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22 Luglio 2022


La scelta illegittima dell’affidamento diretto in luogo della gara non integra il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente di cui all’art. 353-bis c.p.

Cass. Pen., sez. 6, 28 ottobre 2021 (dep. 16 febbraio 2022), n. 5536, pres. Fidelbo, est. Silvestri



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1. Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione affronta il tema della configurabilità del delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.) nel caso in cui la condotta perturbatrice non sia volta a incidere su una procedura selettiva di scelta del contraente, ma intervenga ‘a monte’ e sia volta a evitare la gara, come nel caso in cui l’amministrazione scelga – illegittimamente – la via dell’affidamento diretto, in luogo della pubblicazione di una bando di gara. La questione attiene, tra l’altro, all’interpretazione della locuzione, contenuta nell’art. 353-bis c.p., “o di altro atto equipollente” e chiama in causa il tema dell’analogia in malam partem, vietata in materia penale: ci si chiede, in particolare, se la determinazione con cui l’amministrazione decide – illegittimamente – di non indire la gara, optando per l’affidamento diretto, possa essere qualificata come “atto equipollente” al bando, ai sensi dell’art. 353-bis c.p.

 

2. Prima di ripercorrere la giurisprudenza formatasi sul punto e di analizzare la pronuncia in esame, è opportuno un breve cenno ai fatti oggetto del processo. La Corte d’Appello di Trento aveva confermato la sentenza con cui tre imputati – il dirigente dell’Agenzia Unica Emergenza presso il Dipartimento protezione della Provincia Autonoma di Trento, il dirigente dell’ente pubblico contraente e il titolare dell’impresa, controparte privata – erano stati condannati per aver turbato, al fine di condizionare la scelta del contraente, il procedimento diretto alla stipulazione del contratto riguardante la realizzazione e posa in opera di un sistema di sicurezza. Più nello specifico, gli imputati erano accusati di aver fatto ricorso a collusioni e mezzi fraudolenti consistenti: a) nella scelta, previamente concertata tra di loro, di affidare l’incarico a una determinata impresa; b) nella descrizione delle prestazioni sulla base delle indicazioni e del previo concerto con l’impresa stessa; c) nell’esclusione di forme di pubblicità o richiesta di offerta o partecipazione alla fase negoziale di altri possibili concorrenti; d) nell’artata configurazione di una situazione di urgenza, che avrebbe legittimato il ricorso all’affidamento diretto, in luogo dell’indizione di una gara, con pubblicazione del bando o comunque con richieste di offerte a più concorrenti da individuarsi secondo criteri oggettivi. La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo configurabile il delitto di cui all’art. 353-bis c.p. anche nei casi in cui la condotta perturbatrice sia finalizzata non a turbare una gara, ma a evitarla, come nel caso di specie, nel quale vi era stato un illegittimo affidamento diretto, motivato da una inesistente situazione di urgenza.

 

3. Per meglio comprendere la questione, occorre precisare che il reato in esame è stato introdotto con l’art. 10 della l. 13 agosto 2010, n. 136 per colmare un vuoto di tutela derivante dell’interpretazione della fattispecie di cui all’art. 353 c.p., in virtù della quale veniva esclusa la configurabilità del reato – anche nella forma tentata – nei casi in cui alla realizzazione di una delle condotte punite non faccia seguito la pubblicazione del bando di gara e quindi il formale avvio della procedura selettiva[1]: l’obiettivo, quindi, era quello di “sterilizzare le condotte finalizzate a turbare le fasi preliminari di una gara”, anticipando la tutela al momento precedete alla sua indizione formale, al fine di “prevenire la preparazione e l’approvazione di bandi personalizzati e calibrati proprio sulle caratteristiche di determinati operatori, ed a preservare il principio di libertà di concorrenza e la salvaguardia degli interessi della pubblica amministrazione”. Queste condotte, infatti, non erano ricomprese nell’art. 353 c.p., che incrimina l’impedimento o la turbativa di una gara già avviata.

 

L’art. 353-bis c.p. è configurato come norma sussidiaria che punisce – salvo che il fatto costituisca più grave reato – chiunque, con le stesse modalità delineate dall’art. 353 c.p., “turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente” al fine di condizionare le modalità della scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione. Come anticipato, la soluzione della questione esaminata nella sentenza in commento ruota attorno all’interpretazione della locuzione “atto equipollente” al bando: si tratta di capire quali siano le tipologie di procedimenti amministrativi nel cui ambito possa configurarsi il reato in esame.  

