Cass. Civ., Sez. un., 11 marzo 2025 (dep. 18 maggio 2025), n. 13200, pres. D’Ascola, est. Vincenti
1. Premessa. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno di recente risolto un contrasto giurisprudenziale relativo alla possibilità di invocare della causa di giustificazione del diritto di cronaca nell’ipotesi in cui venga diffusa la notizia che un indagato sia stato attinto da una richiesta di rinvio a giudizio allorché al medesimo sia stato notificato l’avviso della conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p.
In particolare, il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è il seguente: “In tema di diffamazione a mezzo stampa l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'articolo 415 bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori”.
Il caso da cui muove la decisione in esame riguarda la pubblicazione nell’edizione on line del settimanale “L’Espresso” di un articolo intitolato “Truffa del superfinanziere”, in cui l’articolista scriveva che “D.A., numero uno della banca d'affari Rothschild Italia, rischia di essere processato per il caso Telecom Argentina. La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per lui e per (…), proprietario dell'agenzia di stampa (…)”; scriveva inoltre che “a breve il giudice deciderà sia su questa questione che sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dai pubblici ministeri”.
2. Il difficile bilanciamento tra diritto di cronaca (giudiziaria) e diritto all’onore e alla reputazione. Come viene messo in luce nella sentenza in esame, tra la libertà di manifestazione del pensiero e i diritti della personalità sussistono “complessi rapporti di reciproca e costante tensione”.
In particolare, il primo fondamentale problema che coinvolge la cronaca giudiziaria riguarda l’individuazione di un punto di equilibrio tra “due diritti [che] si fronteggiano quotidianamente nelle aule di giustizia: il diritto di cronaca … ed il diritto dell'individuo a preservare il proprio onore e la propria reputazione”[1]. Si tratta di beni costituzionalmente garantiti, benché non espressamente menzionati nella carta fondamentale. Il diritto di cronaca, infatti, viene ricondotto alla libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost.[2], sia perché “narrare vuol dire inevitabilmente selezionare e scartare e dunque scegliere”[3], sia perché la realtà stessa può essere percepita in modo differente e narrata in modo differente[4]. D'altra parte, come evidenziano anche le Sezioni Unite nella sentenza in esame, la stessa Corte costituzionale ha più volte riconosciuto che l'art. 21 Cost. ricomprende “la libertà di dare e divulgare notizie, opinioni e commenti”[5].
Per inciso, non ha nulla a che vedere con la cronaca giudiziaria la giustizia mediatica, che “contrabbanda sotto le mentite spoglie della cronaca e dell’interesse pubblico spettacoli di pubblico intrattenimento, talk show e salotti televisivi”[6], come stiamo constatando anche in questi giorni con la spettacolarizzazione delle nuove indagini per l’omicidio di Chiara Poggi, il tristemente famoso ‘delitto di Garlasco’.
Parallelamente, sul versante opposto rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero, il diritto all'onore, e il diritto a quella particolare componente dell'onore, che designiamo come reputazione, trova il suo fondamento, pure riconosciuto dalla Corte costituzionale, nell'art. 2 Cost. attraverso il richiamo ai “diritti inviolabili della persona”, nonché nell'art. 3 Cost., che sancisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini[7], dignità che deve fungere da “stella polare” nei resoconti giudiziari non solo a tutela dei soggetti indagati o imputati, bensì anche di chi, condannato in via definitiva, stia scontando una pena[8].
In particolare, la cronaca giudiziaria si pone spesso in conflitto con il particolare profilo del diritto all’onore/reputazione attinente alla presunzione di innocenza ex art. 27 co. 2 Cost.: in forza di tale principio, il cronista deve astenersi da affermazioni che anticipino la condanna o comunque possano pregiudicare la posizione dell'indagato e dell'imputato[9]. Ed è proprio in ragione della presunzione di innocenza che nel nostro ordinamento è stata, sia pur tardivamente[10], recepita una Direttiva UE[11] nella quale si prevede, tra l’altro, il divieto “alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”[12] e si introduce l’art. 115 bis c.p.p. (Garanzia della presunzione di innocenza), che vieta ai magistrati di indicare “nei provvedimenti diversi di quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato” la persona sottoposta a indagini o l’imputato come colpevoli fino alla sentenza irrevocabile[13].
