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16 Giugno 2025


Sui vuoti di tutela lasciati dal (fu) abuso d'ufficio: uno sguardo alla costellazione dei casi oggetto delle ordinanze di rimessione alla Consulta


1. Come è noto, l’8 maggio 2025 la Consulta ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate da 13 tribunali e dalla Cassazione in relazione all’art. 1, c. 1, lett. b) della L. 9 agosto 2024, n. 114, che ha abrogato il delitto di abuso d’ufficio[1]. La motivazione della sentenza deve essere ancora depositata. Dal comunicato stampa diffuso dalla Corte risulta che si è esclusa l’esistenza di obblighi di incriminazione di fonte sovranazionale discendenti dalla Convenzione ONU di Merida[2]. Convintasi dell'inesistenza di un obbligo internazionale di incriminazione, la Corte si è trovata le mani legate a fronte della propria giurisprudenza sul divieto di sindacato delle leggi penali con effetti in malam partem.

In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, ci sembra interessante tornare sulla questione dell'abolizione dell'abuso d'ufficio per sottolineare, ancora una volta e definitivamente, i gravi vuoti di tutela aperti dalla legge Nordio. La discussione in diritto, nei mesi scorsi, ha forse lasciato in ombra le vicende in fatto, a partire da quelle oggetto dei procedimenti nell’ambito dei quali le questioni di legittimità sono state sollevate[3]: questi aiutano a dare concretezza alle condotte umane fino a poco tempo fa ascrivibili all’art. 323 c.p. e a “pesarne” il disvalore, onde comprendere se continuare a sanzionarle – e continuare a sanzionarle penalmente – fosse o meno una scelta valida[4]. Faremo anche qualche cenno alla questione della riconducibilità delle condotte in passato integranti abuso all’ambito applicativo di disposizioni diverse. Le osservazioni che svolgeremo saranno sintetiche, ma ci ripromettiamo di svilupparle presto in altra sede.

 

2. I fatti oggetto d’imputazione possono essere distinti fra “abusi a danno” del privato (o prevaricazioni) e “abusi a vantaggio” del privato (e a danno della P.A.). Includiamo all’interno del primo gruppo anche le condotte che cagionano un danno diretto in capo a un cittadino con lo scopo (che, poi, rappresenta il movente dell’azione) di attribuire un vantaggio a un altro soggetto, parimenti privato, con cui il pubblico agente è in relazione. Tra gli abusi a vantaggio si possono isolare quelli posti in essere a favore di una persona con cui il pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio intratteneva, già prima dell’avvio del procedimento che ha condotto all’assunzione della decisione, una relazione qualificata. Per entrambe le categorie richiamate – le prevaricazioni mediante le quali il p.a. attribuisce un vantaggio indiretto a un soggetto “amico” e gli abusi a vantaggio di persone con cui intrattiene una relazione qualificata – si può parlare di decisioni assunte in conflitto d’interessi. Tra gli abusi a vantaggio, si possono anche distinguere quelli che comportano un indebito trasferimento di beni o denaro dal patrimonio pubblico a quello privato (emblematici i brogli nella conduzione dei concorsi), e i comportamenti che risultano, invece, irrilevanti per l’erario (come gli abusi edilizi).

La classificazione che abbiamo proposto ha un duplice scopo: il primo è comprendere quali fossero le due “anime” dell’abuso d’ufficio (le prevaricazioni e le decisioni assunte in conflitto d’interessi), all’interno delle quali rientravano le condotte caratterizzate da più intenso disvalore; il secondo obiettivo è rendere più agevole l’analisi delle fattispecie di reato diverse dall’abuso che potrebbero trovare applicazione ai medesimi fatti.