 

4. Prima di affrontare la specifica questione, è opportuno ripercorrere la giurisprudenza formatasi in materia di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.) e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353-bis c.p.), in relazione alle condizioni richieste per la sussistenza del reato.

 

Secondo un primo orientamento[2] formatosi in seno alla sesta sezione della Corte di Cassazione, fondato su un’interpretazione qualificata come “estensiva”, il reato di cui all’art. 353-bis c.p. sarebbe integrato anche in caso di ricorso all’affidamento diretto per eludere l’indizione della gara. A tale conclusione si perviene mediante un’interpretazione ampia dell’espressione “altro atto equipollente”, ricomprendente ogni atto che abbia l’effetto di avviare la procedura di scelta del contraente, conformemente a quanto recita la rubrica dell’art. 353-bis c.p., che fa riferimento, in generale, al “procedimento di scelta del contraente”. Secondo questa interpretazione, quindi, rileverebbe anche la deliberazione a contrarre, qualora la stessa, a causa dell’illecita turbativa, escluda l’espletamento di una gara e preveda l’affidamento diretto a un determinato soggetto economico, in violazione della normativa vigente.

 

4.1. Ad avviso di un’opposta tesi, a cui aderisce la sesta sezione nella sentenza in esame, le condotte volte a evitare la pubblicazione del bando e a procedere illegittimamente all’affidamento diretto non sono punibili ai sensi dell’art. 353-bis c.p.

 

La Corte, individuata la ratio della norma nell’anticipazione della tutela, evidenzia come la disposizione sia volta a punire “contegni orientati a favorire taluno degli interessati alla commessa a scapito di altri e, più esattamente, a conculcare la parità tra i concorrenti e la libera dialettica economica, ponendosi, dunque, al servizio della libertà di concorrenza intesa quale bene funzionale ad assicurare ai pubblici poteri l’individuazione del migliore offerente”. Già nell’individuazione del bene giuridico, si nota come la S.C. focalizzi l’attenzione sul profilo della concorrenza, tipico delle gare ed escluso nel caso di affidamento diretto, che rappresenta l’esatto contrario rispetto a una procedura concorrenziale. Inoltre, i Giudici di legittimità, ricordano come non sia necessario, ai fini della consumazione, la realizzazione del fine – cioè che il contenuto del bando, o di un atto ad esso equipollente, venga effettivamente inquinato in modo tale da condizionare la scelta del contraente –, essendo sufficiente che sia messa in pericolo la correttezza della procedura amministrativa volta a stabilire il contenuto del bando: in ciò consiste il suo turbamento[3]. La norma punisce le condotte realizzate quando l’ente pubblico “abbia in essere un procedimento amministrativo che dimostri la volontà di contrarre, che cioè vi sia una procedura amministrativa finalizzata alla gara, alla predisposizione di un bando o di un atto ad esso equipollente”.

 

Fatte queste osservazioni preliminari, la Corte rileva – richiamando la giurisprudenza precedente – che la pubblica amministrazione pur procedendo alla scelta del contraente mediante trattativa privata – che tipicamente non implica alcun confronto tra più offerte – può derogare al modello normale di affidamento diretto, introducendo nel procedimento “segmenti concorrenziali”, almeno in relazione ai momenti iniziali del procedimento, in modo da far si che vi sia una seppur informale fase esplorativa di preselezione competitiva delle imprese con cui contrattare. In questi casi, la giurisprudenza[4], in relazione alla fattispecie di cui all’art. 353 c.p., aveva ammesso – sulla base di un’interpretazione estensiva – la configurabilità del reato, escludendola, invece, nell’ipotesi di contratti conclusi a mezzo di trattativa privata svincolata a qualsivoglia schema concorsuale, anche informale, come accade quanto i singoli potenziali contraenti presentano ciascuno le proprie offerte e l’amministrazione resta libera di scegliere con chi stipulare, secondo criteri di convenienza e di opportunità, tipici della contrattazione tra privati.

