Cass., Sez. VI, sent. 9 dicembre 2020 (dep. 8 gennaio 2021), n. 442, Pres. Fidelbo, Rel. Giorgi, imp. Garau
1. Con la sentenza che può leggersi in allegato[1], la Corte di cassazione riconosce che, a seguito della riforma dell'abuso d'ufficio realizzata nel 2020 con il c.d. «decreto-semplificazioni», la condotta posta in essere dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio in violazione di norme attributive di un potere discrezionale non è più prevista dalla legge come reato. A latere del riconoscimento dell'intervenuta abolitio criminis parziale – su cui concorda la dottrina maggioritaria – la Corte affronta altre due questioni, non destinate a produrre effetti sulla decisione, e tuttavia di grande interesse: 1) con la prima, la Cassazione formula una distinzione tra violazione dei limiti interni (cattivo bilanciamento degli interessi in gioco) e violazione dei limiti esterni (distorsione del potere pubblico rispetto al perseguimento degli scopi per i quali è attribuito) della discrezionalità amministrativa, affermando che solo la prima è oggi penalmente irrilevante; 2) con la seconda, la Corte afferma l'irrilevanza della violazione interposta di norme di legge: non integrerebbe abuso d'ufficio l'emanazione di un provvedimento in contrasto con un atto amministrativo generale richiamato da una «norma di legge» di cui all'art. 323 c.p.
2. Questi i fatti. Tizio, Commissario straordinario e Direttore generale dell'Azienda Ospedaliera Alfa, aveva dequalificato il Servizio Prevenzione e Protezione da struttura complessa a struttura semplice, così demansionando il suo Direttore e cagionandogli un danno consistente non solo nella perdita della indennità di posizione, ma altresì nella sottoposizione gerarchica al dirigente del Servizio Tecnico. La Corte d'Appello condivideva la condanna emessa in primo grado a titolo di abuso d'ufficio, ravvisando il dolo intenzionale di causare a terzi un danno ingiusto in alcuni indici sintomatici, e in particolare nell'assenza di una seria e urgente finalità riorganizzativa dell'azienda, nella mancata adozione di un atto formale (c.d. atto aziendale) e nell'indisponibilità a incontrarsi con la presunta vittima per chiarimenti. La difesa dell'imputato, oltre a far valere l'intervenuta prescrizione, contestava la sussistenza di una «violazione di legge», in quanto la qualificazione dell'Azienda come struttura complessa si era consolidata in via di fatto da molti anni, ma non era mai stata sancita con un atto formale; di conseguenza, escludeva che fosse configurabile un danno ingiusto per il demansionato, il quale non aveva alcun diritto di ricoprire la carica che solo per consuetudine aveva assunto.
3. La Cassazione, pur rilevando l'intervenuta prescrizione, non si esime dal valutare se la condotta contestata conservi rilevanza penale anche a seguito della riforma realizzata con il c.d. «decreto-semplificazioni» (d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. in legge 11 settembre 2020, n. 120), che ha modificato il testo dell'art. 323 c.p. sostituendo le parole «norme di legge o di regolamento» con quelle di «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».
4. Preliminarmente, la Corte, accogliendo l'opinione prevalente in dottrina[2], riconosce che la riforma ha realizzato un'abolitio criminis con riferimento a tre tipi di condotte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio: 1) quelle poste in essere in violazione di regolamenti; 2) quelle compiute in violazione di norme di principio 3) quelle realizzate nell'ambito di un'attività connotata da margini di discrezionalità (anche tecnica), che si risolvano, quindi, in una errata ponderazione degli interessi pubblici e privati in gioco. Il pubblico ufficiale che abbia posto in essere una delle condotte sopra descritte andrà assolto perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato (art. 2, c. 2 c.p.).