 

3. Partiamo dalle prevaricazioni, oggetto di tre ordinanze di rimessione.

  • Nella vicenda presa in esame dalla Cassazione[5], un segretario comunale, in concorso con il Presidente del consiglio del medesimo ente locale, dichiarava le dimissioni di un consigliere, nonostante questi non avesse espresso la volontà di abbandonare l’incarico. La condotta dell’imputato appariva doppiamente illecita: da un lato, essa violava l’art. 38 del d.lgs. 18 agosto 2020, n. 267 (t.u. enti locali), che richiede che il consigliere comunale rassegni le proprie dimissioni di sua spontanea volontà e comunque rispettando determinate formalità; d’altra parte, il segretario avrebbe dovuto astenersi a causa della relazione di inimicizia intercorrente tra i due da quando il consigliere lo aveva denunciato per la commissione di plurimi reati. Dalla condotta derivava l’inflizione di un ingiusto danno a carico del consigliere deposto, che assumeva anche significato patrimoniale in quanto comportava la rinuncia ai gettoni di presenza.
  • In una delle tre ordinanze emesse dal tribunale di Firenze[6], un pubblico ministero e un carabiniere emettevano un decreto di sequestro preventivo d’urgenza delle quote di una società. La condotta si poneva in violazione di due disposizioni di legge vincolanti (gli artt. 7 e 238 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267) che prevedono come presupposto per l’adozione di un provvedimento di sequestro la dichiarazione di fallimento dell’ente, che invece non era intervenuta. Il comportamento serbato, animato dal dolo intenzionale di procurare un danno ingiusto al proprietario delle quote, era finalizzato all’attribuzione di un indebito vantaggio patrimoniale – consistente nella possibilità di acquistare le quote sequestrate – a un altro imprenditore, con cui la magistrata imputata intratteneva una duratura relazione personale. Lo scopo di avvantaggiare un soggetto terzo, diverso da quello direttamente leso, rappresentava il movente della condotta.
  • Una delle ordinanze emesse dal tribunale di Locri[7] vedeva come protagonista il direttore dell’area dei servizi veterinari di un’azienda sanitaria il quale serialmente negava ai richiedenti l’autorizzazione all’apertura o alla prosecuzione dell’attività di nuovi ambulatori al fine di assicurare che lo studio di cui era titolare il figlio non ne subisse la concorrenza. La condotta si poneva in evidente contrasto con un obbligo di astensione non codificato ma discendente dalla natura dei rapporti (genitore/figlio) intercorrenti tra agente pubblico e privato cittadino in qualche modo interessato agli effetti delle decisioni assunte dal primo. Anche in questo caso, al danno diretto cagionato ai titolari degli altri ambulatori (oggetto di dolo intenzionale) si aggiungeva il vantaggio patrimoniale indirettamente attribuito dal direttore al proprio figlio, che rappresentava il movente dell’azione.

Come abbiamo anticipato, due delle tre ordinanze riguardavano abusi a danno realizzati col fine ultimo di attribuire a un soggetto privato, diverso da quello direttamente danneggiato, un indebito vantaggio patrimoniale: nel primo caso (che è in realtà il secondo, tra quelli elencati) una magistrata voleva consentire a un imprenditore amico di acquistare le quote sequestrate a un’altra società; nell’ultima vicenda descritta, un dirigente comunale intendeva risparmiare al figlio la concorrenza di ambulatori veterinari simili a quello da lui gestito. In ipotesi di prevaricazione come queste, secondo noi, si può parlare – così come avviene nel caso di una sotto-categoria di abusi a vantaggio – di “conflitto d’interessi”, facendo riferimento all’esistenza di un interesse obiettivo, che trova riscontro nella realtà esterna, riferibile a una persona con cui il p.a. intrattiene una relazione qualificata, la cui realizzazione appare incompatibile con il conseguimento del fine pubblico[8]. Invero, di “conflitto d’interessi” si può anche fornire una definizione più lata, all’interno della quale ricadrebbe pure la mera volontà di cagionare un danno; qualora si sposasse questa interpretazione, si dovrebbe concludere che tutti gli abusi a danno sono, in definitiva, riconducibili al conflitto d’interessi[9].

