Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale
A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Ilaria Giugni (artt. 3, 7 e 8 Cedu) e Paola Concolino (artt. 6 e 8 Cedu).
In luglio e agosto abbiamo selezionato pronunce relative a: valutazione delle esigenze terapeutiche di detenuto affetto da disturbi psichici (art. 3 Cedu); condanna basata sulle dichiarazioni rese in fase di indagini da testimoni assenti e divieto agli imputati di partecipare alle udienze dibattimentali (art. 6 Cedu); presunzione di innocenza e affermazioni incidentali sulla responsabilità dell’imputato (art. 6 Cedu); prevedibilità della sanzione e condanna fondata su un’interpretazione inedita (art. 7 Cedu); incriminazione dell’acquisto di prestazioni sessuali (art. 8 Cedu); restrizioni imposte al detenuto sui colloqui con il figlio minore affidato alla moglie anch’essa ristretta nel medesimo carcere (art. 8 Cedu).
ART. 3 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I Comit., 4 luglio 2024, A.Z. c. Italia
Divieto di tortura – trattamenti inumani e degradanti – detenzione di persona affetta da gravi disturbi psichici – inadeguata valutazione delle esigenze terapeutiche – violazione
Il ricorrente lamentava di essere stato a lungo recluso in diversi istituti penitenziari italiani, nonostante i suoi comprovati disturbi psichiatrici e i ripetuti tentativi di suicidio in carcere. In particolare, denunciava l’incompatibilità del suo stato di salute mentale con la detenzione e l’inadeguata valutazione delle sue esigenze terapeutiche da parte delle autorità nazionali, adducendo una violazione dell’art. 3 CEDU. Nell’affrontare la questione, la Corte di Strasburgo evidenzia in prima battuta come, nel caso di specie, non siano in discussione sussistenza e gravità delle patologie psichiatriche del ricorrente: le sue condizioni precarie, “a stento” compatibili con il regime carcerario, erano state attestate anche dall’osservazione psichiatrica disposta dal giudice dell’esecuzione penale italiano (§§ 33-34). Nondimeno, non essendo stata esclusa in termini assoluti la possibilità di proseguire il percorso trattamentale della persona reclusa, la valutazione circa l’asserita violazione dell’art. 3 CEDU si fonda sul vaglio delle prove fornite dal Governo circa l’adeguatezza delle cure e dei controlli predisposti a tutela del ristretto (§ 35). Sul punto, i giudici di Strasburgo ritengono di distinguere due diversi periodi nella vita detentiva del ricorrente. Quanto al primo periodo, relativo ai mesi passati presso le strutture di Bari e Spoleto, nonostante il Governo italiano abbia allegato la disponibilità di servizi di assistenza medica in carcere, non v’è prova delle cure fornite in concreto al ricorrente, non essendo stata prodotta la sua cartella clinica o testimonianze del sostegno psicoterapeutico prestato (§ 37). La Corte, dunque, esclude che il Governo abbia assolto l’onere della prova per questo lasso di tempo, ed afferma che vi sia stata violazione dell’art. 3 (§ 39). Relativamente al secondo periodo di detenzione presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere, invece, la Corte conclude per la non violazione della Convenzione. Ritiene, infatti, che sia dimostrata la congruità delle cure offerte al ricorrente: risulterebbe provata la sottoposizione di quest’ultimo a controlli giornalieri di un’équipe multidisciplinare e al monitoraggio regolare da parte di psichiatri e psicologi. Tali cure avrebbero portato a un miglioramento della salute della persona reclusa, tanto che non si sarebbero più verificati episodi psichiatrici acuti (§ 40) (Ilaria Giugni).
Riferimenti bibliografici: L. Franzetti, Detenzione di soggetti affetti da disturbi psichiatrici e promiscuità delle strutture carcerarie: la CEDU “boccia” il sistema penitenziario portoghese, in Riv. it. dir. pen. proc., 2024, p. 854 ss.
