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10 Giugno 2024


Osservatorio Corte EDU: aprile 2024

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Edoardo Cipani (artt. 7 e 10 Cedu) e Serena Chionna (artt. 5, 6 e 7 Prot. n. 4 Cedu).

 

In aprile abbiamo selezionato pronunce relative a: internamento per motivi psichiatrici (art. 5 Cedu); imparzialità del giudice (art. 6 Cedu); prevedibilità della condanna per una condotta illecita costituente prassi consolidata (art. 7 Cedu); diritto di accesso alle informazioni per attività di giornalismo di inchiesta (art. 10 Cedu); ne bis in idem a fronte di condanna e successivo internamento psichiatrico (art. 7 Prot. n. 4 Cedu).

 

ART. 5 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III Comit., 9 aprile 2024, Mehenni (Adda) c. Svizzera

Legittimità della detenzione in seguito a una condanna – riapertura del procedimento per modificare la pena sulla base di una valutazione psichiatrica – ordine di internamento per ragioni di tutela della pubblica incolumità emesso senza riesame delle accuse nel merito – violazione

Il ricorrente, condannato dal tribunale distrettuale di Losanna a sette anni di reclusione (per tentato omicidio, aggressione e lesioni personali), dopo aver scontato interamente la pena detentiva, veniva internato per motivi psichiatrici (§§ 1-2). Tale misura di sicurezza veniva emessa all’esito di un procedimento di revisione della pena, richiesta dal pubblico ministero in quanto ritenuta non più adeguata in considerazione dell’elevato rischio di recidiva che era stato nel frattempo accertato. Infatti, durante il periodo di detenzione, erano state eseguite due perizie psichiatriche (nell’ambito di una richiesta di liberazione condizionale) che avevano accertato diversi e gravi disturbi della personalità del ricorrente (§§ 3-4). Le Corti interne accoglievano la richiesta del pubblico ministero, dichiarando che l’accertamento di tali disturbi era da considerare quale “fatto nuovo” che giustificava, quindi, la revisione della pena per ragioni di protezione della collettività (§§ 7-8). Inoltre, per eseguire tale misura, il ricorrente era stato trasferito in un carcere di alta sicurezza dove aveva ricevuto discontinue terapie di sostegno e cure psichiatriche (§§ 9-11). Per tutti questi motivi egli ricorreva alla Corte europea censurando la violazione dell’art. 5/1 Cedu sotto il profilo della lettera a) per l’insussistenza di una nuova valutazione di “condanna” in grado di sorreggere il secondo periodo di detenzione e della lettera e) per l’inidoneità delle condizioni di detenzione in cui era stato posto (§ 12). La Corte europea nell’esaminare la prima censura, richiamata la propria consolidata giurisprudenza in materia, ha evidenziato che, affinché una privazione della libertà possa considerarsi legittima ai sensi dell’art. 5/1 lett. a), è necessario che questa avvenga “in seguito” ad una condanna, ovvero che sussista un nesso di causalità tra la condanna e la detenzione. Pertanto, pur essendo possibile un aggravamento della pena a seguito di un procedimento di revisione, affinché quest’ultimo possa ritenersi legittimo, occorre che vi sia stato un nuovo esame nel merito dei fatti e della colpevolezza del (già) condannato, in grado di giustificare e sorreggere causalmente una modifica in peius della pena (§§ 19-20). Nel caso di specie, invece, la Corte edu ha ritenuto che i tribunali interni si siano limitati a irrogare una pena aggiuntiva per finalità di tutela della collettività, senza procedere ad una nuova valutazione delle accuse precedenti, e per questo motivo ha dichiarato la violazione dell’art. 5/1/a (§§ 21-22). Inoltre, in ragione dell’inadeguatezza dell’istituto di detenzione ad eseguire trattamenti terapeutici e a fornire sostegno psicologico specifico in ragione delle condizioni della salute mentale del ricorrente, la Corte europea ha rilevato la violazione della Convenzione anche sotto il profilo della lett. e) (§§ 27-32). (Serena Chionna)

Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Detenzione e infermità psichica sopravvenuta: un problema europeo e una soluzione nazionale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2019, p. 1065 ss.

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 23 aprile 2024, Sacharuk c. Lituania

Equità processuale – imparzialità del giudice – stesso giudice della Corte suprema in due gradi di giudizio – mancanza di un nuovo esame nel merito – violazione