 

Tale principio è poi stato applicato anche al reato di cui all’art. 353-bis c.p., precisando – e questo sembra essere il discrimine tra procedimenti amministrativi nell’ambito dei quali può configurarsi il reato in esame e quelli in cui va escluso – che ciò che connota una procedura anche informalmente competitiva è la “previa indicazione e pubblicizzazione dei criteri di selezione e di presentazione delle offerte”, non essendo sufficiente la semplice “comparazione dei ‘curricula’ di soggetti in possesso di competenze coerenti con l’oggetto dell’incarico” [5]. In sostanza: ciò che conta, ai fini dell’integrazione del reato, è il ricorso a istituti competitivi pregiudiziali alla formazione di un contratto con la pubblica amministrazione, che comportino – per legge o per volontà della stazione appaltante – la predisposizione di regole predeterminate alle quali tanto i privati, quanto il soggetto pubblico, devono adeguarsi, anche se tali regole sono meno stringenti di quelle previste per i contratti pubblici e le licitazioni private. L’elemento chiave è l’esistenza di una qualche forma di concorrenza.

 

5. La giurisprudenza citata si è formata in relazione a casi di condotte poste in essere nell’ambito di un procedimento di affidamento diretto legittimo[6]. Cosa accade – ed è questa la questione, già anticipata, affrontata dalla sentenza in commento – se l’affidamento diretto è illegittimamente disposto per effetto di una condotta perturbatrice volta a impedire la pubblicazione del bando?

 

La Corte prende le mosse dal dato letterale, rilevando che, a differenza dell’art. 353 c.p., l’art. 353-bis c.p. non prevede due eventi naturalistici alternativi – l’impedimento o il turbamento della gara –, ma unicamente il turbamento del procedimento amministrativo diretto alla formazione del contenuto del bando o di un atto equipollente. La condotta deve essere volta a inquinare il contenuto di un atto – il bando o altro atto equipollente – che ha la funzione di dettare i requisiti, le modalità di partecipazione alla selezione del contraente e i criteri di selezione del vincitore, nell’ambito di una comparazione valutativa tra più soggetti: la condotta deve, quindi, riguardare il procedimento amministrativo funzionale allo svolgimento di una gara, anche nel senso informale richiamato dalla stessa Cassazione nelle premesse. Il turbamento del procedimento amministrativo, quindi, evidenzia la Corte, “si manifesta con il disturbo, l’alterazione, il condizionamento, lo sviamento del normale iter di questo in ragione della finalità di inquinamento del futuro contenuto del bando o di un atto a questo equipollente; uno sviamento volto a strumentalizzare la fissazione delle regole di partecipazione per condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione”. Così configurata la condotta, risulta chiaro che il turbamento, per rilevare ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 353-bis c.p., deve inserirsi in un procedimento amministrativo che contempli una procedura selettiva, tramite la pubblicazione di un bando o di un atto che assolva la stessa funzione, cioè la fissazione delle regole della procedura e dei criteri per la scelta del contraente, nell’ambito dei diversi concorrenti. Una diversa interpretazione, che estenda l’ambito di applicazione della norma oltre il tenore letterale – ricomprendendovi condotte finalizzate a evitare la gara mediante un illegittimo affidamento diretto – integrerebbe quell’analogia in malam partem vietata in materia penale.

 

In definitiva quindi, la Corte conclude nel senso della configurabilità del reato in esame, in caso di affidamento diretto, unicamente quando, al di là del nomen juris, la trattativa privata preveda, seppure informalmente, un “segmento valutativo concorrenziale”, realizzando ciò che nella sostanza è assimilabile a una gara. Al contrario, il reato non è integrato quando la trattativa privata è svincolata da ogni schema concorsuale e quanto la decisione di procedere all’affidamento diretto è essa stessa il risultato di condotte perturbatrici volte a evitare la gara.

 

6. In chiusura, senza pretesa di completezza, ci paiono opportune alcune brevi considerazioni sulla pronuncia in esame, che prendono le mosse dal rilievo, svolto dalla Corte nella sentenza in esame, sulla scorta di quanto evidenziato dalla Corte costituzionale[7], secondo cui il tenore letterale della norma incriminatrice rappresenta il limite esterno dell’interpretazione. Lo impone il principio di legalità – e in particolare il divieto di analogia in malam partem – che impedisce di applicare la norma a situazioni non riconducibili ad alcuno dei significati letterali delle espressioni utilizzate dal legislatore. La violazione di questo principio minerebbe la separazione dei poteri e finirebbe per ostacolare la necessaria prevedibilità, per il cittadino, delle conseguenze penali delle proprie azioni.

 

Pertanto, è dal tenore letterale dell’art. 353-bis c.p. che occorre partire – come ha fatto la Corte di Cassazione – ponendo l’accento su due aspetti: a) il significato di “atto equipollente” in rapporto alla natura e alla funzione del bando, elementi chiave per individuare i procedimenti amministrativi oggetto della condotta incriminata; b) il significato di turbativa, unica condotta punita dalla norma, che non sanziona, a differenza dell’art. 353 c.p., l’impedimento della gara.