5. Venendo al caso di specie, la Corte riconosce che la scelta dell'imputato di dequalificare il Servizio Prevenzione e Protezione da struttura complessa a struttura semplice – così demansionando il suo Direttore – costituiva esercizio del potere discrezionale, allo stesso riconosciuto, di riorganizzare l'assetto dell'Azienda ospedaliera, e rispondeva all'interesse pubblico a sanare una situazione consolidatasi nel tempo ma viziata da illegittimità, in quanto mai sancita formalmente. L'esito del bilanciamento degli interessi pubblici e privati coinvolti dall'adozione di un provvedimento amministrativo è ormai insindacabile per il giudice penale, a cui risulta preclusa ogni valutazione circa il buono o il cattivo esercizio della discrezionalità amministrativa. La Corte annulla quindi senza rinvio la sentenza impugnata, affermando che il comportamento posto in essere dall'imputato, non essendosi risolto nella violazione di una specifica regola di condotta dalla quale non residuassero margini di discrezionalità, non è più previsto dalla legge come reato.
6. Come premesso, la Corte formula poi due osservazioni improduttive di effetti rispetto alla decisione, e tuttavia suscettibili di destare non poche perplessità. Con il primo obiter dictum, la Cassazione pone una distinzione tra la violazione dei limiti interni nell'esercizio della discrezionalità amministrativa – che consiste in una cattiva ponderazione tra gli interessi pubblici e privati in gioco – e la violazione dei limiti esterni della discrezionalità (c.d. sviamento di potere) che si sostanzia in una vera e propria distorsione del potere pubblico, piegato al perseguimento di interessi oggettivamente difformi e collidenti rispetto a quelli per i quali è attribuito, affermando come solo la prima risulti oggi penalmente irrilevante.
7. La seconda questione incidentale riguarda la possibile rilevanza penale della violazione "mediata" di norme di legge secondo lo schema della c.d. eterointegrazione. La Corte esclude che integri abuso d'ufficio la condotta contraria a norme di fonte subprimaria (un esempio classico è il Piano Regolatore) che siano presupposto per l'applicazione di una «norma di legge» (per esempio, il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – d.P.R. 380/2001), a sua volta richiamata dall'art. 323 c.p.
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8. Qualche breve considerazione. La questione principale affrontata dalla Corte non solleva incertezze: come già notato, la Cassazione, nel ritenere che la riforma del luglio 2020 abbia realizzato un'abolizione parziale del reato di abuso d'ufficio, è in linea con la dottrina maggioritaria; la soluzione della questione concreta all'esame, poi, è perfettamente coerente con le argomentazioni sviluppate.
9. Perplessità sollevano invece gli obiter dicta. Quanto al primo, la Corte, come pronosticato dai primi commentatori della riforma[3], ha ripreso la distinzione tra eccesso di potere c.d. intrinseco – che consiste nel «cattivo uso del potere discrezionale»[4]: il pubblico ufficiale, pur avendo scelto una delle possibili opzioni che la norma attributiva del potere discrezionale gli consentiva, ha ottenuto un risultato non conforme agli interessi della Pubblica Amministrazione[5] – ed eccesso di potere c.d. estrinseco – che invece si sostanzia in un uso distorto del potere, esercitato al di fuori dei presupposti di attribuzione e piegato a scopi estranei al modello legale[6] – per affermare che solo il primo risulta oggi escluso dall'area dell'illecito penale. V'è da osservare, però, che la riforma, nel ridurre l'area dell'illiceità penale alla violazione di quelle norme «dalle quali non residuino margini di discrezionalità» ha inteso circoscrivere l'abuso penalmente rilevante alla violazione di un dovere vincolato nell'an, nel quid e nel quomodo dell'attività[7], di conseguenza sancendo l'irrilevanza del c.d. sviamento di potere, che consiste proprio in un utilizzo distorto della discrezionalità[8]. Tale conclusione è peraltro confortata dalla sbandierata intentio legis – che, come è noto, era quella di rassicurare il pubblico funzionario, garantendogli di operare in uno spazio libero dal sindacato della magistratura – la quale costituisce, almeno per le leggi di recente introduzione, criterio interpretativo di primo piano[9]. Il giudice penale si trova così stretto nella morsa di un testo legislativo di tenore – a noi pare – inequivocabile nell'escludere ogni spazio al sindacato della magistratura sull'esercizio della discrezionalità amministrativa; e che, tuttavia, se interpretato alla lettera, rischierebbe di produrre risultati ingiusti e paradossali, perché costringerebbe a rivolgere lo sguardo alle violazioni più insignificanti, quelle che ineriscono all'attività amministrativa meramente esecutiva, lasciando, invece, impuniti gravi episodi di distorsione del potere pubblico per fini odiosi (in primis, ritorsivi)[10]. Addirittura, nel dibattito intorno alla riforma non è parso peregrino ravvisare una frizione tra il nuovo art. 323 e il principio di eguaglianza (3 Cost.), per la sperequazione sopra esposta, e inoltre perché si finirebbe per consegnare al pubblico funzionario un potere uti domino sulla cosa pubblica, ben più ampio di quello riconosciuto al privato nell'esercizio dei propri diritti individuali. Si tratterebbe, in ogni caso, di una questione che difficilmente potrebbe essere accolta dalla Corte costituzionale, in quanto produttiva di effetti in malam partem.
