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14 Gennaio 2025


Osservatorio Corte EDU: novembre 2024

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



 

A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Davide Colombo (artt. 2, 3 e 14 Cedu) e Luca Pressacco (artt. 6 e 8 Cedu).

In novembre abbiamo selezionato pronunce relative a: violenza domestica (artt. 2, 3 e 14 Cedu); contenzione in struttura psichiatrica (art. 3 Cedu); impugnazione straordinaria e valutazione del presofferto (art. 6 Cedu); sequestro e analisi del telefono cellulare di un avvocato indagato e tutela del segreto professionale (art. 8 Cedu); interecettazione di utenza telefonica di un giornalista e tutela dell’identità delle sue fonti (art. 8 Cedu).

 

 

ARTT. 2 e 3 CEDU

C. eur. dir. uomo, Sez. II, 19 novembre 2024, Vieru c. Moldavia

Violenza domestica – incapacità di assicurare le indagini e la punizione dell’autore di reati di violenza domestica culminati nella morte della vittima – violazione artt. 2 e 3 (profili procedurali) – incapacità di garantire protezione alla vittima di violenza domestica – violazione art. 3 (profilo sostanziale).

La ricorrente, cittadina moldava, lamenta l’incapacità delle autorità moldave di proteggere efficacemente la sorella dalle reiterate violenze domestiche perpetrate nei suoi confronti dall’ex marito, culminate tragicamente nella morte della donna; lamenta inoltre che le autorità non avrebbero condotto un’indagine efficace sulle circostanze dell’episodio di violenza sfociato nel decesso della sorella. Nel dettaglio: a far data dal 2012, la vittima era stata sottoposta a ripetuti episodi di violenza domestica da parte dell’ex marito, di intensità tale che le autorità giudiziarie moldave avevano emesso numerosi ordini di protezione. Sennonché tali ordini di protezione, sia per la loro limitata durata temporale – 90 giorni cadauno – sia per l’esiguo effetto deterrente assicurato dalle sanzioni previste in caso di loro violazione – una sanzione pecuniaria pari a circa 50 euro – non erano stati in grado di porre un freno alle violenze perpetrate dall’ex marito della donna. Allo stesso modo, neanche il parallelo procedimento penale era stato in grado di assicurare una adeguata protezione: il 23 marzo 2016 l’ex marito della vittima era stato riconosciuto colpevole in relazione a tre capi d'imputazione per violenza domestica ed era stato conseguentemente condannato a due anni di carcere, ma l'esecuzione della sentenza era stata sospesa ed era stata disposta la libertà vigilata per tre anni, con l’obbligo per il condannato di seguire un trattamento speciale o un programma di consulenza per ridurre il suo comportamento violento. Tuttavia, a distanza di appena qualche mese, l’uomo si era recato a casa della ex moglie e, nell’ambito di un nuovo episodio di violenza, la donna – per circostanze non meglio chiarite – era caduta dal quinto piano del suo appartamento, decedendo in ospedale poco tempo dopo a causa delle ferite riportate. Con riferimento a tale evento, il pubblico ministero aveva avviato indagini per istigazione al suicidio, disponendone tuttavia in breve tempo l’archiviazione per insufficienza di elementi probatori. Alla luce della vicenda, la Corte europea preliminarmente osserva che i fatti del caso riguardano due serie distinte di procedimenti: una serie concerne la violenza domestica, compresi i procedimenti per ordini di protezione e i procedimenti penali per le accuse di violenza domestica, lesioni personali e violazione degli ordini di protezione; l’altra serie attiene alla morte della vittima. Svolta questa constatazione, i giudici evidenziano come, dalla propria giurisprudenza, emerga che le vittime di violenza domestica hanno diritto alla protezione dello Stato, nelle forme di una deterrenza effettiva contro tali gravi violazioni dell’integrità personale; gli obblighi positivi delle autorità ai sensi degli artt. 2 e 3 della Convenzione comprendono, in particolare, l’obbligo di predisporre e applicare un quadro legislativo e regolamentare di protezione e di adottare misure operative per proteggere gli individui da un rischio di maltrattamenti contrari alla normativa così predisposta (§ 77). Nel caso di specie, considerato il modo in cui le autorità hanno trattato le denunce di violenza domestica sporte dalla sorella della ricorrente, la Corte ritiene che lo Stato non abbia adempiuto al suo obbligo positivo ai sensi degli artt. 2 e 3 CEDU, riguardati sotto il profilo procedimentale (§ 96). La Corte inoltre ritiene che le autorità domestiche non abbiano agito in modo rapido, diligente e coerente nei casi emersi di violenza domestica. In particolare, non hanno valutato la natura reale e immediata del rischio di recidiva della violenza, tenendo in debita considerazione il contesto specifico della violenza domestica, e non hanno adottato misure preventive e protettive per scongiurare tale rischio; conseguentemente, la Corte ritiene che lo Stato convenuto abbia violato i suoi obblighi positivi sostanziali ai sensi dell'art. 3 (§ 120). I giudici, tuttavia, ritengono di non poter esaminare la doglianza relativa alla violazione degli obblighi positivi sostanziali ex art. 2, in quanto sono rimaste incerte le circostanze della morte della sorella della ricorrente (§ 97); sul punto vanno però registrate le opinioni dissenzienti dei giudici Krenc e Sârcu, secondo cui la Corte avrebbe così perso l’occasione di affrontare il delicato tema del suicidio commesso in contesti di violenza domestica (§ 9 della joint dissenting opinion). Infine, la Corte ricorda come, secondo la propria giurisprudenza, la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, è una forma di discriminazione contro le donne e l’incapacità dello Stato di proteggere le vittime da tale violenza lede il loro diritto a una pari tutela della legge (§ 127); sicché la Corte ravvisa, nel caso sottoposto al suo scrutinio, anche una violazione dell’art. 14. (Davide Colombo)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1192 ss.; E. Zuffada, Da Strasburgo una sentenza pilota contro la Russia in materia di violenza domestica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 910 ss.