Le ipotesi di prevaricazione sono, secondo noi, ormai penalmente irrilevanti. Infatti, l’unica disposizione astrattamente applicabile è quella di violenza privata aggravata per essere stata commessa con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio (artt. 610, 61, c. 9 c.p.); ma, a nostro modo di vedere, esistono diversi motivi per escludere la fondatezza di tale prospettazione. Innanzitutto, è difficile sostenere che gli imputati abbiano serbato condotte violente – anche nel senso lato che fa riferimento all’impiego di qualsiasi mezzo idoneo a privare la persona offesa della libertà di azione o di determinazione – o minacciose; al massimo, si potrebbe riconoscere che l’emissione di un decreto di sequestro d’urgenza comporta la prospettazione di un male ingiusto e futuro, consistente nel consolidarsi del provvedimento ablatorio: ma si tratta, secondo noi, di argomentazione fantasiosa. In ogni caso, la condotta del p.u./i.p.s. è direttamente produttiva di un danno per il cittadino, il quale subisce un’intrusione nella sfera dei suoi diritti ma non viene costretto a tenere un comportamento diverso da quello che avrebbe serbato qualora la condotta dell’agente pubblico fosse mancata. In altre parole, quel che il privato sopporta è lo stesso comportamento del pubblico agente, mentre manca una fase di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa, intermedia tra il comportamento violento o minaccioso (ammesso che vi sia stato) e la condotta – condizionata dalla violenza o dalla minaccia – serbata dal privato[10].

 

4. Passiamo, adesso, a descrivere le condotte ascrivibili alla categoria degli abusi a vantaggio del privato. I casi esaminati sono riconducibili a tre ipotesi: 1) brogli nella gestione dei concorsi per il reclutamento di personale o l’affidamento di incarichi professionali; 2) irregolarità nelle procedure per l’aggiudicazione di contratti di compravendita di immobili a favore di enti privati; 3) abusi edilizi.

4.1. Pariamo dai concorsi.

  • Diversi casi sono ambientati in Università. Le vicende oggetto dei procedimenti instaurati a Catania[11] e a Firenze[12] vedono coinvolti il rettore, alcuni docenti, alcuni ricercatori e alcune unità di personale amministrativo, ritenuti dalla procura responsabili della redazione di “bandi fotografia” finalizzati all’assunzione di candidati pre-scelti. È interessante notare che il P.M. presso il tribunale di Catania aveva qualificato alcune di queste condotte nei termini di abuso d’ufficio e altre, invece, come turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis c.p.). In effetti, sull’applicabilità delle disposizioni dettate a tutela delle gare ad alcune delle condotte che in passato avrebbero integrato abuso d’ufficio è opportuno riflettere: lo faremo in conclusione del paragrafo. Anche un’altra ordinanza emessa dal Tribunale di Firenze[13] si riferisce a brogli nei concorsi per il reclutamento di personale universitario, ma i fatti contestati sono descritti solo in maniera sommaria, così che non è possibile ripercorrerli con accuratezza.
  • Un caso che ha destato scalpore riguarda il tentativo di favorire un candidato al concorso per magistrato ordinario, oggetto del procedimento instaurato presso il tribunale di Roma[14]. L’imputato, professore universitario, innanzitutto non dichiarava di vantare un consolidato rapporto personale con uno dei candidati al concorso – che era anche suo dottorando e col quale aveva instaurato una relazione amicale che andava oltre i normali rapporti professionali – in forza del quale avrebbe dovuto astenersi (ai sensi dell’art. 51 c.p.p.) dal valutare il suo elaborato. In secondo luogo, l’imputato concordava col candidato i criteri di riconoscimento dei suoi compiti, che salvava sul proprio pc. Il fatto si arrestava allo stadio del tentativo, in quanto il comportamento illecito veniva scoperto da un altro membro della commissione, che prontamente lo denunciava.
  • Il caso oggetto dell’ordinanza del tribunale di Campobasso[15] riguarda due condotte distinte. Quanto alla prima, un sindaco aveva approvato la graduatoria di un concorso per l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato presso l’ente violando un obbligo di astensione sorto perché anche suo figlio aveva partecipato al concorso (risultando vincitore). La seconda condotta realizzata dall’imputato riguardava l’affidamento di un incarico a una persona priva dell’esperienza pluriennale richiesta dall’art. 110 del d.lgs. 10 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.).
  • Infine, il caso oggetto dell’ordinanza di rimessione sollevata dal tribunale di Busto Arsizio[16] riguarda la partecipazione di alcuni soggetti (il RUP di una procedura selettiva, il membro di un nucleo valutativo e la componente di una commissione di concorso) al procedimento che aveva condotto all’assegnazione di incarichi dirigenziali o di incarichi professionali di consulenza, nonostante tale partecipazione si ponesse in contrasto con specifiche norme di legge che dettavano obblighi di astensione. Il P.M. aveva contestato, in via alternativa, i reati di turbativa d’asta (art. 353 c.p.) o di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis). Dalla descrizione dei fatti, non è agevole desumere a quale punto la procedura selettiva si fosse, nei diversi casi, arrestata, così che non è possibile illustrare le ragioni della diversità dei reati richiamati dalle imputazioni.

