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30 Luglio 2024


Osservatorio Corte EDU: maggio 2024

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Stefania Basilico (artt. 5, 6 e 8 Cedu) e Francesco Manfrin (artt. 1 Prot. add. e 2 Prot. n. 4 Cedu).

 

In maggio abbiamo selezionato pronunce relative a: ingiusta detenzione (art. 5 Cedu); imparzialità soggettiva del giudice (art. 6 Cedu); intercettazione telefonica del terzo (art. 8 Cedu); confisca di bene culturale (art. 1 Prot. add. Cedu); arresti domiciliari preventivi (art. 2 Prot. n. 4 Cedu).

 

 

ART. 5 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 23 maggio 2024, Rytikov c. Ucraina

Diritto alla libertà e alla sicurezza - arresto in assenza di specifico mandato – successivi arresti domiciliari arbitrari – equa riparazione - assenza d’un effettivo rimedio interno -violazione

Il ricorrente, cittadino ucraino sospettato di aver commesso reati informatici ed illegale distribuzione di materiale pornografico, nel 2019 viene arrestato in assenza di mandato e poi sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari (§ 5-8). Esauriti i rimedi interni, il ricorrente adisce la C.edu deducendo, da una parte, l’arbitrarietà dell’arresto e della misura applicatagli, con violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza ai sensi dell’ art. 5 comma 1 Cedu (§ 20); nonché, dall’altra, il diritto ad ottenere un’equa riparazione ai sensi dell’ art. 5 comma 5 Cedu per l’illegittima compressione della sua libertà personale (§ 30). Quanto al primo profilo, esaminato il verbale d’arresto del ricorrente, i giudici di Strasburgo rilevano nella specie la mancanza dell’urgenza giustificante, come invece previsto dal diritto interno (§ 18-19), la superfluità del mandato (§ 27); quanto al secondo profilo, la C.edu accerta l’inesistenza in Ucraina di un effettivo rimedio per ottenere un’equa riparazione del danno in caso di applicazione di un’ingiusta misura cautelare detentiva (§ 35). Da qui, la violazione del paradigma convenzionale invocato dal ricorrente sia per quanto concerne l’ art. 5 comma 1 Cedu sia per quanto riguarda l’ art. 5 comma 5 Cedu. (Stefania Basilico)

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 23 maggio 2024, Saakashvili c. Georgia

Equità processuale - imparzialità soggettiva - la pregressa qualità del giudice di mero assistente giudiziario in un altro procedimento coinvolgente i medesimi testimoni - diritto di sentire i testimoni a carico - non violazione

Il ricorrente, a suo tempo presidente della Georgia, all’esito di due distinti procedimenti penali, nel 2018 viene condannato per percosse (§ 21) e abuso di potere (§ 50). Sostenendo che nella specie, da un lato, fosse difettata l’imparzialità soggettiva dell’organo giudicante e, dall’altra, che alla base delle sue condanne fossero state poste dichiarazioni di testimoni inattendibili in quanto avversari politici, il ricorrente adisce i giudici di Strasburgo ritenendo violati sia l’art. 6 comma 1 Cedu sia l’art. 6 comma 3 lett. d Cedu (§ 112). Quanto all’imparzialità dell’organo giudicante, a dire del ricorrente la stessa sarebbe poiché un giudice del secondo giudizio aveva ricoperto la qualità di assistente giudiziario nel primo procedimento, dove erano stati escussi come testimoni gli stessi agenti poi esaminati, sempre in qualità di testimoni, nel secondo (§ 115). Richiamata la propria consolidata giurisprudenza in tema di imparzialità dell’organo giudicante (§ 119 -122), la C.edu esclude che la pregressa qualità di mero assistente giudiziario in altro procedimento penale comporti di per sé l’aprioristico convincimento della colpevolezza dell’imputato, con conseguente rispetto dell’equità processuale (§ 128-129). Neppure, secondo i giudici di Strasburgo, risulta violato l’art. 6 comma 3 lett. d Cedu poiché le decisive e puntuali dichiarazioni testimoniali dagli avversari politici risultano rese da soggetti attendibili, peraltro escussi in via incrociata dal ricorrente (§ 131 – 134). (Stefania Basilico)

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Esigenze di imparzialità nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 2235; L. Pressacco, Imparzialità del giudice e responsabilità del magistrato, ivi, 2018, p. 1837.