 

ART. 3 CEDU

C. eur. dir. uomo, Sez. I, 7 novembre 2024, Lavorgna c. Italia

Trattamenti inumani e degradanti – contenzione meccanica prolungata in una struttura psichiatrica – violazione

Il ricorrente era stato ricoverato presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’ospedale di Melzo il 30 settembre 2014, a seguito dell’insorgenza di una situazione di crisi psichiatrica acuta non gestibile in regime ambulatoriale. Il 7 ottobre 2014 aveva ricevuto la visita dei genitori e, in tale occasione, aveva chiesto di essere dimesso dall'ospedale. Gli psichiatri ospedalieri avevano tuttavia risposto che avrebbe dovuto rimanere ricoverato per un ulteriore periodo di quattro giorni poiché il quadro sintomatologico manifestato al momento del ricovero non era stato risolto e la rivalutazione della terapia psicofarmacologica non era ancora stata completata. A tale notizia il ricorrente aveva reagito con aggressioni fisiche nei confronti del padre e, successivamente, nei confronti della madre e del primario. Conseguentemente, il personale medico aveva deciso di applicare misure di contenimento fisico. Il ricorrente era stato quindi meccanicamente vincolato al suo letto dal 7 ottobre 2014 al 15 ottobre 2014. Le restrizioni, consistenti in cinghie per polsi e caviglie, erano state inizialmente applicate a tutti e quattro gli arti; dal secondo giorno alcuni arti erano stati temporaneamente e intermittentemente svincolati per scopi di igiene personale, alimentazione o fisioterapia. A partire dal settimo giorno, il ricorrente era stato temporaneamente liberato dalle restrizioni per consentire l'igiene personale e le visite al bagno. Complessivamente, la misura era stata applicata per quasi otto giorni. Avviate indagini in sede penale in relazione ai denunciati delitti di maltrattamenti, sequestro di persona e violenza privata, il pubblico ministero ne aveva però chiesto l’archiviazione – richiesta accolta dal g.i.p. – ritenendo che il personale medico avesse correttamente applicato le procedure all’uopo previste per contenere l’obiettivo temperamento aggressivo del paziente. Il ricorrente ha adito la Corte di Strasburgo lamentando invece che la misura contenitiva fosse stata applicata oltre il tempo strettamente necessario e in violazione della sua dignità; in particolare, ha sostenuto che non erano state considerate alternative meno restrittive e che la contenzione non fosse giustificata da un pericolo imminente. Nell’affrontare la questione posta alla sua attenzione, la Corte ha preliminarmente rilevato che, in base alla propria giurisprudenza, nei confronti delle persone private della libertà, il ricorso alla forza fisica che non sia stato reso strettamente necessario dalla loro condotta diminuisce la dignità umana e costituisce una violazione del diritto sancito dall'art. 3 (§ 114). Per quanto riguarda l'uso di misure di contenzione fisica sui pazienti negli ospedali psichiatrici, gli sviluppi negli standard giuridici contemporanei richiedono che tali misure siano impiegate come ultima risorsa, quando la loro applicazione è l'unico mezzo disponibile per prevenire danni immediati o imminenti al paziente o ad altri; deve anche essere dimostrato che la misura coercitiva in questione non è stata prolungata oltre il periodo strettamente necessario a tale scopo (§ 115). Alla luce di ciò, la Corte – nel caso esaminato – ha ritenuto che l’imposizione iniziale della contenzione fosse giustificata per impedire danni immediati e imminenti, ma ha osservato che la sua continuazione per otto giorni non fosse stata dimostrata come strettamente necessaria. Le autorità non hanno fornito prove convincenti dell’immediatezza del pericolo che giustificasse il prolungamento della misura, né che fossero state adottate alternative meno restrittive (§ 122). A tale riguardo, la Corte europea ha peraltro osservato che la stessa Corte di cassazione italiana ha escluso la legittimità dell’uso della contenzione meccanica in via “precauzionale”, precisando in tale sede che l’attualità del pericolo in un dato caso deve essere concretamente provata dalla verifica di elementi oggettivi, che il medico deve indicare in modo preciso e dettagliato (Cass. pen., sez. V, 20 giugno 2018, n. 50497). La Corte ha dunque concluso nel senso che, nel caso esaminato, non sia stato sufficientemente dimostrato che la continuazione della misura di contenzione – mantenuta per un periodo straordinariamente lungo – fosse stata strettamente necessaria e avesse rispettato la dignità del ricorrente, senza esporlo a dolore e sofferenza in violazione dell'art. 3 della Convenzione; in ciò concretandosi una violazione dell'aspetto sostanziale di tale disposizione. (Davide Colombo)