ART. 6 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 29 agosto 2024, Khachapuridze e Khachidze c. Georgia
Equità processuale – negata audizione del teste a difesa – condanna basata sulle dichiarazioni rese in fase di indagini da testimoni assenti - divieto imposto ai ricorrenti di partecipare alle udienze dibattimentali – equità complessiva nel processo a carico dei ricorrenti – violazione
I ricorrenti (marito, moglie e figlio minore) sono stati condannati per i reati di minaccia e di violenza ai danni di un giudice che aveva emesso una sentenza a loro sfavorevole. L’aggressione era avvenuta in una località turistica alla presenza di molti testimoni, alcuni dei quali avevano anche filmato l’accaduto. I ricorrenti lamentano una serie di violazioni dell’art. 6 Cedu patite nell’ambito del relativo processo. In primo luogo, il tribunale ha rifiutato di assumere in giudizio la testimonianza del terzo ricorrente, figlio minore della coppia, il quale era anche il principale testimone a difesa degli imputati. Il rigetto della richiesta probatoria è stato motivato sulla base di ragioni procedurali (tra le altre, la necessità della nomina di un tutore legale che presenziasse all’esame) che potevano essere ragionevolmente superate mediante un breve rinvio dell’udienza. Così, secondo i giudici di Strasburgo, risultano insufficienti le motivazioni addotte dai giudici nazionali per giustificare il diniego della prova a difesa (§ 103-105). In secondo luogo, i ricorrenti lamentano di essere stati condannati sulla base delle dichiarazioni rese in fase di indagini da sei testimoni, non citati a comparire al processo, in quanto persone residenti all’estero o comunque molto lontano dalla città in cui si celebrava il processo. La Corte edu evidenzia come, nonostante le dichiarazioni dei testimoni assenti non fossero state da sole decisive ai fini della condanna del ricorrente, le stesse avevano comunque avuto un peso significativo nell’interpretazione delle altre prove acquisite (videoregistrazioni), tanto da essere state espressamente richiamate nella sentenza di condanna (§ 122). In assenza di sufficienti fattori di controbilanciamento – le autorità nazionali, infatti, non hanno adottato alcuna misura per ottenere la presenza dei testimoni al processo – la Corte edu riscontra l’inosservanza del dettato convenzionale (§ 129-131). Infine, i ricorrenti lamentano di essere stati ingiustamente esclusi dalla partecipazione alle udienze celebrate da remoto a seguito di un provvedimento di allontanamento dopo gli ammonimenti impartiti dal tribunale per condotta inappropriata. I giudici di Strasburgo sottolineano come non vi fossero ragioni sufficienti per impedire la partecipazione dei ricorrenti alle udienze successive a quella in cui la misura di allontanamento era stata adottata, tanto più che, laddove le condotte inappropriate si fossero ripetute, il giudice avrebbe potuto agevolmente garantire la prosecuzione ordinata dell’udienza silenziando l’audio dei ricorrenti (§ 139-140). Alla luce di tali premesse, la Corte eur. dir. uomo ha quindi accertato la violazione dell’equità processuale, ai sensi dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. c e d Cedu (§ 143). (Paola Concolino)
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 4 luglio 2024, Gravier c. Francia
Presunzione d’innocenza - affermazioni di responsabilità penale del danneggiato contenute in un provvedimento della Corte di Cassazione che conferma l’inammissibilità della costituzione di parte civile – violazione
Il ricorrente, revisore dei conti, è stato accusato di avere certificato falsamente i bilanci di una società. Nell’ambito del medesimo procedimento, il ricorrente ha chiesto di costituirsi parte civile per i reati di falso e di ostacolo alle verifiche del revisore, illeciti invece contestati ai rappresentanti legali della predetta società. La costituzione di parte civile è stata dichiarata inammissibile dal giudice. Il ricorrente – in pendenza del procedimento penale a suo carico – ha impugnato l’ordinanza di inammissibilità sia avanti alla corte d’appello sia avanti alla Corte di Cassazione, senza successo. Il ricorrente adisce quindi la Corte edu, lamentando una violazione del proprio diritto alla presunzione d’innocenza, in quanto le corti nazionali, nel confermare l’inammissibilità della sua costituzione di parte civile, avrebbero, incidentalmente, ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente per i reati allo stesso contestati benché fosse ancora pendente il procedimento a suo carico e, dunque, quei reati fossero ancora in fase di accertamento. I giudici di Strasburgo accolgono le doglianze del ricorrente con riferimento alla motivazione del provvedimento adottato dalla Corte di Cassazione (§ 38). La Corte nazionale di ultima istanza ha, infatti, affermato che il ricorrente «aveva partecipato ad un accordo fraudolento finalizzato ad occultare una situazione finanziaria compromessa», con ciò in effetti confermando l’accusa di falsa attestazione della quale era imputato (§ 37). Tali espressioni manifestano inequivocabilmente l’opinione della Corte di Cassazione nel senso della colpevolezza del ricorrente e, in quanto premature rispetto all’accertamento della sua responsabilità, sono idonee ad integrare una violazione dell’art. 6 comma 2 Cedu (§ 29-37). (Paola Concolino)
Riferimenti bibliografici: G. Caneschi, La presunzione d’innocenza negli atti del procedimento, tra affermazioni della Corte di Strasburgo e tentativi di codificazione interna (D.Lgs. n. 188 del 2021), in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/2022, p. 891.