11. Quanto all'irrilevanza penale della violazione di norme di fonte subprimaria, ancorché richiamate dalla legge – recisamente affermata dalla Corte nel secondo obiter – la questione aveva invero suscitato un vivace dibattito già sotto la vigenza della vecchia versione dell'art. 323 c.p. Una parte della giurisprudenza e della dottrina riteneva che la «norma di legge» richiamata dall'art. 323 c.p. contribuisse ad integrarne il precetto, e che, quindi, dovesse condividere i canoni di tipicità e tassatività propri delle norme penali[11]; di conseguenza, che le norme di legge richiamate dall'art. 323 c.p. facessero a loro volta rinvio a fonti subordinate era ritenuto in contrasto con i principi di riserva di legge e di precisione[12]. Altra parte della dottrina[13] riteneva invece ammissibile l'impiego dello schema della eterointegrazione, sostenendo che le «norme di legge» rappresentano semplici elementi normativi della fattispecie, non contribuendo in alcun modo a descriverne il precetto; di conseguenza, nessuna violazione sarebbe riscontrabile in punto di legalità, mentre, quanto alla precisione, il problema sarebbe stato risolto semplicemente escludendo che potesse assumere rilievo la violazione di norme meramente procedimentali, generalissime o di principio. La condotta doverosa del p.u. – si riteneva – era pienamente descritta dalle «norme di legge» (elemento normativo della fattispecie), essendo il provvedimento emanato in contrasto con l'atto amministrativo generale un semplice presupposto di fatto per la sua applicazione. La questione si ripropone, invariata, anche dopo la riforma, in quanto il legislatore, pur avendo espunto dalla norma sull'abuso d'ufficio il riferimento alla violazione dei regolamenti, non si è preoccupato di sterilizzare il rischio di rinvii a catena innescati dall'elemento normativo «in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge»[14]. La pronuncia qui in commento pare, in effetti, già porsi in contrasto con altre due sentenze successive al luglio 2020, con le quali la Corte si era espressa in favore dell'opzione estensiva, ovvero quella che riconosce un abuso d'ufficio nella violazione di atti amministrativi generali richiamati da norme di rango primario[15].
[1] Sulla quale v. anche B. Romano, Il "nuovo" abuso d'ufficio e l'abolitio criminis parziale, in Penale. Diritto e Procedura, 19 gennaio 2021 e A. Alberico, Le vecchie insidie del nuovo abuso d'ufficio, in questa Rivista, fasc. 4/2021, p. 5 ss.
[2] Cfr., tra gli altri, B. Ballini, Note minime sulla riformata fattispecie di abuso d'ufficio, in disCrimen.it, 10 agosto 2020; G.L. Gatta, La riforma del 2020, M. Gambardella, Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale e T. Padovani, Una riforma imperfetta, tutti in B. Romano (a cura di), Il "nuovo" abuso d'ufficio, Pacini Editore, Pisa, 2021; M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile, in questa Rivista, fasc. 7/2020, p. 133 ss.; G.L. Gatta, La riforma del 2020, in B. Romano (a cura di), Il "nuovo" abuso d'ufficio, Pacini Editore, Pisa, 2021, p. 73 ss.; G.L. Gatta, Da "spazza-corrotti" a "basta paura": il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell'abuso d'ufficio, approvata dal governo "salvo intese" (e la riserva di legge?), in questa Rivista, 17 luglio 2020; G.L. Gatta, Riforma dell’abuso d’ufficio: note metodologiche per l’accertamento della parziale abolitio criminis, in questa Rivista, 2 dicembre 2020; G. Insolera, Quod non fecerunt Barberini fecerunt Barbari. A proposito dell'art. 23 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, in disCrimen.it, 31 luglio 2020; A. Nisco, La riforma dell'abuso d'ufficio: un dilemma legislativo insoluto ma non insolubile, in questa Rivista, 20 novembre 2020; T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, fasc. 7-8.
