gennaio  abbiamo selezionato pronunce relative a: obblighi sostanziali e procedurali in materia di diritto alla vita e divieto di tortura, con riferimento a violenze perpetrate da soggetti privati reclutati dall’autorità pubblica (artt. 2 e 3 Cedu); equità processuale e diritto all’esame dei testimoni a carico (art. 6 Cedu); equità processuale e prove ottenute mediante trattamenti inumani e degradanti (artt. 3, 6 Cedu); proporzionalità dell’ordine di espulsione dello straniero fondato su precedenti penali (art. 8 Cedu); pubblicazione online di intercettazioni ottenute violando la privacy della persona interessata (art. 10 Cedu); proporzionalità della confisca (art. 1 Prot. Add.)

 

 

ART. 2 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 21 gennaio 2021, Lutsenko e Verbytskyy c. Ucraina

Diritto alla vita - obblighi positivi sostanziali – uccisione di un manifestante di Maidan per mano di “non-State agents” reclutati dalla polizia – violazione - obblighi positivi procedurali – obbligo di condurre indagini effettive – violazione

Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2 della Convenzione sotto il profilo sostanziale e procedurale in relazione all’uccisione del fratello da parte di soggetti reclutati dalla polizia nel corso delle proteste di massa svoltesi in Ucraina tra il 21 novembre 2013 e il 23 febbraio 2014, comunemente denominate “Euromaidan” e/o “Maidan”. Le stesse autorità nazionali hanno classificato la morte del signor Y. Verbytskyy come omicidio: costui, dopo essere stato torturato, è stato lasciato in un luogo remoto in condizioni meteorologiche avverse, dove era improbabile che sopravvivesse a lungo senza intervento medico. La Corte ribadisce che l’art. 2 Cedu è una delle disposizioni fondamentali della Convenzione e che in tempo di pace non ammette alcuna deroga ai sensi dell’articolo 15 par. 2; le circostanze in cui la privazione della vita può essere giustificata devono quindi essere interpretate rigorosamente (§ 76-77). La Corte ritiene sufficientemente dimostrato che il rapimento e la tortura cui è seguita la morte della vittima siano stati commessi su istruzioni e sotto il controllo delle autorità o comunque con la loro acquiescenza o connivenza (§ 19-20). La Corte ritiene dunque lo Stato convenuto responsabile per la morte del fratello del ricorrente e accerta la conseguente violazione dell’art. 2 Cedu (§ 92-93). Sotto il profilo procedurale, la Corte ribadisce che l’obbligo procedurale riferibile riconducibile all’art. 2 richiede alle autorità di indagare sia sui mandanti che sugli autori materiali del reato (Corte Edu, 12 giugno 2014, Jelić c. Croazia, § 94). Nel caso di specie, le autorità inquirenti non hanno proceduto a identificare i funzionari delle forze dell'ordine coinvolti nell’omicidio come mandanti, nonostante fosse agevole farlo (§ 68). Anche da questo punto di vista, dunque, la Corte accerta una violazione da parte dello Stato convenuto, dal momento che le indagini portate avanti non hanno consentito di punire i veri responsabili dell’azione delittuosa e non sono quindi risultate all'altezza dei requisiti di prontezza, ragionevole rapidità, efficacia, indipendenza, controllo pubblico e coinvolgimento delle vittime.  (§ 71-73). (Francesca Vitarelli)

Riferimenti bibliografici: C. Mostardini, Sull’uso letale della forza da parte degli agenti statali: tra obblighi convenzionali e prospettive nazionali, in Riv. it. dir. pen. proc., 2017, p. 1567 ss.

 

ART. 3 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 21 gennaio 2021, Lutsenko e Verbytskyy c. Ucraina

Tortura - trattamenti inumani e degradanti - obblighi positivi sostanziali – rapimenti e torture di manifestanti di Maidan per mano di soggetti “non-State agents” reclutati dalla polizia – obblighi positivi procedurali – mancanza di indagini efficaci e indipendenti - violazione