4.2. Passiamo ai casi che riguardano la conclusione di contratti di vendita di immobili tra enti, uno pubblico e l’altro privato.

  • Nel caso oggetto del procedimento instaurato a Locri[17], un funzionario comunale aggiudicava il contratto di compravendita di un immobile del patrimonio disponibile dell’ente in favore della conduttrice, contestualmente revocando l’aggiudicazione provvisoriamente riconosciuta a favore di un altro soggetto. L’unica norma di legge citata dall’ordinanza è l’art. 21 quinquies della l. 241/1990, che detta alcune condizioni per la revoca degli atti amministrativi; il tribunale argomenta, però, in ordine all’illegittimità della condotta facendo leva sul bando del concorso finalizzato all’aggiudicazione, che escludeva la possibilità di assegnare l’immobile al conduttore qualora su questo gravassero debiti nei confronti del Comune. Non ci è dunque chiaro con quale disposizione di fonte primaria il comportamento contrastasse.
  • Anche il fatto oggetto di procedimento penale instaurato a Reggio Emilia[18] riguarda la distrazione di un immobile appartenente all’erario a favore di una società privata. Il caso, però, è illustrato molto sinteticamente e solo per escludere la rilevanza della questione di legittimità posta con riferimento alla direttiva P.I.F.[19], in quanto la condotta non ricadeva su un bene la cui sottrazione apparisse lesiva degli interessi finanziari dell’UE. Il tribunale di Reggio Emilia ha rigettato le q.l.c. sollevate dalla procura, ritenendole in parte irrilevanti e in parte manifestamente infondate.

4.3. Vi sono, infine, gli abusi edilizi:

  • Nel caso di Bolzano[20], Tizio, sindaco del comune Beta, rilasciava a Caia, assessore alla cultura del medesimo comune nonché socia e legale rappresentante di Alfa, proprietaria di un hotel, un’autorizzazione alla realizzazione di un parcheggio a pagamento in prossimità dell’albergo, in una zona qualificata come bosco, posta a poche centinaia di metri dalla linea di battigia di un lago e collocata all’interno di un parco naturale. Il rilascio avveniva in violazione di due leggi provinciali e di un decreto del presidente della Giunta provinciale, che appunto vietavano di costruire in zone boschive paesaggisticamente protette. L’area all’interno della quale avrebbe dovuto essere realizzato il parcheggio era qualificata come bosco dal piano urbanistico provinciale, la cui violazione si poneva, quindi, come presupposto di fatto per la violazione della legge; pertanto, il Tribunale si preoccupava di ribadire il consolidato orientamento giurisprudenziale che ammetteva lo schema c.d. dell’eterointegrazione, in base al quale la violazione di una fonte subordinata alla legge, dalla prima richiamata, sarebbe equivalsa, ai fini dell’integrazione dell’abuso, alla violazione della legge stessa. Dalla condotta derivava un indebito vantaggio patrimoniale a Caia e un ingiusto danno a carico di Sempronio, proprietario di un altro terreno che aveva presentato un progetto alternativo per la realizzazione del parcheggio.
  • Di fronte al tribunale di Modena[21] si svolgeva un processo contro un’architetta dipendente di un ente locale, responsabile del rilascio di un parere col quale qualificava la struttura che una società agricola chiedeva di realizzare come temporanea, nonostante si trattasse, invece, di un manufatto di carattere permanente, in tal modo consentendone la costruzione in violazione delle previsioni dello strumento urbanistico-edilizio richiamato dall’art. 49, c. 1 del d.lgs. 267/2000.

