Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale
Osservatorio Corte EDU: luglio-agosto 2022
Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale
A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Marco Mossa Verre (artt. 3, 7, 8 e 10 Cedu) e Luca Pressacco (art. 6 Cedu).
In luglio e agosto abbiamo selezionato pronunce relative a: protezione delle vittime di atti persecutori (artt. 3 e 14 Cedu); condizioni di trattenimento di un minore presso un centro per migranti adulti (art. 3 Cedu); applicazione retroattiva della legge penale a condotte parzialmente realizzate prima della sua introduzione (art. 7 Cedu); diritto alla prova a discarico in caso di guida in stato di ebrezza (art. 6 Cedu); condanna fondata sul voto della metà dei componenti di un collegio (art. 6 Cedu); divieto di possesso di materiale pornografico in carcere (art. 8 Cedu); comunicazione di false informazioni come forma di protesta contro la disciplina sulla residenza (art. 10 Cedu).
Art. 3 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, 7 luglio 2022, M.S. c. Italia
Divieto di trattamenti inumani e degradanti – obblighi positivi – ritardo nella protezione di vittima di atti persecutori – impunità dell’autore a causa dell’inattività del sistema giudiziario e della disciplina della prescrizione – violazione
La ricorrente è vittima di ripetute aggressioni e intimidazioni da parte del marito, principiate nell’ambito delle trattative sulle condizioni del divorzio (gennaio 2007) e in seguito protrattesi per più di sei anni. Denunciati più volte i fatti, il marito viene sottoposto a misure cautelari personali (arresti domiciliari, divieto di dimora, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), ma con un tale ritardo, rispetto alle prime denunce, e per periodi così limitati, da consentirgli di proseguire per anni nell’attività di intimidazione della donna. Dei quattro procedimenti penali a carico dell’aggressore scaturiti da questa vicenda, due si sono interrotti per l’intervento della prescrizione, uno è giunto alla condanna dell’imputato a distanza di dieci anni dal fatto, e l’ultimo è ancora pendente. La ricorrente lamenta la violazione degli obblighi positivi discendenti dall’art. 3 Cedu, a causa dell’ineffettività delle misure di protezione adottate dalle autorità nazionali (violazione degli obblighi positivi di protezione) e alla luce dell’impunità che il marito ha ottenuto in alcuni dei procedimenti penali a causa della prescrizione (violazione degli obblighi procedurali). La Corte accoglie il ricorso sotto entrambi i profili, dichiarando assorbite le ulteriori questioni fondate sugli artt. 2, 8 e 13. Quanto agli obblighi positivi di protezione (§§ 123-133), viene rilevato che nei 22 mesi che hanno seguito la prima aggressione, le autorità non hanno compiuto una valutazione immediata e proattiva dei rischi di violenza incombenti contro la ricorrente (§ 125) e – di conseguenza – non sono state adottate le dovute misure precauzionali (§§ 130-131), benché la ricorrente ne avesse fatto richiesta e benché emergessero, dalle reiterate denunce della stessa, elementi sintomatici di un progressivo aggravarsi dei comportamenti violenti da parte del marito. Riguardo agli obblighi procedurali (§§ 134-151), la Corte ritiene non soddisfatte le esigenze di garantire un’efficace tutela contro tali episodi di violenza – condividendo in tal senso le preoccupazioni espresse nel rapporto GREVIO sull’attuazione in Italia della Convenzione di Instanbul (§ 147) – dato che l’intervento della prescrizione, che ha determinato la sostanziale impunità dell’aggressore, è imputabile delle stesse autorità (§143-144). In particolare, i giudici evidenziano che non può considerarsi conforme alle esigenze imposte dall’art. 3 Cedu un sistema giudiziario che, da un lato, dimostra una particolare inerzia («passivité judiciarie») nel perseguire penalmente i responsabili di violenze e maltrattamenti, dall’altro, prevede una disciplina legislativa della prescrizione «strettamente legata al corso del procedimento penale», che ammette l’intervento della causa estintiva «anche dopo l’esercizio dell’azione penale» (§ 150). (Marco Mossa Verre)
Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1192 ss.; E. Zuffada, Da Strasburgo una sentenza pilota contro la Russia in materia di violenza domestica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 910 ss.