[3] V. Valentini, Burocrazia difensiva e restyling dell'abuso d'ufficio, in La giustizia penale, II, p. 502 ss
[4] M. Gambardella, Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale nel delitto di abuso d'ufficio, in Cass. pen., fasc. 7/8, 2013, p. 2860 ss.
[5] N. Pisani, Abuso d'ufficio, in Manuale di Diritto Penale, PtS, Delitti contro la Pubblica Amministrazione, S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone (a cura di), il Mulino, 2015; F. Palazzo, Il giudice penale tra esigenze di tutela sociale e dinamica dei poteri pubblici, in Cass. pen., fasc. 5, 2012, p. 1617 ss. parla di una non corretta ponderazione degli interessi pubblici in gioco.
[6] N. Pisani, Abuso d'ufficio, in Manuale di Diritto Penale, PtS, Delitti contro la Pubblica Amministrazione, S. Canestrari, L. Cornacchia, G. De Simone (a cura di), il Mulino, 2015.
[7] T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giurisprudenza Penale Web, fasc. 7/8, 2020.
[8] M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell'abuso d'ufficio, in questa Rivista, fasc. 7/2020.
[9] M. Romano, Sub. art. 323 c.p., in I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Giuffé, 2019.
[10] Si veda, per tutti, T. Padovani, Una riforma imperfetta, in B. Romano (a cura di), Il "nuovo" abuso d'ufficio, Pacini Editore, Pisa, 2021.
[11] C. Cupelli, Abuso d'ufficio e tipologia delle fonti: sulla rilevanza penale della violazione di un «sistema di norme», in Cass. pen., 2001, p. 1030 ss., ad avviso del quale lo schema della eterointegrazione comporterebbe che il precetto potesse essere ricavato solo da un insieme di norme, di cui non si potrebbe pretendere che il pubblico ufficiale avesse piena contezza.
[12] C. Cupelli, L’abuso d’ufficio, in B. Romano, A. Marandola (a cura di), Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 2020.
[13] Cass., sez. VI, 11.05.1999 (dep. 24.06.1999), n. 8194, con nota di M. Gambardella, Abuso d'ufficio e concessione edilizia illegittima: il problema delle norme di legge a precetto generico o incompleto, in Cass. pen., 2000, p. 353 ss.
[14] N. Pisani, La riforma dell'abuso d'ufficio nell'era della semplificazione, in Diritto penale e processo, fasc. 1/2021, p. 9 ss. e V. Valentini, Burocrazia difensiva e restyling dell'abuso d'ufficio, in La giustizia penale, II, p. 502 ss. Ritengono invece che la riformulazione della norma non lasci spazio alla violazione mediata di legge, in quanto la regola violata non sarebbe «espressamente» prevista dalla legge, bensì desunta da una fonte subordinata B. Ballini, Note minime sulla riformata fattispecie di abuso d'ufficio, cit., e A. Nisco, La riforma dell'abuso d'ufficio: un dilemma legislativo insoluto ma non insolubile, cit.
[15] Cass., sez. VI, 17 settembre 2020 (dep. 12 novembre 2020), n. 31873, di cui dà conto G.L. Gatta, Riforma dell'abuso d'ufficio: note metodologiche per l'accertamento della parziale abolitio criminis, cit., e Cass., sez. III, 8 settembre 2020 (dep. 28 settembre 2020), n. 26834. In senso critico rispetto a queste prime pronunce cfr. A. Merlo, Lo scudo di cristallo: la riforma dell'abuso d'ufficio e la riemergente tentazione "neutralizzatrice" della giurisprudenza, in questa Rivista, 1 marzo 2021.