Sulla vicenda v. supra, art. 2. I due ricorrenti lamentano altresì la violazione dell’art. 3 della Convenzione sotto il profilo sostanziale e procedurale in relazione al rapimento e alle torture da subite dal primo e dal fratello del secondo nel corso delle medesime proteste. La Corte osserva come la cartella clinica delle vittime certifichi la presenza di lesioni multiple. Inoltre, vi sono elementi investigativi raccolti dalle autorità nazionali che permettono di ritenere che il rapimento e la tortura delle vittime siano stati commessi su istruzioni e sotto il controllo delle autorità o comunque con la loro acquiescenza o connivenza (§19-20). Sussiste, dunque, una violazione dell’art. 3 Cedu sotto il profilo sostanziale da parte dello Stato (§ 90-91). Sotto il profilo procedurale la Corte ribadisce che l’articolo 3 della Convenzione impone alle autorità di compiere delle indagini effettive, che riguardino sia i mandanti che gli autori materiali del reato (v. Corte Edu, Jelić c. Croazia, 12 giugno 2014, § 94). Nel caso di specie, tuttavia, le autorità inquirenti non hanno proceduto a identificare i funzionari delle forze dell'ordine coinvolti nel rapimento e nelle torture come mandanti, nonostante fosse agevole farlo (§ 68). Anche da questo punto di vista, dunque, la Corte accerta una violazione da parte dello Stato convenuto, dal momento che le indagini portate avanti non hanno consentito di punire i veri responsabili dell’azione delittuosa e non sono quindi risultate all’altezza dei requisiti di prontezza, ragionevole rapidità, efficacia, indipendenza, controllo pubblico e coinvolgimento delle vittime (§ 71-73). (Francesca Vitarelli)

Riferimenti bibliografici: A. Aimi, La mancata punizione dei torturatori di Bolzaneto: una nuova macchia sulla “fedina convenzionale” dello Stato italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2018, p. 351.

 

 

ART. 6 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 19 gennaio 2021, Keskin c. Paesi Bassi C. eur. dir. uomo, sez. IV, 19 gennaio 2021, Keskin c. Paesi Bassi

Equità processuale – diritto di esaminare o far esaminare i testimoni a carico – prova unica o determinante – necessità di valutare l’equità complessiva del procedimento – violazione

Si conferma la giurisprudenza della Corte europea in tema di diritto al confronto con la fonte di prova a carico. In seguito all’overruling del caso Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito (C. eur. dir. uomo, grande camera, 15 dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito), il divieto di attribuire alla testimonianza acquisita unilateralmente un peso unico o determinante per la sentenza di condanna è stato relativizzato, dovendosi piuttosto valutare l’equità complessiva del procedimento, ovvero il fatto che l’impossibilità per la difesa di esaminare il testimone trovi compensazione in adeguate garanzie procedurali. Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato sulla base delle dichiarazioni rese alla polizia da alcuni testimoni senza che gli fosse stata mai concessa l’opportunità di esaminarli, perché l’interesse difensivo al loro esame non era mai stato sufficientemente motivato. La Corte ricorda che l’equità deve essere valutata tenendo conto dello sviluppo del procedimento nel suo insieme, e non sulla considerazione di un aspetto isolato (§ 38). Più nello specifico, la garanzia offerta dall’art. 6 par. 3 lett. d) Cedu si compone di due distinti diritti: quello ad ottenere la presenza e la possibilità di esaminare i testimoni della difesa, e quello di poter controesaminare i testimoni dell’accusa. A questo ultimo riguardo, la Corte rammenta i tre steps dell’Al-Khawaja test: anzitutto, serve una valida ragione che giustifichi la mancata comparizione del testimone nel dibattimento; occorre accertare se la testimonianza dell’assente costituisca la prova unica o determinante alla base della condanna; infine, è necessario valutare se ci sono stati dei sufficienti fattori di compensazione (§ 46). Nel caso di specie, l’assenza di valide ragioni che abbiano condotto a soprassedere sull’assenza dei testimoni e ad impiegare comunque le loro dichiarazioni ai fini della decisione non è considerata di per sé una causa di iniquità del procedimento; inoltre, la condanna del ricorrente si è fondata su prove il cui significato o importanza sono tali da essere probabilmente determinanti per l’esito del caso. Ma è con riguardo alla presenza di garanzie procedimentali in grado di controbilanciare l’assenza del controesame dei testimoni che è stata apprezzata la violazione dell’art. 6 Cedu dalla Corte: l’opportunità concessa al ricorrente di contestare o confutare le dichiarazioni della fonte di prova a carico, senza poter procedere ad un vero e proprio controesame in presenza, non può essere considerato un fattore di controbilanciamento idoneo a compensare il deficit provocato dall’assenza dei testimoni (§ 68). (Gaia Caneschi).

 

C. eur. dir. uomo, sez. II, 26 gennaio 2021, Zlicic c. Serbia

Equità processuale – utilizzabilità del decreto di sequestro la cui sottoscrizione è stata ottenuta mediante trattamenti inumani e degradanti – il decreto non è utilizzato per assicurare la condanna del ricorrente e non ha avuto incidenza sull'esito del processo – la sottoscrizione del decreto corrisponde solo a un riconoscimento scritto formale del sequestro di una certa sostanza – non violazione