Come abbiamo anticipato, in alcuni dei casi inquadrabili tra gli “abusi a vantaggio” era rinvenibile una relazione qualificata, preesistente all’avvio del procedimento, tra p.a. e soggetto beneficiato dal provvedimento da questo adottato. Lo si nota, per esempio, in due delle ipotesi che riguardano i brogli nei concorsi: nel terzo caso, il p.a. attribuiva un posto di lavoro al figlio, nel secondo un professore tentava di favorire un amico al concorso di magistratura. Questi casi rientrano, secondo noi, nel novero delle condotte realizzate “in conflitto d’interessi”, ossia per favorire un interesse obiettivamente esistente e riferibile a una persona con la quale il pubblico ufficiale o incaricato ha un rapporto, più o meno intenso.

Alcune delle condotte descritte in questo paragrafo comportano un trasferimento di risorse (denaro o beni) dal patrimonio pubblico a quello privato. Questo vale per i concorsi – a cui segue la conclusione di contratti di lavoro o di collaborazione, che comportano, dal lato dell’ente, la corresponsione della retribuzione – e per i procedimenti finalizzati all’assegnazione di immobili; non vale, invece, per gli abusi edilizi, che non danneggiano tanto l’erario quanto beni pubblici diversi, magari immateriali (il paesaggio, il territorio…). La distinzione è interessante perché si potrebbe ipotizzare che la distrazione di risorse pubbliche a vantaggio di privati integri il neo-introdotto reato di indebita destinazione di cui all’art. 314 bis. Per quanto riguarda i contratti di compravendita di immobili, tale soluzione è senza dubbio preclusa, perché il nuovo delitto non può avere ad oggetto beni immobili. Per le condotte di inquinamento dei concorsi, il discorso è più complesso. Innanzitutto, non ne è immediato l’inquadramento tra i comportamenti distrattivi; in secundis, la fattispecie è configurabile solo qualora il denaro o i beni mobili siano destinati a un uso diverso da quello individuato da una disposizione di fonte primaria. È raro che ciò si verifichi: normalmente, crediamo, la legge si limiterà a disporre lo stanziamento di fondi per il perseguimento di determinate finalità di pubblico interesse, come l’assunzione di magistrati, ma non si soffermerà sulle caratteristiche che costoro dovranno possedere. È vero che la legge può pur sempre stabilire modalità per la loro selezione, come avviene nel caso delle norme dedicate agli obblighi di astensione, che hanno lo scopo di garantire l’imparzialità della procedura; in questi casi, però, la disposizione non avrà ad oggetto lo scopo cui le risorse dovranno essere destinate, e quindi la sua violazione risulterà irrilevante ai fini dell’applicazione della norma sull’indebita destinazione.

Per proseguire il discorso sulle fattispecie applicabili in luogo dell’abuso d’ufficio, per colmare il vuoto lasciato dalla sua abrogazione, è opportuno riflettere anche sulle disposizioni dettate a tutela della regolarità delle gare al settore dei concorsi per il reclutamento di personale. Le disposizioni a cui facciamo riferimento sono gli artt. 353 e 353 bis, rispettivamente dedicate alla turbata libertà degli incanti e alla turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Giurisprudenza recentissima[22] ne ha negato l’applicabilità alle condotte di abuso commesse nell’ambito dei concorsi pubblici finalizzati al reclutamento di personale, sostenendo che le disposizioni richiamate possono essere applicate solo nel caso di procedure finalizzate alla acquisizione di beni e all’affidamento all’esterno dell’esecuzione di opere o della gestione di servizi.