Il ricorrente, membro del Parlamento lituano, aveva utilizzato la carta d’identità di un collega assente per votare più volte a suo nome, sebbene il regolamento parlamentare prevedesse che il voto fosse personale e non trasferibile (§§ 6-7). Per tali fatti la procura interna aveva avviato un’indagine penale nell’ambito della quale egli aveva ripetutamente negato la sua responsabilità per le condotte addebitategli, invocando in suo favore una prassi consolidata all’interno del Parlamento di tolleranza di tale abitudine per cui, oltretutto, nessuno era mai stato indagato (§§ 19 -20). Il tribunale di primo grado e la Corte d’appello lo assolvevano escludendo l’offensività delle condotte contestategli anche sulla base di diverse testimonianze di membri del Parlamento che avevano confermato la prassi di tolleranza del voto per altri (§§ 21-23). A seguito del ricorso presentato dal pubblico ministero per motivi di diritto, il collegio della Corte suprema annullava la sentenza della Corte d’appello rimettendole il caso per un nuovo esame (§ 24). I giudici della Corte d’appello, condannavano il ricorrente per abuso d’ufficio e utilizzo illegittimo di documento altrui (§§ 32-37) e la Corte Suprema confermava definitivamente tale condanna (§§ 45-55). Nell’ambito di quest’ultimo giudizio, tuttavia, il ricorrente aveva presentato un’istanza di ricusazione lamentando che un membro del collegio giudicante avesse già esaminato il suo caso in quanto presidente della Corte suprema che aveva rimesso il giudizio in secondo grado (§§ 38-40). Tale istanza era stata però rigettata per carenza di prove sulla mancata imparzialità e la condanna veniva confermata definitivamente (§§ 41-44). Il ricorrente si rivolgeva, dunque, alla Corte di Strasburgo lamentando la violazione del diritto ad essere giudicato da un giudice imparziale sancito dall’art. 6/1 Cedu (§ 77). Nell’esaminare le questioni sottoposte alla sua attenzione, la Corte edu ha rilevato che il timore del ricorrente sulla mancata imparzialità del giudice era legittimo, in quanto non era stato svolto un nuovo esame del caso e anche la somiglianza del linguaggio utilizzato dalle due sentenze della Corte suprema ne era riprova (§§ 107-113). Tale circostanza è stata ritenuta idonea a fondare un timore sull’imparzialità del giudice e, pertanto, la Corte europea ha dichiarato la violazione dell’art. 6 della Convenzione (§§ 114-115). (Serena Chionna)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’imparzialità del giudice fra precedenti valutazioni e influenze mediatiche, in Riv. it. dir. pen. proc., 2021, p. 747 ss.

 

ART. 7 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. II, 23 aprile 2024, Sacharuk c. Lituania

Nulla poena sine lege – legalità in senso sostanziale – abuso d’ufficio del parlamentare nell’esercizio del voto – non violazione

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi all’equità processuale, v. supra, sub Art. 6. Il procedimento nei confronti del parlamentare sfociava in assoluzione in primo e secondo grado, successivamente annullata della Corte Suprema, con conseguente riesame e condanna definitiva per abuso di ufficio e utilizzo illegittimo di documento ufficiale. Dinanzi alla Corte europea il ricorrente fa valere anche la violazione dell’art. 7 Cedu, in primo luogo affermando che al suo caso era stata indebitamente applicata una sanzione penale, malgrado la sua condotta fosse conforme alla prassi parlamentare del tempo, che prima di quel momento non aveva mai condotto a conseguenze penali, e in secondo luogo ravvisando i caratteri della discriminatorietà ed arbitrarietà della sua condanna. La Corte, dopo aver chiarito come per quanto possa essere chiara una previsione normativa in ogni sistema legale un ruolo imprescindibile sia svolto dall’interpretazione giudiziale (§ 144), e che una violazione dell’art. 7 non possa sussistere ogniqualvolta la pronuncia sia prevedibile e coerente con la natura del reato (§ 145), passa all’esame del merito della vicenda. In particolare, con riferimento alla prassi parlamentare lituana addotta a sostegno delle ragioni del ricorrente, la Corte richiama le numerose censure formulate nel tempo dalla commissione parlamentare (§ 153), e riconosce come sia la prima volta che la suddetta Commissione decide di investire della questione l’autorità giudiziaria. L’avvio di un procedimento penale per abuso di ufficio è tuttavia giustificato, a detta della Corte, dalla particolare gravità del danno cagionato dalle sue azioni, avendo il ricorrente consapevolmente agito a detrimento del prestigio del parlamento, mostrando un’assoluta mancanza di rispetto nei confronti della Costituzione lituana (§ 156). Per questi motivi, l’interpretazione seguita dalle corti domestiche, che hanno ricondotto la condotta del parlamentare all’interno del concetto di grave danno allo Stato, che contraddistingue la tipicità del reato di abuso di ufficio secondo la normativa lituana, costituisce un’interpretazione ragionevole e prevedibile del dato normativo, conforme alla previsione dell’art. 7 Cedu (§ 159). (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: E. Cipani, La Corte europea sull’applicazione dell’art. 7 CEDU alle norme relative all’esecuzione della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, 1, p. 295 ss.; M. Crippa, “Considerata la evidente illegittimità dei crimini di guerra”: la Corte EDU conferma la prevedibilità della responsabilità da comando ai sensi del diritto internazionale consuetudinario, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, 2, p. 901 ss; C. Pagella, La Corte EDU esclude la violazione dell’art. 7 in ragione della qualifica professionale dell’imputato: imprevedibilità delle pronunce in materia di prevedibilità soggettiva?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 3, p. 1628 ss.; P. Bernardoni, Terrorismo “morale” e articolo 7 Cedu: la Corte di Strasburgo ritiene imprevedibile la spiritualizzazione del concetto di violenza operata dai giudici turchi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 2, p. 1157 ss.; M. Crippa, La prevedibilità delle condanne per genocidio “politico” degli oppositori al regime sovietico: la Lituania supera il vaglio della Corte Edu, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 3, p. 1753 ss.