ART. 7 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. V, 9 luglio 2024, Delga c. Francia
Nullum crimen sine lege – condanna penale fondata su un’interpretazione inedita – prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie ‒ violazione
La ricorrente, Charlotte Delga, una nota politica francese, si duole di aver subito una condanna penale in forza di un’interpretazione giudiziaria inedita e non prevedibile. La vicenda nasce dalla denuncia depositata dalla Sindaca di un piccolo comune francese della regione Occitania nei confronti della ricorrente per aver rifiutato, nell’esercizio del suo ruolo di presidente del consiglio regionale occitano, di firmare il contratto di appalto (“contrat de ville”), nel quale si prevedeva la costruzione presso il comune di un nuovo liceo. A parere della Sindaca, tale rifiuto costituisce una discriminazione per ragioni politiche, motivata dall’appartenenza di Delga al partito socialista e, dunque, dal livore nei confronti dell’amministrazione comunale espressione del Rassemblement national. Il processo penale si conclude con una condanna definitiva per il reato di discriminazione fondata sulle opinioni politiche nei confronti di un ente a carico della ricorrente, nonostante quest’ultima avesse sostenuto che la propria condotta fosse invece fondata su considerazioni politiche di pianificazione del territorio. All’esito del procedimento Delga contesta a Strasburgo la prevedibilità della propria condanna, ritenendola fondata su un’interpretazione inusitata del dato normativo: la mancata firma del contratto comunale non equivarrebbe al rifiuto da parte di un’autorità pubblica di un diritto riconosciuto dalla legge, non integrando, dunque, la condotta punita dalla fattispecie incriminatrice. La decisione della Corte principia rammentando la preminenza del nullum crimen nel sistema di protezione della Convenzione e le diverse garanzie che da tale principio derivano (§§ 56-58). Menzionato il contributo fondamentale dell’interpretazione giurisprudenziale all’evoluzione del diritto penale (§ 59), i giudici di Strasburgo passano a valutare se l'interpretazione inedita della disposizione penale adottata dai giudici interni sia coerente con la sostanza del reato e, dunque, prevedibile. Sul punto, si rileva innanzitutto che la giurisprudenza francese ha costantemente ribadito che, affinché si configuri il reato contestato, è necessario che ad essere negato sia un diritto esistente e non eventuale, la cui concessione non dipenda dall’apprezzamento discrezionale della persona depositaria dell’autorità pubblica (§ 67). Eppure, si osserva, la lettura dei lavori preparatori alla legge che ha introdotto il contratto comunale consente di affermare che la partecipazione della regione alla contrattazione territoriale, pur auspicata, non sia obbligatoria, non sussistendo alcun vincolo alla sottoscrizione dei contratti da parte dell’ente (§ 68), come confermato dalle motivazioni addotte dal tribunale amministrativo in favore della ricorrente nella medesima vicenda (§ 70). La Corte, pertanto, conclude che Delga, al momento del rifiuto della sottoscrizione, atto nient’affatto obbligatorio o dovuto, non potesse ragionevolmente prevedere di poter essere punita per il reato previsto dal codice penale (§ 72). Affermata la violazione dell’art. 7, dunque, s’individua nella riapertura del procedimento penale il mezzo più appropriato per superare le conseguenze pregiudizievoli patite dalla ricorrente (§ 77) (Ilaria Giugni).
Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Terrorismo “morale” e articolo 7 CEDU: la Corte di Strasburgo ritiene imprevedibile la spiritualizzazione del concetto di violenza operata dai giudici turche, in Riv. it. dir. pen. proc., 2020, p. 1157 ss.