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 23 maggio 2024, Contrada c. Italia

Diritto al rispetto della vita privata - intercettazione telefonica e trascrizione delle conversazioni del ricorrente terzo estraneo al procedimento - ingerenza non necessaria in una società democratica - violazione

Nel corso di indagini sul delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso ed omicidio di un agente di polizia, il giudice autorizza l’intercettazione delle cinque linee telefoniche utilizzate dal ricorrente Bruno Contrada, terzo non indagato estraneo al procedimento, con registrazione e trascrizione delle relative conversazioni (§ 6). Da qui, il ricorso alla C.edu, chiamata ad accertare la violazione dell’art. 8 Cedu da parte dello Stato italiano (§ 36). I giudici di Strasburgo, pur premettendo che il diritto nazionale per come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di legittimità interna costituisce legge prevedibile (§ 89), ravvisa l’assenza del requisito della qualità della legge, con sua inidoneità a mantenere l’ingerenza statale entro ciò che è necessario in una società democratica. Ciò, in quanto la normativa interna è carente nel prevedere, in favore di terzi estranei al procedimento destinatari di un provvedimento con cui si autorizza un’intercettazione, un’adeguata ed un’effettiva garanzia quale la notifica anche successiva di tale provvedimento e quindi la possibilità di impugnarlo retroattivamente (§ 92-97). Per tale ragione, secondo la C.edu, la normativa italiana comporta un inaccettabile rischio di abuso, con indubbia violazione dell’art. 8 Cedu. (Stefania Basilico)

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Ambiti di tutela della privatezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 1745; F. Ertola, Mass surveillance e diritto alla privacy, ivi, 2019, p. 653; V. Vasta, Tracciamento elettronico e tabulati telefonici: anche l’Italia a rischio condanna?, ivi, 2018, p. 985.

 

ART. 1 Prot. add. CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 2 maggio 2024, J. Paul Getty Trust e altri c. Italia

Pacifico godimento di beni – ordine di confisca di un bene culturale – tutela del patrimonio culturale e artistico – mancanza di diligenza al momento dell’acquisto – vuoto normativo per mancanza di strumenti internazionali vincolanti – non violazione

Il caso riguarda il provvedimento di confisca adottato dalla magistratura italiana avente per oggetto “il Giovane Vittorioso” (anche noto come “Atleta di Fano”), una statua in bronzo risalente al periodo greco classico, attribuita a Lisippo e oggi in possesso del ricorrente, il J. Paul Getty Trust. L’antica statua, rinvenuta nell’Adriatico nel 1964 da pescatori italiani, è stata al centro di una serie di procedimenti penali celebratisi in Italia. In un primo momento, infatti, fu istruito un processo per ricettazione a carico dei primi acquirenti del bene che si risolse nella sentenza di assoluzione per insufficienza di prove pronunciata dalla Corte d’appello di Perugia nel 1970. Nel frattempo, la statua riapparve in Germania, a Monaco, e divenne oggetto di trattative per l’acquisto da parte del ricorrente. Infatti, il J. Paul Getty Trust acquistò il bronzo nel 1977 per circa quattro milioni di dollari e lo portò a Malibu nel 1978, dove da allora si trova esposto. Successivamente, le autorità italiane hanno più volte avviato diverse indagini sulle circostanze relative all’acquisto e all’ingresso del bene negli Stati Uniti e hanno cercato di concludere trattative diplomatiche volte al recupero dell’opera, senza però mai ottenere risultati. Infine, nel 2007 la Procura della Repubblica di Pesaro ha iscritto nel registro degli indagati i capitani dei pescherecci che avevano rinvenuto il manufatto per non aver denunciato la scoperta della statua alle autorità e per averne favorito l’esportazione senza la necessaria licenza. Anche questo procedimento si è arrestato a causa della richiesta di archiviazione della Procura, accolta dal Gip di Pesaro, in quanto i reati erano prescritti e alcuni indagati nel frattempo deceduti. Tuttavia, la Procura di Pesaro, dal momento che il giudice non aveva disposto la confisca dell’opera, richiesta dai magistrati inquirenti, ha proposto un incidente di esecuzione all’esito del quale, nel 2010, il Gip competente ha disposto la confisca della statua. Il provvedimento è stato oggetto di un lungo iter di impugnazioni, che è terminato nel 2019 con una sentenza della Corte di cassazione che ha confermato la confisca disposta ai sensi dell’art. 174 co. 3 d. lgs. n. 42 del 2004, (oggi art. 518 duodevicies, co. 1 c.p., e all’epoca dei fatti contestati art. 66, co. 2 della l. 1° giugno 1939, n. 1089). Dopo il passaggio in giudicato della sentenza della Suprema Corte, il Getty Trust si è rivolto alla Corte Edu lamentando la violazione dell’art. 1 Prot. add. CEDU sulla base di un duplice ordine di ragioni: da un lato, ritiene la confisca illegittima e causa di un’ingerenza ingiustificata nel diritto al rispetto del proprio bene e, d’altro canto, ravvisa il rischio di essere privato del diritto di godimento sulla statua qualora l’autorità italiana riuscisse ad ottenere l’esecuzione del provvedimento negli Stati Uniti, dove l’opera attualmente si trova esposta presso Villa Getty a Malibu, in California. I giudici di Strasburgo, dopo aver constatato che la misura ablatoria aveva una precisa e prevedibile base normativa nel diritto nazionale (si vedano sopra le norme richiamate) (§ 299), inquadrano questa confisca come avente non carattere sanzionatorio, bensì una funzione «prioritariamente recuperatoria» (§ 314). Inoltre, con riferimento al comportamento del ricorrente, la Corte ritiene che i rappresentanti del Trust, che avevano proceduto all’acquisto, avessero ragioni molto fondate per dubitare della legittima provenienza della statua, dati i numerosi tentativi delle autorità di recuperare il bene (§ 386). Anche dopo la morte di J. Paul Getty, che pure aveva lasciato disposizioni per l’acquisto della statua solo in caso di accertamento della legittima provenienza, i trustee si sono affidati ad esperti legali in realtà rappresentanti degli interessi della parte venditrice e a fonti confidenziali di funzionari italiani non riscontrabili (§ 388). Secondo la Corte, invece, le autorità nazionali si sono comportate complessivamente con diligenza nel manifestare sempre la volontà di recuperare l’Atleta vittorioso, sebbene non vi siano riuscite anche a causa del fatto che esse operavano in una situazione di “vuoto giuridico”, non esistendo strumenti giuridici internazionali vincolanti al momento dell’esportazione dell’opera utili al suo recupero (§ 392-400). In definitiva, la Corte EDU esclude qualsiasi violazione dell’art. 1 del primo Protocollo. (Francesco Manfrin)