 

La parola “equipollente”, nel suo significato comune, è un aggettivo che si utilizza per fare riferimento a una cosa che, pur non essendo identica a un’altra, “sotto un certo riguardo, ha uguale valore ed efficacia”[8]. Tornando alla formulazione dell’art. 353-bis c.p. e muovendo dal significato letterale del termine equipollente, quindi, per comprendere quali atti siano ricompresi nell’ambito di applicazione della fattispecie di cui all’art. 353-bis c.p. – e quindi le condotte che turbano il procedimento amministrativo diretto a stabilire il loro contenuto –, bisognerebbe fare riferimento a tutti quegli atti che, pur diversi dal bando, hanno medesimo valore ed efficacia. Se si considera che il bando è quell’atto finalizzato a delineare le regole della gara – vincolanti per i partecipanti e per l’amministrazione stessa – e i criteri di scelta del contraente, ci pare condivisibile la decisione della Corte nella parte in cui include nel reato in esame quegli atti con cui l’amministrazione, anche informalmente, prevede una forma di concorrenza, con predeterminazione dei criteri sulla base dei quali individuerà i contraenti, che partecipano alla procedura secondo istituti competitivi. A nostro avviso, nel novero di tali atti non rientra la determina a contrarre – con la quale l’amministrazione sceglie la via dell’affidamento diretto –, che ha natura, funzione ed effetti diversi rispetto al bando, trattandosi di un atto amministrativo di natura programmatica e a rilevanza esclusivamente interna, di regola inidonea a produrre effetti verso terzi. Ciò porta a escludere dalla rilevanza ex art. 353-bis c.p., la condotta di chi turba il procedimento volto alla formazione della determina a contrarre, con conseguente illegittima scelta dell’affidamento diretto in luogo della gara: si tratterebbe, al più, di una condotta di impedimento dell’indizione di una gara, mediante, nella sostanza, l’impedimento della formazione e della pubblicazione di un bando. La condotta di impedimento, tuttavia, come sottolineato dalla Cassazione, non rientra tra quelle punite dall’art. 353-bis c.p.

 

7. Da ultimo, ci limitiamo ad accennare ad una possibile – ma in concreto problematica – riconducibilità ad un’altra norma incriminatrice – quella che punisce l’abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) – della condotta di impedimento della gara mediante la scelta illegittima di procedere all’affidamento diretto. Anche se, soprattutto in seguito alle recenti riforme, risulta particolarmente arduo configurare tale reato, che richiede, non solo l’intenzione di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o di arrecare ad altri un danno ingiusto, ma anche una condotta violativa di “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”. In tal modo, sembra difficile ipotizzare l’abuso d’ufficio in tutti i casi in cui l’amministrazione gode di discrezionalità nella scelta tra la gara e l’affidamento diretto e la esercita illegittimamente perché, ad esempio, effettua la scelta non nell’interesse pubblico, ma per realizzare interessi privati.

 

 

 

[1] Cass., sez. 5, 13 aprile 2021, n. 26556, Giamorgante, in CED 281470.

[2] Cass., sez. 6, 16 febbraio 2017, n. 13431, CED 269384; Cass., sez. 6, 2 dicembre 2014, n. 1, CED 262917; Cass., sez. 6, 23 ottobre 2012, n. 43800, in CED, non massimata; Cass., sez. 6, 22 ottobre 2019, n. 1016, in CED, non massimata; Cass., sez. 6, 13 febbraio 2019, n. 10016, in CED, non massimata; Cass., sez. 6, 13 febbraio 2019, n. 10111, in CED, non massimata.

[3] Cass., sez. 6, 5 aprile 2018, n. 29267 CED 273449.

[4] Cass., sez. 6, 30 settembre 1990, n. 12238, in CED 213033; Cass. sez. 6, 22 settembre 2004, n. 44829, in CED 230522; Cass. sez. 6, 28 gennaio 2008, n. 13124, in CED 239314; Cass., sez. 6, 24 maggio 2011, n. 29581, in CED 250732.

[5] Cass., sez. 6, 5 novembre 2020, n. 6603, CED 280836.

[6] Si veda, ad esempio, Cass., sez. 6, 6.12.2018, n. 57000, in CED, non massimata.

[7] C. Cost., 14 maggio 2021, n. 98.

[8] In questi termini il vocabolario Treccani on line