3. Il punto di equilibrio. Come è noto, sin dagli anni ’80, per dottrina e giurisprudenza consolidate il contemperamento tra libertà di manifestazione del pensiero - nella particolare accezione di libertà di informare - e diritto all'onore - comprensivo del diritto ad essere considerato innocente fino alla condanna definitiva -, si attua attraverso il rispetto di alcuni limiti che l'ordinamento appone al diritto di cronaca. Tali limiti, frutto di un'elaborazione giurisprudenziale al centro della quale si colloca la cosiddetta sentenza “Decalogo”[14] - richiamata anche dalla decisione in esame come incarnazione del principio del c.d. “giornalismo responsabile” -, sono riassumibili in: corrispondenza tra fatti accaduti e fatti narrati (verità del fatto); interesse pubblico alla notizia (c.d. pertinenza); correttezza espositiva (c.d. continenza formale).
Peraltro, benché tali requisiti, messi a fuoco dalla giurisprudenza, forniscano al giudice e all'interprete criteri utili al fine di un corretto bilanciamento tra cronaca e reputazione, nella prassi spesso le soluzioni si sono rilevate alquanto controverse, soprattutto, come vedremo, con riferimento al requisito di “verità”. Per potersi invocare il diritto di cronaca, infatti, è necessario che oggetto della pubblicazione sia un fatto vero. Il rispetto della verità sostanziale, d'altra parte, imposto anche dall'art. 1 l. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista, costituisce un limite logico del diritto di cronaca[15], che si caratterizza proprio per la narrazione di fatti: la verità è “condizione necessaria per la corretta formazione dell'opinione pubblica e quindi per il soddisfacimento di quelle esigenze che giustificano la prevalenza del diritto di cronaca rispetto agli interessi di volta in volta contrapposti”[16].
Come evidenziano le Sezioni Unite nella decisione in esame, infatti, non vi è una “legittimazione incondizionata” del giornalista alla propalazione di notizie attinenti procedimenti penali che incidono sull'onore del soggetto coinvolto: nel rispetto della presunzione di non colpevolezza, da un lato, “la notizia deve essere fedele al contenuto del provvedimento” – deve cioè “sussistere la necessaria correlazione tra fatto narrato e quello accaduto” –, dall’altro, non può “spingersi oltre quanto strettamente necessario ai fini informativi”[17]. Ciò non significa che non siano ammessi “errori” nella divulgazione della notizia: come ricorda il Supremo Collegio, anche nella cronaca giudiziaria trova spazio, inevitabilmente, “una soglia di tolleranza delle infedeltà”, purché si tratti di “inesattezze marginali”[18], cioè che non alterino o manipolino il contenuto essenziale del dato informativo, “essendo a tal fine, neutre”.
4. Verità del fatto nella cronaca giudiziaria e terminologia giuridica. Nell'ambito della cronaca giudiziaria, il requisito di verità, che, come abbiamo ricordato, coinvolge uno degli aspetti più delicati della reputazione, deve essere “restrittivamente inteso”. In primo luogo, nella cronaca giudiziaria il fatto è vero se corrisponde a quanto risulta dagli atti processuali nel momento in cui viene data l’informazione[19]: non vale a giustificare un resoconto diffamatorio la circostanza che tale resoconto si dimostri, per accadimenti successivi al momento in cui è stata divulgata la notizia, vero. In secondo luogo, il rispetto della verità della notizia e della presunzione di non colpevolezza è intimamente connesso ad un corretto utilizzo della terminologia giuridica: tale terminologia, infatti, spesso identifica stadi differenti del procedimento penale, la cui individuazione può essere idonea ad incidere più o meno negativamente sulla reputazione del soggetto di cui si parla.
A tal proposito, infatti, la costante giurisprudenza (sia civile che penale) esclude il diritto di cronaca – ritenendo che si tratti di un errore macroscopico e non marginale – nelle ipotesi in cui sia divulgata l’erronea notizia dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, anziché quella – corretta – della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p[20]. Il decreto che dispone il giudizio, infatti, è atto proveniente dal Giudice per l’udienza preliminare: pertanto, come evidenziano anche le Sezioni Unite nella pronuncia in esame, è “frutto di vaglio da parte di un giudice terzo e imparziale sulla prospettazione accusatoria”. Soprattutto, il soggetto nei cui confronti viene emesso il decreto riveste già lo status processuale di “imputato”; viceversa, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari è atto promanante dal Pubblico Ministero, prodromico al decreto che dispone il giudizio (e alla richiesta di rinvio a giudizio), a cui non necessariamente consegue il decreto che dispone il giudizio: il destinatario di tale avviso, quindi, riveste ancora la qualifica di “indagato”. Pertanto, la comunicazione dell’avvenuta emissione del decreto da parte del Giudice (piuttosto che della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis c.p.p.) si riverbera sulla percezione del lettore circa l’avanzamento del procedimento penale, nonché sul grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto: non più solamente come “indagato”, ma ormai come “imputato”.