 

ART. 2 Prot. n. 4 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 16 maggio 2024, Domenjoud c. Francia

Libertà di movimento – arresti domiciliari preventivi per possibili azioni violente durante il vertice COP 21 – prevedibilità e proporzionalità della misura – rispetto delle garanzie procedurali - violazione

I ricorrenti sono due fratelli ai quali, nel novembre del 2015, il Ministro dell’Interno francese ha applicato la misura degli arresti domiciliari con obbligo di presentazione agli uffici di polizia al fine di garantire l’ordine pubblico durante lo svolgimento di un vertice internazionale. Tale vicenda si inserisce nel complesso quadro emergenziale che ha coinvolto la Francia nell’autunno del 2015. In particolare, dopo gli attentati terroristici di matrice islamica del novembre 2015 (tra cui la strage del Bataclàn), la Presidenza della Repubblica francese ha dichiarato lo stato di emergenza e il Governo si è apprestato a adottare le misure preventive di sicurezza volte a garantire l’ordinato svolgimento della Conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la c.d. COP 21, prevista dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 a Parigi. In questo contesto, ai due ricorrenti, leader di movimenti di protesta radicali già noti alle forze dell’ordine, sono stati applicati, con ordinanza del Ministero dell’Interno, gli arresti domiciliari fino al 12 dicembre, consistenti nell’obbligo di residenza nei rispettivi comuni, nell’obbligo di presentarsi tre volte al giorno presso il locale ufficio di polizia e nell’obbligo di pernottamento domiciliare tra le ore 20 e le ore 6. I due fratelli impugnavano davanti alle rispettive autorità competenti i provvedimenti imposti loro dall’amministrazione ma i ricorsi di entrambi venivano, nei vari gradi di giudizio, rigettati o non ammessi. I due, infine, denunciavano il mancato rispetto degli articoli 5, 6 e 13 della Convenzione, e in subordine, anche dell’art. 2 Prot. n. 4. Nel vagliare il loro caso, la Corte EDU, anzitutto, ribadisce che le misure in discorso, coerentemente con i propri precedenti (per es., Pagerie c. Francia e De Tommaso c. Italia), concretizzano casi di “restrizione” della libertà personale e non di “privazione”. Pertanto, le doglianze proposte devono essere analizzate sotto la luce dell’art. 2 Prot. n. 4, e non dell’art. 5 CEDU, dal momento che la censura che si fonda su quest’ultima norma è incompatibile ratione materiae (§ 72). La Corte, inoltre, distingue le posizioni dei due ricorrenti. Con riferimento al primo, i giudici di Strasburgo riconoscono che in virtù dei precedenti penali del soggetto fosse legittimo da parte dell’autorità francese ritenere un rischio serio che egli si sarebbe associato ad azioni violente in occasione della COP 21 (§ 122). E, dal momento che la misura adottata nei suoi confronti non risultava essere sproporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti, non è possibile ravvisare alcuna violazione dell’art. 2 Prot. n. 4 CEDU (§ 125). Relativamente al secondo ricorrente, invece, la Corte rileva come né l’ordinanza del Ministero dell’Interno né le successive allegazioni prodotte dall’amministrazione nei ricorsi proposti dall’uomo sono in grado di fornire le spiegazioni in base alle quali egli è stato ritenuto un pericoloso manifestante violento (§ 127). Anzi, non avendo egli precedenti penali e non risultando possibile ipotizzare il ragionevole rischio concreto che l’uomo si sarebbe associato a scontri violenti in occasione della COP 21, la Corte ritiene che gli arresti domiciliari applicati al secondo ricorrente non soddisfino i requisiti sostanziali e procedurali dell’art. 2 Prot. n. 4 CEDU (§134). (Francesco Manfrin)