 

5. Conclusivamente, ci pare di poter sostenere che molte delle condotte che in passato avrebbero potuto assumere rilevanza come abusi – sia a danno sia a vantaggio del cittadino – siano qualificabili nei termini di decisioni assunte in conflitto d’interessi. Dato che noi accogliamo, per motivi che ci sembra fuor d’opera illustrare distesamente qui, una nozione ristretta di “conflitto d’interessi”, riteniamo che vi siano alcune condotte di abuso a danno che esulano da quello schema, e che si potrebbero definire come “prevaricazioni in senso stretto”. Anche tra gli abusi a vantaggio, non tutti beneficiano soggetti con cui il p.a. aveva una relazione qualificata già prima dell’avvio del procedimento; in queste ipotesi, ci troveremmo al cospetto di irregolarità residuali sia rispetto alla corruzione – perché nessun pactum è stato concluso tra le parti – sia rispetto alle condotte di conflitto d’interessi, in quanto non sono serbate a favore di un appartenente alla propria “cerchia”. Si potrebbe ipotizzare – ma non è questa la sede per approfondire la questione – che le condotte di abuso a vantaggio non caratterizzate dall’essere state serbate in conflitto d’interessi abbiano un disvalore meno intenso.

Il “peso” politico-criminale di almeno alcune delle condotte in passato integranti abuso d’ufficio non è trascurabile: ciò vale, a nostro modo di vedere (o meglio, di sentire), per le prevaricazioni – arbitri del potere pubblico a danno del cittadino – che risultano ormai sfornite di tutela penale, e anche per gli abusi a vantaggio realizzati in conflitto d’interessi, ossia, per favorire una persona con cui il p.a. intratteneva una relazione qualificata e magari documentata (di filiazione, di coniugio….) già prima dell’avvio del procedimento che ha condotto al compimento dell’attività. Anche queste ultime condotte rimangono sostanzialmente scoperte dal punto di vista penalistico: quantomeno limitandosi ai fatti presi in esame dalle ordinanze di rimessione, non sono applicabili la turbativa d’asta e del procedimento di scelta del contraente, mentre la fattispecie di indebita destinazione presenta margini talmente angusti da risultare sostanzialmente inutile.

***

A leggere e a rileggere bene i fatti oggetto delle ordinanze di rimessione alla Consulta, insomma, c'è materiale in abbondanza per toccare con mano i vuoti di tutela che restano dopo l'abolizione dell'abuso d'ufficio. Vuoti che sta al legislatore, di oggi o di domani, colmare, e che è compito della dottrina segnalare.

 

 

 

[1] Il comunicato stampa è disponibile in questa Rivista.

[2] Convenzione delle Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003, oggetto di ratifica ed esecuzione in Italia con L. 3 agosto 2009, n. 116.

[3] Possiamo descrivere i fatti oggetto di 12/14 ordinanze di rimessione, in quanto Trib. Teramo, 22 novembre 2024, Pres. Di Valerio, giud. Ursini e Pollera, con nota di S. Prandi, Abuso d’ufficio: dal Tribunale di Teramo l’ennesima questione di legittimità costituzionale. Prospettata la tesi dell’obbligo (anche implicito) di incriminazione in Costituzione (art. 28 Cost.), in questa Rivista, 11 dicembre 2024 e Trib. Locri, 30 novembre 2024, Pres. Vitale, giud. Boccuto e Lico non ne hanno dato conto nelle loro pronunce. Prendiamo in esame, invece, anche i fatti oggetto dell’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia, che, come vedremo, ha rigettato le censure di legittimità sollevate dalla procura.

[4] Illustrava in questi termini l’utilità delle analisi giurisprudenziali G. Marinucci, Profili di una riforma del diritto penale, in Bene e tecniche della tutela penale. Materiali per la riforma del codice, a cura del CRS, Franco Angeli, 1987, 27 ss.

[5] Cass., sez. VI, 21 febbraio 2025, dep. 7 marzo 2025, n. 9442.

[6] Trib. Firenze, sez. III pen., 24 settembre 2024, Pres. Belsito, giud. Innocenti e Rossi, con nota di G. L. Gatta, Abolizione dell’abuso d’ufficio: a Firenze una prima ordinanza di rimessione alla consulta. Esiste un obbligo convenzionale di non decriminalizzazione (o di stand-still)?, in questa Rivista, 9/2024, 71 ss.

[7] Trib. Locri, sez. gip/gup, 13 gennaio 2025, giudice Bonato.

[8] S. Seminara, Il conflitto di interessi nei reati contro la pubblica amministrazione, nei reati societari e nei reati finanziari, in Conflitto di interessi e interessi in conflitto in una prospettiva interdisciplinare, a cura di R. Sacchi, Giuffré, 2020, 195.