C. eur. dir. uomo, sez. I, 21 luglio 2022, Darboe e Camara c. Italia
Trattamenti inumani o degradanti – condizioni di trattenimento presso centro per migranti – minore non accompagnato collocato in struttura per adulti – violazione
Un migrante di origini gambiane sbarca in Sicilia nel 2016 e dichiara di essere minorenne non accompagnato. A seguito di accertamenti radiografici ordinati dalla prefettura, viene tuttavia considerato anagraficamente diciottenne e, pertanto, viene trasferito nel centro di accoglienza per adulti di Cona (Ve). Vi rimarrà per quattro mesi, fino alla ricollocazione in un centro per minori in esecuzione delle misure provvisorie ordinate da parte della stessa C. eur. dir. uomo. Nel ricorso, oltre a lamentarsi la mancata adozione di misure protettive per il minore non accompagnato (ex art. 8 Cedu), sono denunciate le condizioni in cui versava la struttura di accoglienza per adulti in cui il minore era stato collocato (ex art. 3 Cedu), descritta dal ricorrente come sovraffollata, priva di sufficiente assistenza medica, psicologica e legale, e più in generale, in pessime condizioni igieniche e di sicurezza (§§ 22-24). La Corte riconosce la violazione dell’art. 3, riscontrando che le doglianze circa le condizioni della struttura di accoglienza sono supportate da un’interrogazione parlamentare e da un report informativo di una o.n.g., entrambi redatti nel periodo di permanenza del ricorrente (§ 174). I giudici di Strasburgo, pur non dichiarandosi insensibili alle difficoltà legate alla migrazione di massa in Italia (§ 181), ribadiscono che il divieto dell’art. 3 Cedu non conosce eccezioni, anche nel caso di aumento del flusso di migranti e richiedenti asilo (§ 168 e § 182). La gravità del trattamento subito dal ricorrente è tanto più evidente se si considera la vulnerabilità legata, non solo alla sua condizione di migrante, ma anche a quella di minore non accompagnato (§§ 177-180); a tal proposito, si evidenzia che la presunta maggiore età del ricorrente era stata stabilita attraverso una procedura medica sprovvista di tutte le garanzie procedurali richieste dalla legge e dalle direttive europee, per giunta priva di rimedi azionabili per contestarne l’esito, realizzando sotto questo profilo anche la violazione degli artt. 8 e 13 Cedu (§§ 110-157, § 178, §§ 184-196). (Marco Mossa Verre)
Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, La Corte Edu alle prese con la “difesa” dei confini di terra dell’Unione Europea nei confronti dei migranti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 555 ss.
ART. 6 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. II, 5 luglio 2022, Lilian Erhan c. Repubblica di Moldavia
Diritto a usufruire delle agevolazioni necessarie per preparare la difesa – condanna per guida in stato di ebrezza fondata sui risultati dell’etilometro – impossibilità di contestare i risultati dell’esame spirometrico – violazione
Il ricorrente è stato condannato al pagamento di una pena pecuniaria per il reato di guida in stato di ebrezza. Contestualmente, è stata disposta anche la sanzione accessoria consistente nella sospensione della patente di guida, motivo per cui egli ha perso il suo impiego come autista presso un ente pubblico statale. Di fronte alla Corte EDU, egli lamenta di non aver usufruito delle agevolazioni necessarie per preparare la propria difesa, in violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. b Cedu: in particolare, non gli sarebbe stata concessa alcuna occasione concreta per contestare i risultati dell’esame spirometrico, su cui la condanna risulta fondata. I giudici di Strasburgo hanno evidenziato, in primo luogo, che il ricorrente aveva espresso chiaramente il suo dissenso nei confronti dei risultati dell’etilometro, come emerge anche dal verbale redatto dagli agenti di polizia che avevano svolto l’esame spirometrico (§ 20). In base alla normativa interna, tale dissenso è sufficiente per obbligare le autorità inquirenti ad accompagnare la persona sottoposta alle indagini presso un centro medico autorizzato, affinché sia tempestivamente effettuato un esame biologico di controllo, alla presenza di un agente di polizia. Ciò, tuttavia, non è avvenuto nel caso di specie: il ricorrente, invece, si è recato autonomamente in ospedale per sottoporsi alle indagini ematiche, i cui esiti – peraltro – deponevano a favore della sua sobrietà. Le corti interne, però, hanno escluso che i risultati dell’esame biologico fossero ammissibili come prova nel processo, poiché le analisi ematiche erano state effettuate in assenza di un agente di polizia e, dunque, secondo modalità non conformi a quelle previste dalla legge (§ 21). Poste queste premesse, la Corte eur. dir. uomo ha ritenuto che, dapprima, rifiutandosi di accompagnare il ricorrente presso un centro sanitario autorizzato e, successivamente, dichiarando inutilizzabili le analisi ematiche effettuate da quest’ultimo in ospedale, le autorità nazionali abbiano reso di fatto impossibile la sua difesa, cagionando una violazione del fondamentale principio di parità delle armi. (Luca Pressacco)
Riferimenti bibliografici: F. Zacchè, Ammissione della prova a discarico: il nuovo test “Murtazaliyeva”, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/2019, p. 1057.