Durante un controllo sull’identità, gli agenti di polizia rinvengono a terra (accanto alla panchina sulla quale il ricorrente era seduto), una bustina contenente una sostanza sospetta. Condotto presso la stazione di polizia per gli accertamenti del caso, il ricorrente lamenta di aver subito maltrattamenti per ottenere la confessione sul possesso da parte sua della predetta bustina e di essere stato costretto - mediante l’uso di violenza - a sottoscrivere il decreto di sequestro. All’esito del processo, nel cui ambito era stato ammesso come prova il decreto di sequestro della bustina ed era stato accertato tramite perizia che il suo contenuto fosse cannabis, il ricorrente viene condannato per possesso ingiustificato di sostanze stupefacenti per uso personale. Rammentando preliminarmente la posizione vulnerabile ricoperta dai soggetti privati della libertà, la Corte ha riconosciuto che spetta allo Stato l’onere di provare l’assenza di maltrattamenti quando un individuo in vinculis sostiene – anche tramite documentazione medica – di aver subito violenze (§ 92). Nel caso di specie, è stata riconosciuta una violazione dell’art. 3 Cedu (versante processuale) in quanto lo Stato non ha condotto indagini adeguate dinanzi all’accusa di maltrattamenti da parte degli agenti di polizia sollevata dal ricorrente. Quanto all’iniquità del processo, sotto il profilo cioè dell’utilizzo di prove ottenute attraverso violenza, la Corte ribadisce che non è di sua competenza trattare gli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi dai tribunali nazionali se non nella misura in cui essi possano essersi tradotti in una violazione della Convenzione: sebbene l’art. 6 Cedu garantisca il diritto ad un equo processo, esso non stabilisce alcuna norma sull’ammissibilità delle prove, essendo ciò oggetto di regolamentazione interna (§ 118). In effetti, l’utilizzo di prove ottenute con violazione dell’art. 3 Cedu fa sempre sorgere dubbi sull’equità della procedura anche se la prova non risulta determinante per la sentenza di condanna. Cionondimeno, nel caso di specie la sentenza di condanna (sia in primo grado sia in appello) non si è fondata sul decreto di sequestro, ma sulla perizia che ha accertato il contenuto della bustina e sulle testimonianze degli agenti di polizia. In altre parole, dunque, anche se la sottoscrizione del decreto di sequestro è stata ottenuta mediante trattamenti inumani e degradanti ed esso non è mai stato escluso dal fascicolo, l’esito del processo non può dirsi fondato su quella prova. Da ultimo, nell’escludere la violazione dell’art. 6 Cedu, la Corte osserva che il decreto di sequestro non poteva dirsi equivalente ad una dichiarazione, non contenendo in effetti alcuna affermazione o confessione del fatto da parte del ricorrente, trattandosi piuttosto di un mero riconoscimento scritto del fatto che in un determinato momento nel tempo la sostanza era stata sequestrata. (Gaia Caneschi)

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. II, 12 gennaio 2021, Khan c. Danimarca

Diritto al rispetto della vita privata e familiare – ordine di espulsione emesso a seguito di condanna definitiva per minacce ad agente di polizia – valutazione di proporzionalità della misura – non violazione

Il ricorrente, cittadino pakistano nato in Danimarca, è destinatario di un ordine di espulsione con divieto di reingresso della durata di sei anni, emesso in seguito ad una condanna definitiva a tre mesi di pena detentiva per minacce ad un ispettore di polizia. Secondo il ricorrente, nell’irrogazione della misura, i giudici nazionali avrebbero operato un giudizio di proporzionalità sbilanciato a suo svantaggio, senza cioè tenere conto della scarsa gravità del reato commesso. All’opposto, nella prospettazione dello Stato, il lungo elenco di reati commessi dal ricorrente in passato aveva portato a ritenere prevalente l’interesse alla tutela della pubblica sicurezza. La Corte ha osservato che se, da un lato, la Convenzione non garantisce il diritto di uno straniero di entrare e risiedere in un determinato Paese, dall’altro, occorre comunque tenere conto del fatto che gli stranieri residenti di lungo corso sviluppano nella comunità in cui vivono relazioni e situazioni di vita privata rilevanti ai fini dell’art. 8 Cedu (§ 57). Pertanto esistono una serie di criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo al fine di valutare se un ordine di espulsione sia proporzionato rispetto allo scopo legittimo perseguito dall’art. 8 Cedu (§ 59); mentre non è mai stato stabilito un requisito minimo relativo al quantum di pena irrogata o alla gravità del reato commesso, né è mai stato indicato il peso da accordare a ciascun parametro rilevante per la valutazione che, necessariamente, viene assunta  dalle autorità nazionali su base individuale. Nel caso di specie, una lunga serie di precedenti penali e la reclusione complessiva per quasi dieci anni del ricorrente sono state le ragioni che hanno condotto le autorità nazionali ad applicare la misura dell’espulsione; inoltre, nonostante l’obiettiva scarsa gravità dell’ultimo reato commesso, esso era ricompreso nell’elenco previsto dalla legge nazionale sugli stranieri, confermando la base legale della misura adottata (§ 74). Da ultimo, la Corte ha ritenuto che l’ordine di espulsione non abbia costituito un’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare del ricorrente (vista l’assenza di argomenti addotti a riguardo e la possibilità eventualmente di mantenere contatti per altra via) (§ 80), con ciò escludendo la violazione dell’art. 8 Cedu. (Gaia Caneschi)