5. I contrastanti orientamenti giurisprudenziali in ordine all’utilizzo di una terminologia giuridica inappropriata. Se, come abbiamo visto, con riferimento alla notizia dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, anziché della notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari, la giurisprudenza si è dimostrata concorde nell’escludere l’esimente del diritto di cronaca, si sono verificati casi particolarmente problematici che hanno originato soluzioni discordanti.
Una delle questioni più controverse riguarda la propalazione della notizia dell’avvenuta richiesta di rinvio a giudizio piuttosto che della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. (che è il thema decidendum della sentenza in esame).
Sino all’attuale pronuncia del Supremo Collegio, infatti, si registravano due orientamenti.
Un primo orientamento[21], a nostro avviso condivisibile, non ravvisava in tale errore un’inesattezza marginale, compatibile con il riconoscimento del diritto di cronaca. Gli argomenti a sostegno di tale soluzione si àncorano all'evidente differenza tra l'avviso di conclusione delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio, che costituisce un momento processuale successivo, nel quale il pubblico ministero esercita l'azione penale: determina così il mutamento dello status giuridico del protagonista della vicenda giudiziaria, che passa da indagato a imputato.
Secondo l’opposto orientamento[22], la divulgazione di una notizia contenente l'erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini non integrerebbe un delitto di diffamazione, dal momento che, in tal caso, la divergenza tra il contenuto della notizia e l'effettivo stato del procedimento costituirebbe “una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d'indagine funzionale alla sua progressione”. Anche con riguardo all’attribuzione ad un indagato di un’imputazione diversa da quella effettivamente contestata, benché la giurisprudenza non sia concorde nelle soluzioni adottate, l’indirizzo prevalente appare nel senso di non giustificare (con il riconoscimento del diritto di cronaca) l’attribuzione di un fatto (o di un’imputazione) più grave di quella realmente contestata[23]; viceversa, ravvisa un’“inesattezza marginale” nell’attribuzione di reati meno gravi rispetto a quelli contestati[24], in quanto caratterizzata da una minusvalenza offensiva.
6. La soluzione accolta dalle Sezioni Unite. Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite aderiscono espressamente all’orientamento giurisprudenziale che abbiamo esposto per primo, che attribuisce rilevanza all’erronea attribuzione della qualifica di imputato, in luogo di quella di indagato. In particolare, la Corte pone l’accento sul peso che riveste la differenza tra lo status di indagato (che compete al destinatario dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis c.p.p) e quello di imputato (quale diviene il destinatario della richiesta di rinvio a giudizio). Con la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio, infatti, il pubblico ministero esercita l'azione penale e “l'addebito si stabilizza assurgendo a imputazione”. Se è pur vero, infatti, che l'avviso di conclusione delle indagini preliminari “sottointende l'intenzione del pubblico ministero di far evolvere la prospettazione accusatoria in una formale imputazione”, si legge in sentenza che tale intenzione “non necessariamente viene seguita da una richiesta di rinvio a giudizio”: come è noto, infatti, a seguito della ricezione dell'avviso di conclusione indagini l'indagato può chiedere di essere sottoposto a interrogatorio, può chiedere che vengano svolte ulteriori indagini e può produrre memorie, tutti elementi che potrebbero portare il pubblico ministero a formulare una richiesta di archiviazione.
In tale contesto, quindi, la diversa natura giuridica degli atti processuali, che evoca una diversa posizione del protagonista della vicenda giudiziaria, “non può essere trascurata al fine di valutare la carica diffamatoria del contenuto informativo inesatto”. Un simile errore nell'utilizzo della terminologia giuridica comporta che la notizia propalata, oltre che non conforme alla realtà, sia lesiva della reputazione del protagonista della vicenda giudiziaria, in quanto induce l'opinione pubblica a ritenere un maggior grado di probabilità di coinvolgimento del soggetto nel reato contestato.