C. eur. dir. uomo, sez. III, 5 luglio 2022, Loizides c. Cipro
Diritto alla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali – rigetto dell’impugnazione a causa del voto paritario espresso dai giudici – esito del giudizio comprensibile sia per l’imputato, sia per l’opinione pubblica – non violazione
Il ricorrente, condannato in primo grado a due anni di reclusione per omicidio colposo, impugnava la sentenza sfavorevole di fronte alla Corte suprema cipriota. Quest’ultima (composta eccezionalmente da dodici magistrati, in seguito a una defezione verificatasi nelle fasi iniziali del processo) rigettava l’impugnazione, avendo raggiunto un verdetto paritario, con sei giudici favorevoli all’accoglimento del ricorso e sei giudici contrari, sebbene sulla base di due differenti motivazioni. Egli si duole, infine, di fronte alla Corte di Strasburgo, sostenendo che il rigetto della sua impugnazione avrebbe violato le garanzie stabilite dall’art. 6 Cedu. Per un verso, l’esito del giudizio non sarebbe comprensibile né adeguatamente motivato, essendo conseguenza diretta di un voto paritario, a dimostrazione proprio dell’impossibilità di giungere a un verdetto coerente e non contraddittorio in seno al collegio giudicante. D’altra parte, secondo la prospettazione attorea, la produzione di effetti sfavorevoli all’imputato a causa della parità dei voti espressi dai giudici avrebbe cagionato anche una violazione della presunzione d’innocenza (art. 6 comma 2 Cedu) e del diritto al doppio grado di giurisdizione in materia penale (art. 2 Prot. n. 7 Cedu). La Corte eur. dir uomo ha precisato, anzitutto, che le doglianze del ricorrente appaiono essenzialmente incentrate sull’emissione di un provvedimento non adeguatamente motivato e scarsamente comprensibile all’esito del giudizio d’impugnazione, considerando assorbiti gli ulteriori parametri invocati (§ 38). I giudici di Strasburgo hanno, quindi, affermato che la previsione di un tied vote non costituisce di per sé una violazione dell’equità processuale purché – appunto – l’esito del giudizio sia comprensibile e sufficientemente motivato (§ 43). A tal riguardo, la Corte eur. dir. uomo ha evidenziato come la possibilità di un voto paritario in seno al collegio – così come le conseguenze di un tied vote – fosse un’evenienza prevedibile per le parti processuali, considerata sia la normativa interna pertinente (§ 42), sia la peculiare composizione dell’organo giurisdizionale nel caso di specie (§ 44). D’altra parte, le differenti motivazioni espresse dalla Corte suprema cipriota su impugnazione del ricorrente esponevano ragioni idonee a supportare, rispettivamente, l’accoglimento oppure il rigetto del ricorso (§ 45). In conclusione, la Corte eur. dir. uomo ha ritenuto che, nonostante l’assenza – nelle motivazioni espresse dalla Corte suprema – di riferimenti espliciti alle disposizioni che disciplinano la deliberazione collegiale e i suoi risultati, l’esito del giudizio d’impugnazione fosse, comunque, ampiamente comprensibile, non solo per l’imputato, ma anche per l’opinione pubblica in generale (§ 47). Difatti, mentre il primo aveva potuto beneficiare di un’illustrazione orale del dispositivo già nel momento della sua pronuncia in pubblica udienza, la seconda era stata destinataria di uno specifico comunicato stampa emesso successivamente dalla Corte suprema cipriota (ibidem). (Luca Pressacco)
Art. 7 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. III, 12 luglio 2022, Kotlyar c. Russia
Applicazione retroattiva della legge penale – condotte precedenti all’introduzione di nuova fattispecie incriminatrice reiterate successivamente – violazione