 

ART. 10 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 14 gennaio 2021, Affaire société editrice de Mediapart et autres c. Francia

Libertà di espressione – ingiunzione di rimuovere da un sito le registrazioni illecite di conversazioni private – motivi pertinenti e sufficienti – non violazione

La società Mediapart, editrice di un giornale online, il suo direttore e un giornalista, lamentano la violazione dell’art. 10 Cedu da parte della Francia in relazione all’ingiunzione emessa nei loro confronti al fine di rimuovere dal loro sito la pubblicazione di estratti di intercettazioni clandestine, acquisite violando la privacy della persona interessata (fatto costituente reato ai sensi del Codice penale francese). La Corte Edu ha sviluppato una copiosa giurisprudenza in questo settore, in cui si richiede di volta in volta la verifica del corretto bilanciamento tra il diritto al rispetto della vita privata (tutelato dall’art. 8 Cedu) e il diritto alla libertà di espressione. In via di principio, i giudici di Strasburgo ribadiscono che i giornalisti nell’esercitare la libertà di espressione si assumono anche “doveri e responsabilità” e che l’articolo 10 par. 2 non garantisce un esercizio illimitato del diritto, bensì bilanciabile laddove vi sia il rischio di mettere a repentaglio i “diritti altrui”, anche quando si tratta di riferire alla stampa su gravi questioni di interesse generale (Corte Edu, Grande Camera, 17 dicembre 2014, Pentikäinen c. Finlandia, §§ 90 e 91, CEDU 2015; Corte Edu, Grande Camera, 9 luglio 1998, Bladet Tromsø e Stensaas c. Norvegia, § 65) (§ 75- 77 e § 83). In questo contesto, la Corte, sulla scorta delle argomentazioni dei giudici nazionali, ritiene che il giornale online avrebbe potuto informare il pubblico anche senza avvalersi delle intercettazioni illegali, che hanno dato alla notizia una “dimensione spettacolare non necessaria” (§ 86) e che qualsiasi misura diversa da quella disposta dalle autorità francesi sarebbe stata insufficiente per tutelare efficacemente la privacy degli interessati (§ 90). Condividendo il risultato del bilanciamento già compiuto dai tribunali nazionali, la Corte non rileva la violazione dell'articolo 10 della Convenzione (§ 92-93). (Francesca Vitarelli)

Riferimenti bibliografici: M. Crippa, La pubblicazione di dichiarazioni diffamatorie altrui: la Corte Edu condanna l'Italia per la violazione del diritto di cronaca in relazione all'omicidio Tobagi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, p. 1164 ss.; P. Zoerle, La pubblicazione di immagini dell’imputato tra libertà di cronaca giudiziaria, diritto alla riservatezza e presunzione di innocenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 343 ss.

 

ART. 1 PROT. ADD. CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. II, 19 gennaio 2021, Aktiva DOO c. Serbia

Diritto di proprietà – confisca e vendita di beni da parte dello Stato – mancata considerazione di misure alternative – sproporzione della misura – violazione

La ricorrente, una società con sede a Belgrado, si è rivolta alla Corte Edu in relazione alla confisca e successiva vendita di beni di sua proprietà da parte dello Stato, misura inflitta a causa della violazione delle norme sulla registrazione dei beni, fatto costituente reato secondo la normativa nazionale. In particolare, la società ricorrente invoca la violazione dell’art. 1 Prot. Add. ritenendo di aver subito un’ingerenza illegittima e sproporzionata nel suo diritto al godimento pacifico dei beni (§ 72-73), considerato anche che i procedimenti per i reati commessi si erano chiusi per prescrizione prima che la società fosse dichiarata colpevole e che le merci erano state importate legalmente. I giudici di Strasburgo si soffermano in particolare sulla proporzionalità della misura ablatoria, considerandola cruciale nella vicenda di specie (§ 81). A tal proposito, si ribadisce che l’ingerenza nella proprietà privata deve essere proporzionata alla gravità dell’infrazione (v. mutatis mutandis Corte Edu, 31 gennaio 2017, Boljević c. Croazia, § 44) (§ 82-84). Ciò considerato, la Corte ritiene che nel caso di specie il Governo non abbia dimostrato in modo convincente che la sanzione pecuniaria da sola non sarebbe stata sufficiente per ottenere l’effetto deterrente e punitivo desiderato e per prevenire future violazioni dell’obbligo di registrazione (§ 85). Viene dunque accertata la violazione dell'articolo 1 Prot. Add. (Francesca Vitarelli)