Non solo, ma, con tutta evidenza, tale errore pregiudica anche il diritto della collettività ad un’informazione vera e corretta[25]. Condivisibilmente, quindi, le Sezioni Unite ritengono che un errore di tale portata non possa essere relegato “all'ambito della mera marginalità”.
Analogamente, il Supremo Collegio non ha dubbi sulla non invocabilità dell’esimente del diritto di cronaca in ipotesi di erronea attribuzione di un reato consumato, anziché tentato. A tal proposito, il Collegio evidenzia la natura autonoma del tentativo, quale reato strutturalmente perfetto che però esprime un disvalore più tenue rispetto al reato consumato, come dimostra il trattamento sanzionatorio meno afflittivo rispetto a quello previsto per il reato consumato.
Il Supremo Collegio prosegue evidenziando di non poter assolutamente condividere nemmeno quell'orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto integrare un'inesattezza marginale l'aver indicato un soggetto come “indagato” quando invece era stato “sentito come persona informata dei fatti”[26] sull’assunto che si tratterebbe in ogni caso “di figure pur sempre afferenti alla fase delle indagini preliminari”. Sul punto, la Suprema Corte ha persuasivamente evidenziato che il soggetto, pur afferente alla fase delle indagini preliminari, è tuttavia estraneo al fatto-reato e può coincidere con la persona offesa, vittima del reato stesso. Ci sembra di poter dire che se il rispetto della presunzione di non colpevolezza impone, si è detto, una particolare attenzione nell’attribuire una maggior probabilità di coinvolgimento ad un soggetto che è solamente indagato, a maggior ragione tale attenzione deve essere riservata alla vittima che non ha nessuna probabilità di coinvolgimento nel reato, se non in qualità di persona offesa. Peraltro, la diffusione di una simile notizia, oltre ad essere gravemente lesiva della reputazione del soggetto coinvolto, che da vittima potrebbe assurgere addirittura ad autore del reato, è del tutto sprovvista del requisito di verità, con la conseguenza che anche la finalità informativa della cronaca risulta completamente elusa. Non si giustificherebbe, quindi, in nessun modo, la compressione del diritto all’onore a favore della diffusione di una notizia gravemente viziata.
7. Il ruolo dell’offensività in concreto. Nella sentenza in esame, il Supremo Collegio non limita la propria analisi a considerazioni relative all'offensività in astratto della terminologia giuridica utilizzata, ma dà rilievo anche al contesto in cui viene utilizzata la terminologia giuridica “errata”, astrattamente in grado di ledere il bene giuridico dell'onore. Il Supremo Collegio, infatti, ritiene che se dal contesto complessivo della narrazione emerge in modo inequivocabile la verità sostanziale della notizia, l'eventuale addebito di un fatto diverso (un reato consumato, anziché tentato; un soggetto imputato, anziché indagato), la natura diffamatoria di tale inesattezza “può sfumare”.
D’altronde la giurisprudenza di legittimità ha sempre ritenuto che la portata diffamatoria di un'affermazione debba essere ponderata valorizzando il contesto in cui si colloca[27]. A tal proposito, nella decisione in esame, le Sezioni Unite evidenziano come “la valenza semantica di un elemento atomisticamente considerato può trascolorare ove quest'ultimo venga inserito in un contesto narrativo più ampio”. In tale ottica, pertanto, precisano ancora i Giudici, “un elemento astrattamente diffamatorio può assumere un peso specifico inconsistente rispetto al risultato comunicativo effettivamente raggiunto ove esso corrisponda alla verità sostanziale della notizia”. Per la Corte, in definitiva, ciò che conta davvero, ai fini dell'invocazione del diritto di cronaca, è che il lettore sia messo nella condizione di recepire un'informazione corretta, in grado di soddisfare il suo diritto ad essere informato.
Solo così, vien da dire, la stampa può assolvere al proprio ruolo di “cane da guardia della democrazia”.
[1] Così Turchetti, Cronaca giudiziaria e responsabilità penale del giornalista, 2014, p. 44. V. inoltre Vigevani, Il diritto di cronaca e di critica, in Cuniberti, Lamarque, Tonoletti, Vigevani, Viviani Schlein, Percorsi di diritto dell’informazione, 2011, p. 47.
[2] Per Nuvolone, Il diritto penale della stampa, 1971, p. 52, anche la cronaca, in quanto riproduzione di percezione liberata dall'intelletto, rientra nella libera manifestazione del pensiero. Nella manualistica, sulla riconducibilità del diritto di cronaca all'art. 21 Cost. cfr. per tutti Antolisei, Manuale di diritto penale, pt. sp., vol. I, XV ed., 2008, p. 221, nonché Bartoli, Pelissero, Seminara, Lineamenti di parte speciale, III ed., 2024, p. 231.