Nell’ambito di un ampio arco di tempo, un’attivista e consulente legale offre aiuto a migranti provenienti dai paesi ex U.r.s.s. affinché possano registrarsi fittiziamente come residenti in Russia, con la prospettiva di ottenere – anche sulla base di tale requisito – la cittadinanza russa. Nel 2014, data l’ampia diffusione di questa pratica illegale, entra in vigore una legge che punisce la “registrazione fittizia della residenza” (art. 322.2 e 322.3 del codice penale russo), in forza della quale l’attivista viene condannata a una pena pecuniaria, sia per le condotte di falsificazione commesse successivamente all’entrata in vigore della legge, sia per le condotte già anteriormente realizzate. Secondo quanto affermato nella sentenza di condanna – motivazione cui aderisce il governo resistente (§ 27) – i fatti anteriori, risalenti al 2013, sarebbero i primi episodi di «un unico reato di durata» («a single continuous offence»), che è proseguito dopo l’introduzione della nuova figura di reato; in assenza di tale novità legislativa, sarebbero stati comunque punibili in base alla più generale e più grave fattispecie che già sanzionava l’attività di organizzazione dell’ingresso, del soggiorno o del transito di migranti clandestini (art. 322.1 del codice penale russo) (§ 13). Per i giudici di Strasburgo, tuttavia, si è trattata di un’applicazione retroattiva della legge penale, contraria all’art. 7 Cedu: la punibilità della condotta secondo il già vigente art. 322.1 non era prevedibile, sia perché la registrazione fittizia della residenza non implica la clandestinità dell’ingresso o del soggiorno del migrante (nel caso di specie, fra l’altro, nessuna domanda di cittadinanza dei migranti era stata rifiutata, ciò che sarebbe accaduto se fossero stati effettivamente clandestini, § 31), sia perché, in passato, non si era registrata alcuna condanna per aver compiuto registrazioni fittizie della residenza, nonostante si trattasse di una pratica da anni oggetto di attenzioni delle autorità (la nuova legge, anzi, pareva rispondere proprio all’intento di colmare tale vuoto legislativo) (§ 32). Il fatto che le autorità fossero a conoscenza da tempo delle attività della ricorrente e che, ciononostante, non abbiano intrapreso iniziative fino all’introduzione della nuova legge contribuisce, fra l’altro, a rendere meno plausibile l’ipotesi che la condotta fosse già punibile sulla base del diritto previgente (§§ 33-34). (Marco Mossa Verre)
Riferimenti bibliografici: M. Crippa, La prevedibilità delle condanne per genocidio “politico” degli oppositori al regime sovietico: la Lituania supera il vaglio della Corte Edu, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1753 ss.; P. Bernardoni, Terrorismo “morale” e articolo 7 Cedu: la Corte di Strasburgo ritiene imprevedibile la spiritualizzazione del concetto di violenza operata dai giudici turchi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, p. 1157 ss.
Art. 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, 7 luglio 2022, Chocholáč c. Repubblica Slovacca
Libertà sessuale – obblighi negativi – previsione di un divieto assoluto di possesso di materiale pornografico in carcere – violazione
Al ricorrente, ergastolano, sono state sequestrate riviste pornografiche nell’ambito di una perquisizione di routine ed è stata applicata la sanzione disciplinare dell’ammonimento per il solo fatto di esserne stato in possesso. Nel ricorso alla C. eur. dir. uomo, proposto in seguito all’infruttuosa impugnazione della misura di fronte a molteplici giudici nazionali e alla Corte costituzionale slovacca, lamenta ex art. 8 una limitazione ingiustificata del suo interesse alla riservatezza e alla libertà sessuale. I giudici di Strasburgo, dopo aver chiarito che il sequestro e la sanzione hanno effettivamente inciso su un aspetto della vita privata del cittadino tutelato dall’art. 8 Cedu (§§ 52-56) – il Governo resistente e la Corte costituzionale slovacca sostenevano, invece, che tale parametro convenzionale non fosse invocabile dal ricorrente, perché non era l’intimità di questi a essere oggetto di rappresentazione nel materiale pornografico – e che tale interferenza dev’essere letta anche alla luce della circostanza che in Slovacchia non sono previste visite coniugali in carcere (§ 54), esprimono dubbi sull’esistenza di un fine legittimo perseguito dalla misura limitativa (§§ 59-62), data la vaghezza delle motivazioni addotte dal Governo in ordine ai pericoli per la morale, per l’ordine interno della prigione, e per i diritti di altre persone, senza però adottare una posizione definitiva sul punto (§ 63). Decisiva per l’accoglimento del ricorso, infatti, risulta essere l’assenza del requisito della ‘necessità’ della misura limitativa: l’interesse del ricorrente a mantenere una