 

ART. 10 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 4 aprile 2024, Zoldi c. Ungheria

Libertà di espressione – diritto alla riservatezza – giornalismo investigativo – violazione

La ricorrente, giornalista d’inchiesta, indagava sull’utilizzo di fondi pubblici da parte di due fondazioni create dalla banca centrale ungherese, ente interamente partecipato dallo Stato, e in particolare sui nomi dei soggetti che avevano ottenuto dalle stesse delle sovvenzioni. Le fondazioni, la cui struttura e sistema di finanziamento erano oggetto di acceso dibattito pubblico all’epoca dei fatti, si rifiutavano di ostendere le informazioni richieste, facendo valere il diritto di riservatezza dei soggetti interessati, trattandosi di dati personali, e la mancanza di una previsione normativa espressa che imponesse la suddetta ostensione. Tale rifiuto veniva impugnato dalla ricorrente di fronte alle corti domestiche, le quali tuttavia addivenivano ad una conferma dello stesso con riferimento al rilascio dei nominativi, evidenziando talora la mancanza di una previsione normativa espressa, talaltra l’assenza di un interesse pubblico connesso. La ricorrente adisce dunque la Corte, facendo valere una violazione dell’art. 10 Cedu, non essendo il rifiuto ascrivibile al secondo paragrafo della disposizione richiamata, in quanto non sorretto da alcuna previsione normativa integrante un contro-interesse obiettivamente rilevante. In particolare, il nocciolo della questione è, a detta della Corte, la possibilità di ricondurre le restrizioni al diritto azionato dalla ricorrente a misure necessarie all’interno di una società democratica, secondo la lettera della previsione richiamata: in accordo con la giurisprudenza costante della Corte, ogni restrizione della libertà di espressione deve essere debitamente fondata, corrispondente ad un interesse sociale impellente e proporzionata al fine legittimo perseguito (§ 47). Passando all’esame del merito, la Corte afferma come nel caso di specie l’interesse alla protezione del diritto alla riservatezza dei beneficiari dei fondi pubblici non sia di natura e portata tali da costituire un possibile parametro per la violazione dell’art. 8 Cedu, e per un giudizio di bilanciamento rispetto al diritto di libertà di espressione del ricorrente ex art. 10 Cedu (§ 50). D’altro canto, la Corte evidenzia come la trasparenza nell’allocazione dei fondi pubblici rappresenti un importante principio costituzionale (§ 50). Del resto, nessuna prova è stata fornita dal Governo in favore di un possibile impatto dannoso della citata ostensione sul diritto di riservatezza dei beneficiari delle sovvenzioni (§ 53), essendo stato il rifiuto sostanzialmente giustificato dalla mancanza di una previsione normativa che imponesse l’esibizione (§ 54), senza alcuna operazione di bilanciamento di diritti. Per questi motivi, si ritiene integrata una violazione dell’art. 10 Cedu. (Edoardo Cipani)

Riferimenti bibliografici: M.Crippa, La pubblicazione di dichiarazioni diffamatorie altrui: la Corte Edu condanna l’Italia per la violazione del diritto di cronaca in relazione all’omicidio Tobagi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 2, p. 1164 ss.; L. Rossi, Dall’uso all’abuso: quando la libertà di espressione sconfina nel negazionismo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 1, p. 369 ss.

 

ART. 7 Prot. n. 4 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III Comit., 9 aprile 2024, Mehenni (Adda) c. Svizzera

Legittimità della detenzione in seguito a una condanna – riapertura del procedimento per modificare la pena sulla base di una valutazione psichiatrica – ordine di internamento per ragioni di tutela della pubblica incolumità senza riesame nel merito – ne bis in idem – violazione

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi alla rilevata violazione dell’art. 5 v. supra sub art. 5 Cedu. Invocando il principio convenzionale di ne bis in idem ex art. 7 Prot. n. 4, il ricorrente sosteneva di essere già stato punito (e aver già scontato la relativa pena) per gli stessi fatti posti alla base di una successiva condanna all’internamento per motivi psichiatrici (§ 33). La Corte europea ha dichiarato la violazione dell’art. 7 Prot. n. 4, affermando che non costituisce “fatto nuovo”, tale da giustificare la legittima riapertura del procedimento, la mera diagnosi di un disturbo mentale non in grado di incidere né sulla qualificazione del reato né sulla valutazione della colpevolezza precedenti (§§ 35-37) (Serena Chionna)