[3] Fumo, La diffamazione mediatica, 2012, p. 167; Razzante, Manuale di diritto dell'informazione e della comunicazione, 2013, p. 31.
[4] Cfr. Cass. pen. 18.9.2008, in Guida al diritto, 2008, n. 43, p. 88, che evidenzia come due narrazioni del medesimo accadimento possano presentare marcate differenze.
[5] Corte cost. 9.6.1972, n. 105; Corte cost. 22.1.1981, n. 1; Corte cost. 29.1.1981, n. 16.
[6] Manes, Giustizia mediatica, Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, 2022, p. 126.
[7] Cfr., di recente, Manes, Giustizia mediatica, cit., p. 128.
[8] Cfr. Bruti Liberati, Delitti in prima pagina, 2022, p. 274.
[9] Cfr. Manna, Tutela penale dell’onore, cronaca giudiziaria e diffusione di dati concernenti fatti giudiziari, in Dir. pen. inf., 1999, p. 278; Pace, Petrangeli, voce Cronaca e critica (diritto di), in Enc. Dir., vol. V, aggiorn. 2001, p. 330; denuncia un “rovesciamento della presunzione di innocenza” nel processo mediatico in cui “l’indagato mediatico” diviene “colpevole in attesa di giudizio”, Manes, Giustizia mediatica, cit., p. 80.
[10] Così Bruti Liberati, Delitti in prima pagina, cit., p. 213.
[11] Direttiva UE 9.3.2016 n. 343 “Sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”. Per il testo della Direttiva, può vedersi www.giustiziapenaleeuropea.eu.
[12] Art. 2 co. 1 d. lgs. 8.11.2021, n. 188.
[13] Nel comunicato stampa emesso dalla Procura generale della Corte di Cassazione il 21.12.2021, all’indomani del recepimento della Direttiva UE, citato da Bruti Liberati, Delitti in prima pagina, cit., p. 274, si raccomanda agli uffici del Pubblico Ministero che “l’informazione sia rispettosa della dignità della persona” (imputati, vittime e tutti coloro che prendono parte al processo) e che sia “tempestiva, completa e tale da fornire all’opinione pubblica... tutto ciò che è proporzionato alla rilevanza della notizia”; è la “continuità dell’informazione” che “nelle varie fasi di un procedimento” evita che “questo si trasformi in processo a mezzo stampa o peggio nei salotti televisivi senza che sia possibile una completa conoscenza dei fatti”.
[14] Cass. civ. 18.10.1984, n. 5259, in DeJure, nota come “decalogo del giornalista”, in quanto fissa i limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca. V. in proposito Turchetti, Cronaca giudiziaria e responsabilità penale del giornalista, cit., p. 46, nonché Riccardi, in Codice penale commentato, diretto da Dolcini - Gatta, V ed., 2021, tomo III, sub art. 595, p. 1374.
[15] Per una critica alla tesi che individua nella verità oggettiva un limite logico del diritto di cronaca, v. peraltro Delitala, I limiti giuridici alla libertà di stampa, in Justitia, 1959, p. 393, ora in Diritto penale, Raccolta degli scritti, vol. II, 1976, p. 947.
[16] Pace, Petrangeli, Cronaca critica (diritto di) cit., p. 317; per una tutela implicita, ravvisabile nell’art. 21 Cost., anche del “lato passivo” dell’informazione, quale “diritto ad essere informati” cfr. Corte cost. 11-20 luglio 1990, n. 348, nonché, in dottrina, Barile, Grassi, voce Informazione (libertà di), Noviss. Dig. It., Append. IV, 1983, p. 200. Una tutela esplicita del “diritto ad essere informati” la troviamo, invece, nell’art. 10 Cedu quale “libertà di ricevere... comunicazioni o idee”. Onore e reputazione non sono gli unici interessi che si frappongono al diritto di cronaca: per i rapporti tra diritto di cronaca e segretezza processuale cfr. Giostra, Processo penale e informazione, 1989; per i rapporti tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza, cfr. Bricola, Prospettive e limiti della tutela penale della riservatezza, in Il diritto alla riservatezza e la sua tutela penale. Atti del terzo simposio di studi di diritto e procedura penali, promosso dalla fondazione “Avv. Angelo Luzzani”, Varenna, Villa Monastero, 6,7 settembre 1967, 1970, p. 122.