Riferimenti bibliografici: I. Giugni, Esercizio legittimo della forza e obbligo di formazione degli agenti statali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2022, pp. 1365 ss.; C. Mostardini, Sull’uso letale della forza da parte degli agenti statali: tra obblighi convenzionali e prospettive nazionali, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2017, pp. 1567 ss.

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 14 novembre 2024, Zakrzewski c. Polonia

Equità processuale – Inasprimento della pena detentiva a seguito d’impugnazione straordinaria proposta dal p.m. – mancata considerazione della pena già espiata e della liberazione condizionale del condannato – violazione

Nel 2017 il ricorrente è stato condannato a due anni di reclusione, con annessa pena pecuniaria, per il possesso di una notevole quantità di sostanza stupefacente. La pena finale costituiva il risultato dell’applicazione della cosiddetta “attenuante straordinaria” (art. 60 del codice penale polacco), la quale consente l’irrogazione di una pena inferiore al minimo edittale previsto dalla legge. Sulla base di questa statuizione, egli ha scontato più di metà della pena detentiva e, in seguito, è stato rilasciato in regime di libertà condizionale. Tuttavia, in virtù di un’impugnazione straordinaria presentata dal Ministro della giustizia (il quale per legge assume anche la carica di Procuratore generale), il procedimento penale a carico del ricorrente è stato riaperto dalla Corte di cassazione ed egli è stato condannato a tre anni di reclusione, escludendo l’attenuante straordinaria precedentemente riconosciuta. Di conseguenza, il ricorrente è stato nuovamente arrestato nel 2019 per scontare la pena residua, pari a circa due anni. I giudici alsaziani, dopo aver ricordato le condizioni che consentono di porre in discussione una sentenza ormai divenuta irrevocabile (§ 38-40), hanno riconosciuto la violazione del canone di equità processuale, applicabile anche alle impugnazioni qualificate come straordinarie dal diritto interno, nella misura in cui esse consentono un riesame del caso al fine di ottenere un nuovo accertamento sull'imputazione penale (§ 41). Nello specifico, la Corte europea ha rimproverato alla Corte di cassazione polacca di aver ammesso il ricorso straordinario del Procuratore generale senza spiegare quali fossero i vizi fondamentali («fundamental defects») del procedimento che necessitavano di essere corretti al fine di preservare la fiducia e l’integrità del sistema giudiziario, giustificando il sacrificio del giudicato e della certezza del diritto (§ 44). Inoltre, la Corte d’appello di Breslavia – che ha proceduto alla ridefinizione della pena – non ha tenuto in considerazione gli effetti dell’impugnazione straordinaria sulla situazione individuale del ricorrente. In particolare, non è stato conferito adeguato rilievo al fatto che egli aveva già scontato più della metà della pena detentiva originaria e si trovava in regime di liberazione condizionale al momento della riapertura del processo (§ 45). (Luca Pressacco)

Riferimenti bibliografici: M. Pisati, L’equità delle procedure di “riapertura” del procedimento penale in seguito alla violazione dell’art. 3 Cedu, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2024, p. 373; F. Ertola, Conformità alle sentenze della Corte di Strasburgo e margine di apprezzamento, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 564.