propria vita sessuale, considerata l’assenza forzata di contatti con altre persone (§§ 67-69), non era stato oggetto di alcun bilanciamento a livello legislativo con i contro-interessi pubblici eventualmente individuabili (non è stata dimostrata l’esistenza di rischi per la moralità pubblica o l’incompatibilità della condotta con le finalità riabilitative della pena, § 72), né poteva essere apprezzato e bilanciato individualmente nelle decisioni circa la legittimità del sequestro, stante la assolutezza del divieto (§§ 70-77). Nel confrontarsi con le giustificazioni offerte dal Governo, la Corte ha fra l’altro precisato che, sebbene gli Stati godano di ampia discrezionalità nell’individuare la nozione di moralità pubblica da tutelare, una limitazione dei diritti dei detenuti non può comunque trovare giustificazione nel solo rischio di offendere la sensibilità dell’opinione pubblica (§ 71). (Marco Mossa Verre)
Riferimenti bibliografici: P. Zoerle, Diritto di informazione dei detenuti e accesso a internet, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 878 ss.; E. Zuffada, La Corte edu condanna la Russia per il divieto imposto ad un detenuto di ricevere libri e riviste, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1052 ss.
Art. 10 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. III, 12 luglio 2022, Kotlyar c. Russia
Libertà di espressione – falsificazione di informazioni sulla residenza come forma di protesta – irricevibilità
Per la sintesi dei fatti e per i profili relativi al divieto di applicazione retroattiva della legge penale, v. supra sub art. 7 Cedu. Nel ricorrere alla C. eur. dir. uomo, l’attivista ha anche sostenuto che i procedimenti penali instaurati nei suoi confronti interferissero – in violazione dell’art. 10 Cedu – con la libertà di esprimere un’opinione su un problema sociale di ampia portata, cioè quello relativo ai requisiti di residenza per ottenere la cittadinanza russa. Secondo la Corte, tuttavia, una legge che richiede la veridicità delle informazioni circa la residenza persegue scopi legittimi e non introduce limiti ad alcuna forma di libertà di espressione (§ 43); né la convinzione dell’erroneità delle regole sulla residenza può in sé autorizzare alla violazione della legge: in linea di principio – si sottolinea – impedire ‘per protesta’ il compimento di attività lecite potrebbe costituire una forma di libertà di espressione coperta dall’art. 10 Cedu; invece, non può esserlo un’attiva condotta di falsificazione delle informazioni che l’autorità richiede per perseguire «neutrali obiettivi di regolamentazione» (§44). Dunque, il ricorso è sotto questo profilo ratione materiae irricevibile. (Marco Mossa Verre)
Art. 14 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, 7 luglio 2022, M.S. c. Italia
Atti persecutori – violazione degli obblighi positivi di protezione e di repressione di trattamenti inumani o degradanti – assenza di riscontri di una sistematica discriminazione di genere – manifesta infondatezza
Per la sintesi dei fatti e per i profili relativi al divieto di trattamenti inumani e degradanti, v. supra sub art. 3 Cedu. La ricorrente lamentava anche un atteggiamento discriminatorio nei suoi confronti, in quanto donna e avvocata: per tali ragioni, le autorità avrebbero sottostimato la gravità del pericolo di aggressione, considerandola in grado di adottare autonome iniziative difensive (§ 156). La Corte, tuttavia, osserva che non è stata portata alcuna prova che la violazione degli obblighi dell’art. 3 Cedu – in sé deprecabile – sia imputabile a finalità discriminatorie dei pubblici agenti (§§ 162-163), sottolineando anche che una violazione dell’art. 14 Cedu, nei casi di violenza di genere, può essere riconosciuta solo sulla base di elementi che – al di là di una rilevata inerzia nel caso di specie – siano sintomatici di una chiara e sistematica incapacità delle autorità nazionali di apprezzare la gravità dei rischi cui le donne sono sottoposte (§ 164) (in tal senso, cfr. la violazione riconosciuta in Talpis c. Italia, 2 marzo 2017). La doglianza è pertanto giudicata irricevibile per manifesta infondatezza. (Marco Mossa Verre)
Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1192 ss.