[9] A. Manna, Abuso d'ufficio e conflitto d'interessi nel sistema penale, Giappichelli, 2004, 181 e C. Stato, sez. V, 7 aprile 1978, n. 408.

[10] Per l’osservazione che la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere deve essere qualcosa di diverso dal fatto in cui si esprime la violenza v. Cass., SS.UU., 18 dicembre 2008, dep. 21 gennaio 2009, n. 2437, rv. 241752, Giulini e al. Nello stesso senso, tra le più recenti, Cass., sez. V, 14 dicembre 2020, dep. 17 febbraio 2021, n. 6208, Milan, rv. 280507, Cass., sez. V, 5 febbraio 2018, dep. 6 marzo 2018, n. 10132, Ippolito, rv. 272796 e Cass., sez. V, 7 ottobre 2016, dep. 10 novembre 2016, n. 47575, P.M. in proc. Altoè e al., rv. 268405. In dottrina, cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, I, a cura di C. F. Grosso, 2016, Giuffré, 139.

[11] Trib. Catania, sez. II, 26 novembre 2024, Pres. De Pasquale, giud. Scalia e Gennaro.

[12] Trib. Firenze, sez. gip/gup, 3 ottobre 2024, giudice Gugliotta. L’ordinanza riguarda anche condotte diverse, non approfonditamente descritte, comunque riconducibili all’inquinamento di un pubblico concorso.

[13] Trib. Firenze, sez. III pen., 25 ottobre 2024, Pres. Belsito, giud. Valotta e Innocenti.

[14] Trib. Roma, sez. gip/gup. 5 febbraio 2025, giudice Mosetti.

[15] Trib. Campobasso, 26 febbraio 2025, Pres. Di Dedda, giud. Dei Santi e Barbara.

[16] Trib. Busto Arsizio, sez. pen., 21 ottobre 2024, Pres. Fazio, giud. Ferrazzi, Montanari.

[17] Trib. Locri, sez. gip/gup, 30 settembre 2024, giudice Bonato.

[18] Trib. Reggio Emilia, sez. pen., 7 ottobre 2024, Pres. Iusto, Giud. Caputo, Piergallini.

[19] Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, cui è stata data attuazione in Italia mediante il decreto legislativo 14 luglio 2020, n. 75.

[20] Trib. Bolzano, sez. pen., 11 novembre 2024, Pres. Tappeiner, giud. Dorfmann e Secchi.

[21] Trib.  Modena, sez. pen., 12 novembre 2024, Pres. Russo, giud. Pianezzi e De Padua.

[22] Cass., sez. VI, 11 aprile 2024, dep. 29 maggio 2024, n. 21104, Sparaco, rv.  286380; Cass., sez. VI, 24 maggio 2023, dep. 25 luglio 2023, n. 32319, Bocchiotti, rv.  284945, con nota di G. L. Gatta, La Cassazione sui concorsi universitari truccati: no alla turbativa d'asta, sì al (moribondo) abuso d'ufficio, in Sist. pen., fasc. 7-8 2023, 161 ss.; Cass. sez. VI, 24 maggio 2023, dep. 18 settembre 2023, n. 38127, Bastardi, rv.  285274, con nota di V. Maiello, Turbata libertà degli incanti, concorsi pubblici e divieto di analogia in malam partem, in Giur. It., marzo 2024, 696 ss.; Cass., sez. VI, 10 maggio 2023, dep. 16 giugno 2023, n. 26225, Minei, rv.  285528, con nota di R. Borsari, Abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti tra diritto vivente e prospettive di riforma, in Giur. It., dicembre 2023, 2717 ss., I. Fina, Concorsi pubblici “turbati”: il divieto di analogia in malam partem impedisce la configurabilità del delitto di turbativa d’asta, in Dir. Pen. Proc., fasc. 1/2024, 57 ss. e G. L. Gatta, Concorsi pubblici “turbati”: per la Cassazione è configurabile l'abuso d'ufficio ma non la turbativa d'asta: un esemplare caso di vuoto di tutela che si prospetta con l'abrogazione dell'art. 323 c.p., in questa Rivista., fasc. 6/2023, 205 ss.