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, com. sez. IV Comit., 5 novembre 2024, Nezirić c. Bosnia-Erzegovina

Sequestro e analisi forense del telefono cellulare di un avvocato indagato – assenza di procedure specifiche per l'esame dei dispositivi elettronici – assenza di garanzie procedurali idonee a proteggere i dati coperti dal segreto professionale – violazione 

Il ricorrente, un avvocato sottoposto ad indagine per associazione a delinquere e abuso d'ufficio, si duole delle modalità con cui sono stati effettuati il sequestro e il successivo esame forense del suo telefono cellulare. La Corte europea ha rilevato, in primo luogo, che nell’ordinamento interno vi sono regole specifiche che disciplinano le perquisizioni e i sequestri presso gli studi professionali degli avvocati (§ 12). Ciononostante, ha ritenuto opportuno verificare se l’attuazione pratica di tali garanzie sia idonea ad assicurare la tutela delle informazioni coperte dal segreto professionale. In tale prospettiva i giudici alsaziani hanno osservato che, nel caso di specie, la presenza di un rappresentante dell’ordine degli avvocati nel corso della perquisizione si è rivelata una garanzia puramente formale, poiché la copia forense e l’esame del dispositivo elettronico sono stati effettuati in un momento successivo al sequestro (§ 13). In secondo luogo, la Corte di Strasburgo ha osservato che non vi è alcuna procedura o salvaguardia specifica per svolgere l'esame dei supporti elettronici ed evitare l’impropria divulgazione di informazioni coperte dal segreto professionale. D’altra parte, né il mandato di perquisizione emesso dal giudice istruttore, né la decisione della commissione d’appello, né l'ordine del pubblico ministero di analizzare il telefono cellulare del ricorrente  contenevano istruzioni specifiche per la salvaguardia di materiale potenzialmente protetto dal segreto professionale (§ 14). Infine, la Corte europea ha sottolineato che l'intero contenuto copiato del cellulare del ricorrente è stato presentato come prova nel processo e, soltanto su obiezione specifica della difesa, il tribunale ha deciso di limitare l’acquisizione alle informazioni rilevanti per le finalità tipiche del processo (§ 15). Da tutto quanto precede, consegue la violazione dell’art. 8 Cedu per la mancanza di garanzie procedurali idonee a proteggere specificamente i dati coperti dal segreto professionale legale. (Luca Pressacco)

Riferimenti bibliografici: S. Basilico, Lo smartphone sequestrato contiene corrispondenza con un difensore: che fare?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, p. 757.

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, 28 novembre 2024, Klaudia Csikós c. Ungheria

Sospetta intercettazione e acquisizione dei tabulati relativi all’utenza telefonica della ricorrente, giornalista estranea al procedimento – assenza di garanzie procedurali idonee a tutelare l’identità delle fonti giornalistiche – violazione 

Il ricorso trae origine dall’attività professionale della ricorrente che, in qualità di giornalista professionista, ha pubblicato alcuni articoli concernenti un caso di omicidio di alto profilo. Lamentando la violazione dell’art. 8 Cedu, ella sostiene che le sue conversazioni siano state illegalmente intercettate e i suoi tabulati siano stati illegittimamente acquisiti (nonostante fosse estranea al procedimento penale scaturito dalla rivelazione delle notizie coperte da segreto d’ufficio) allo scopo precipuo di individuare le sue fonti all’interno del dipartimento di polizia. Esaminando le doglianze dalla ricorrente, la Corte di Strasburgo ha osservato in primo luogo che la normativa ungherese non prevede alcuna forma di notificazione ai soggetti destinatari di misure occulte di sorveglianza, nemmeno quando sia terminata l’esecuzione di queste ultime (§  60). D’altra parte, la ricorrente non ha avuto nemmeno accesso a un organo indipendente e imparziale, competente ad esaminare le denunce relative a intercettazioni illegali, indipendentemente da una previa comunicazione. Difatti, tutti gli organismi interpellati dalla ricorrente (Servizio di difesa nazionale, Ministero dell’Intero e Comitato parlamentare per la sicurezza nazionale) si sono limitati a fornire rassicurazioni generiche, senza esaminare nel merito le doglianze circa la legittimità, la necessità e la proporzionalità delle misure di sorveglianza occulte in una società democratica (§ 61-63). Alla luce di queste premesse, la Corte europea ha concluso che la ricorrente non ha  beneficiato di garanzie procedurali idonee a proteggere l’identità delle fonti giornalistiche, in violazione degli art. 8 e 10 Cedu (§ 71). (Luca Pressacco)

Riferimenti bibliografici: V. Vasta, Libertà di informazione e segreto giornalistico sulla fonte delle notizie, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, p. 324.

 

ART. 14 CEDU

C. eur. dir. uomo, Sez. II, 19 novembre 2024, Vieru c. Moldavia

Violenza domestica – incapacità di fronteggiare adeguatamente la violenza domestica contro le donne – violazione

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi al diritto alla vita e all’integrità psico-fisica, v. supra, sub art. 2, 3. La Corte ricorda altresì come, secondo la propria giurisprudenza, la violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, è una forma di discriminazione di genere e l’incapacità dello Stato di proteggere le vittime da tale violenza lede il loro diritto a una pari tutela della legge (§ 127); sicché la Corte ravvisa, nel caso sottoposto al suo scrutinio, anche una violazione dell’art. 14. (Davide Colombo)