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05 Gennaio 2025


La Cassazione sull'affettività in carcere come diritto: ammissibile il reclamo del detenuto al quale sia negato un colloquio con il coniuge in condizioni di intimità

Cass. Sez. I, ud. 11.12.2024 (dep. 2.1.2025), n. 8, Pres. Mogini, Rel. Masi, ric. Sbordone



Circa un anno fa, con una storica decisione (sentenza n. 10 del 2024, rel. Petitti), pubblicata sulla nostra Rivista con una nota di I. Giugni, la Corte costituzionale aveva riconosciuto e tutelato il diritto all’affettività in carcere dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 ord. penit. “nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie”.

La Corte si era mostrata “consapevole dell’impatto che l’odierna sentenza è destinata a produrre sulla gestione degli istituti penitenziari, come anche dello sforzo organizzativo che sarà necessario per adeguare ad una nuova esigenza relazionale strutture già gravate da persistenti problemi di sovraffollamento”. A fine ottobre il Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza (CONAMS) chiedeva l’attuazione della sentenza della Corte: “il tempo, non breve, ormai decorso dal 31.1.2024 senza che in alcun istituto penitenziario del Paese sia stata data esecuzione alla decisione della Consulta, di per sé dotata di immediata efficacia dalla data della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ci impone, dunque, di porre all’attenzione dell’Amministrazione penitenziaria tale tema, auspicando un pronto adeguamento della stessa ai dettami costituzionali”.

Sul tema e sul problema interviene ora la Cassazione, con la sentenza che può leggersi in allegato. La Casa di reclusione di Asti aveva negato a un detenuto di avere un colloquio in intimità con la propria moglie, motivando sic et simpliciter in ragione del dato di fatto che “la struttura non lo consente”.

Il Magistrato di Sorveglianza di Torino aveva ritenuto inammissibile il reclamo del detenuto con una motivazione che, di fatto, sterilizzava la decisione della Consulta relegandola sulla carta: la richiesta del detenuto non configurerebbe un vero e proprio diritto, ma una mera aspettativa, non tutelabile in via giurisdizionale.

Di diverso avviso è la Cassazione, che ha riaffermato la forza e la portata dei principi affermati dalla Consulta: “non può ritenersi che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata dal detenuto ricorrente, costituisca una mera aspettativa, essendo stato affermato che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all'affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari, e possono essere negati, secondo l'esplicito dettato della sentenza citata, solo per «ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina», ovvero per il comportamento non corretto dello stesso detenuto o per ragioni giudiziarie, in caso di soggetto ancora imputato. Il reclamo proposto dal detenuto ricorrente, pertanto, non doveva essere dichiarato inammissibile ma, essendo relativo all'esercizio di un diritto che il detenuto riteneva illegittimamente pregiudicato dal comportamento dell'istituto penitenziario di appartenenza, doveva essere valutato dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 35-bis Ord. pen. Il provvedimento impugnato, pertanto, deve essere annullato, con rinvio al magistrato di sorveglianza di Torino, perché provveda sul reclamo proposto”.

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La decisione rappresenta un importante precedente destinato a incidere sui reclami dei detenuti. L’effettività del diritto riconosciuto dalla Corte costituzionale, tuttavia, continua a richiedere interventi organizzativi dell’Amministrazione penitenziaria, in assenza dei quali l’affettività intramuraria resterà uno dei diritti sacrificati sine titulo in carcere.

 

(Gian Luigi Gatta)