ART. 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. V, 25 luglio 2024, M.A. e altri c. Francia
Diritto al rispetto della vita privata – legislazione sulla prostituzione – incriminazione generale e assoluta dell’acquisto di prestazioni sessuali – non violazione
Il ricorso ha ad oggetto la recente legislazione penale francese in materia di prostituzione. I ricorrenti, oltre duecentosessanta sex workers di diverse nazionalità, sostengono che la scelta di punire l’acquisto di prestazioni sessuali, anche fra adulti e in luoghi privati, violi la Convenzione. Tale scelta di politica criminale, in particolare, costringerebbe le persone lavoratrici di questo settore alla clandestinità, esponendole a violenze e rischi maggiori per la propria salute, e lederebbe anche il diritto – di lavoratori e clienti – al rispetto della vita privata e all’autodeterminazione sessuale. I giudici di Strasburgo constatano di aver già verificato in precedenza che l’opzione di criminalizzazione accolta nella legislazione francese costituisca un’ingerenza nella vita privata dei ricorrenti (§ 138). Passano, pertanto, a verificare se tale interferenza rispetti i requisiti di legittimità previsti dallo stesso art. 8 CEDU, così come declinato nella giurisprudenza della Corte. Riconosciuta la base legale dell’incriminazione e la legittimità dell’obiettivo di tutelare l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la salute altrui perseguito dalla riforma (§§ 139-140), la Corte si sofferma sul requisito della necessità della misura in una società democratica. Sul punto, si evidenzia che l’approccio “abolizionista” rispetto al sex work adottato dalla Francia mira non soltanto a disincentivare la fruizione della prostituzione, pur senza proibirla, ma anche alla protezione delle persone che la esercitano, prevedendo percorsi di reinserimento per chi voglia abbandonarla e misure che favoriscano l’esercizio del diritto alla salute per chi voglia continuare a praticarla (§§ 160-162). La penalizzazione generale e assoluta dell’acquisto degli atti sessuali, inoltre, è pensata anche come mezzo di lotta contro la prostituzione minorile, non limitandosi solo a combattere la tratta di essere umani riducendo la domanda di servizi sessuali (§ 163). L’insufficienza dei mezzi allocati dall’amministrazione a sostegno dei sex workers non bastano, allora, secondo la Corte, a mettere in dubbio la scelta fatta dal legislatore all’esito di un processo democratico e guardando a finalità legittime: le autorità francesi hanno effettuato un bilanciamento equilibrato fra i diversi interessi in gioco, senza superare il margine di apprezzamento rimesso agli stati membri. Non vi è stata violazione dell’art. 8, ferma restando la necessità che si vigili sull’approccio abolizionista adottato, in modo da poterlo eventualmente rivedere in funzione dell’evoluzione della società (§ 167). (Ilaria Giugni)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 27 agosto 2024, Namik Yuksel c. Turchia
Diritto alla privatezza – restrizioni imposte al detenuto sui colloqui con il figlio di quattro anni affidato alla moglie anch’essa ristretta nel medesimo carcere – non violazione
Il ricorrente e la moglie sono stati condannati per avere partecipato ad un’organizzazione terroristica. L’esecuzione della pena si è svolta per entrambi all’interno del medesimo carcere ove, nella cella della moglie, soggiornava anche il figlio della coppia, bambino di quattro anni. Il ricorrente lamenta di non avere potuto trascorrere tempo a sufficienza con il proprio figlio all’interno dell’istituto penitenziario. La Corte edu rigetta il ricorso, escludendo che vi sia stata una violazione dell’art. 8 Cedu, in quanto, alla luce delle particolari circostanze del caso, è stato raggiunto un adeguato equilibrio tra l’interesse del genitore ad avere contatti con il figlio e l’interesse – superiore – al benessere del minore (§ 61). In particolare, i giudici di Strasburgo rilevano come le autorità nazionali abbiano fatto il possibile per consentire al ricorrente di trascorrere del tempo con il proprio figlio in carcere (§ 61). Nello specifico, in primo luogo, hanno acconsentito al trasferimento del ricorrente nello stesso istituto ove scontava la pena la moglie con il piccolo (§ 57). Accanto alla visita mensile con moglie e figlio prevista dalla legge, l’amministrazione penitenziaria ha anche accolto la richiesta del ricorrente di vedere il proprio figlio una volta alla settimana (§ 58). Infine, tale decisione è stata assunta da un comitato composto da medico, insegnante e psicologo del carcere, figure adeguate a valutare il superiore interesse del minore, ed, inoltre, il ricorrente ha avuto anche la possibilità di presentare opposizione avverso la decisione dell’amministrazione penitenziaria avanti al giudice dell’esecuzione, il quale ha ritenuto adeguate le misure adottate (§ 59). È vero che le visite settimanali sono state sospese dopo la prima giacché le procedure di trasferimento del minore nell’area ove avrebbe incontrato il padre, che prevedevano la separazione dalla madre, la perquisizione e l’attraversamento dei cancelli, avevano fortemente turbato il bambino (§ 60). Pur tuttavia, tale decisione, assunta nell’esclusivo interesse del minore, è condivisa dai giudici di Strasburgo alla luce del principio secondo cui, da un lato, la coercizione nei confronti dei minori deve essere ridotta allo stretto necessario e, dall’altro, i genitori non hanno diritto a misure che possano nuocere alla salute o allo sviluppo del proprio figlio (§ 60). (Paola Concolino)
Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, La dimensione del diritto del detenuto alle visite familiari fra atti sovranazionali, Corte di Strasburgo e Corte Costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 3/2023, p. 1225.