[17] Cass. civ. 26.8.2014, n. 18264, CED 632094 - 01; Cass. pen., 30.5.2023, n. 38323, in www.cortedicassazione.it.
[18] Sono state ritenute tali, a titolo esemplificativo, la non corrispondenza al vero dell'indicazione del luogo di arresto oppure l'indicazione di un arresto per plurimi episodi di concussione aumentando il numero di soggetti concussi e l'entità dei proventi illeciti (Cass. 21.9.2005, n. 37263, in DeJure) nonché l'erronea indicazione di rinvio a giudizio per estorsione anziché per il più grave delitto di usura (Cass. 14.1.2010, n. 6410, in DeJure) in quanto inesattezze che non andrebbero ad incidere sugli elementi che costituiscono l'essenza della sostanza dell'intero contenuto informativo della notizia riportata; ancora, è stata ritenuta tale la pubblicazione di un articolo che conteneva l’erronea indicazione che un medico veterinario avesse millantato un’operazione chirurgica mai eseguita, laddove, invece, l’intervento era stato ineseguito, ma in modo errato (Cass. 20.7.2016, n. 41099, in CED 268149); viceversa, non è stato ritenuta marginale l’attribuzione ad un soggetto di una condotta di bancarotta fraudolenta nell’ambito di un’indagine relativa ad un fallimento di 100 milioni di euro, a fronte di un’imputazione di ricettazione prefallimentare di beni del valore di 900 mila euro (Cass., 29.1.2020, n. 13782, in CED 278990). In dottrina, cfr. Vigevani, Non tutte le inesattezze del resoconto giornalistico conferiscono all'articolo un carattere diffamatorio, nota a Cass. civ. 21.10.2010, n. 23468, in Guida dir., 2011, n. 6, p. 85.
[19] Cfr. tra le altre, Cass. pen. 26.8.2014, n. 18264, CED 632094 e Cass. pen. 5.5.2021, n. 21703, CED 281211.
[20] Cass. pen. 17.12.2010, n. 13702, CED 250256-1; Cass. pen. 27.1.2020, n. 15093, CED 279152-01, in tema di richiesta di rinvio a giudizio, ma nella cui motivazione la Corte ha aggiunto che “non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell'erronea notizia a termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice”.
[21] Cass. pen. 17.10.2017, n. 51619, CED 271628-01.
[22] Cass. pen. 14.5.2020, n. 15093, CED 279152-01; Cass. 19.11.2010, n. 23468, CED 615778 – 01.
[23] Cass. pen., ord. 15.10.2024, n. 26789, CED 672534-01, che ha ritenuto non invocabile il diritto di cronaca nell’aver attribuito ad un indagato l’imputazione di concorso esterno in associazione mafiosa, in luogo di quello, effettivamente contestato, di intestazione fittizia di beni con l'aggravante della finalità di agevolare l'associazione mafiosa; Cass. pen. 22.9.2011, n. 42155, CED 251697, che ha escluso il diritto di cronaca con riferimento ad un articolo in cui il giornalista aveva attribuito ad un soggetto l'imputazione di sfruttamento della prostituzione minorile, quando invece egli risultava indagato per il meno grave reato di compimento di atti sessuali con minorenne.
[24] Cass. pen., ord. 26.6.2020, n. 12903, CED 658176-02, che ha ritenuto non scalfita la verità del fatto dall’attribuzione al preteso diffamato del reato di falsa perizia, meno grave rispetto a quello – di concorso in tentata concussione – effettivamente contestatogli.
[25] Sulla riconducibilità all’art. 21 Cost. anche del “lato passivo dell’informazione”, Corte cost. 11-20 luglio 1990, n. 348, cit., che parla di “informazione, nei suoi risvolti attivi e passivi (libertà di informare e diritto ad essere informati)”.
[26] Cass. pen. ord., 12.4.2022, n. 11769, CED 664805-02.
[27] Cass. pen. 9.3.2010, n. 16266, CED 247257, nonché Cass. pen. 30.1.2019, n. 19960, CED 276891-01, che evidenzia come la portata diffamatoria di un articolo debba essere esaminata con riferimento a tutto il complesso di elementi tipografici che concorrono a comporre l’articolo (titolo, occhiello, foto).