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19 Marzo 2024


La Corte dei conti solleva una questione di legittimità costituzionale relativa al c.d. “scudo erariale”: la Consulta chiamata di nuovo a pronunciarsi sul “Decreto semplificazioni”

Corte dei conti, sez. giur. reg. Campania, ord. 16 novembre 2023 (dep. 18 dicembre 2023), n. 228, Pres. Oricchio, Est. Corrado



*Contributo pubblicato nel fascicolo 3/2024. 

 

1. Con il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. in l. 11 settembre 2020, n. 120 (noto come «decreto-semplificazioni»), il legislatore ha limitato la responsabilità penale ed erariale dei funzionari pubblici, per combattere l’inerzia nell’attività amministrativa e favorire così la ripresa del Paese dopo la pandemia da Covid-19. In particolare, con riguardo alla responsabilità penale, il legislatore ha ristretto l’ambito applicativo della fattispecie di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), escludendo la rilevanza delle condotte tenute in violazione di regolamenti, di norme di principio e di norme non vincolanti (art. 23 del “decreto semplificazioni”). Sul versante contabile, il d.l. n. 76/2020 ha introdotto il c.d. scudo erariale, al fine di schermare, limitatamente al periodo di emergenza, la responsabilità dei dipendenti e degli amministratori pubblici per i danni cagionati alla Pubblica Amministrazione a seguito di condotte attive connotate da colpa grave. L’esclusione dalla responsabilità contabile non ha riguardato, invece, i comportamenti consistenti in inerzie od omissioni (art. 21 del “decreto semplificazioni”). Sempre nell’ambito dello stesso intervento legislativo, si è messo mano, altresì, all’art. 1 l. n. 14 gennaio 1994, n. 20 (recante Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), stabilendo che “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso”, aderendo così a quell’orientamento giurisprudenziale che accomuna il dolo erariale al dolo penale, anziché al dolo contrattuale (per il quale sarebbe sufficiente la volontaria trasgressione dei doveri d’ufficio)[1].

Numerose voci provenienti dalla magistratura e dalla dottrina hanno denunciato fin da subito l’inopportunità politico-criminale della scelta di mandare esenti da responsabilità penale forme gravi di abuso della pubblica funzione, magari annidate tra le maglie della discrezionalità tecnica, politica o amministrativa[2]. Parimenti, si è sottolineato come l’incoraggiamento a fare, magari superficialmente e maldestramente, piuttosto che a non fare, rischiando di risponderne, sia suscettibile di dar luogo a conseguenze negative per il buon andamento e la legalità dell’azione amministrativa[3]. D’altra parte, le modifiche penalistiche introdotte con il d.l. Semplificazioni hanno già avuto modo di essere sottoposte al vaglio della Consulta. Con ordinanza del 6 novembre 2020, il Tribunale di Catanzaro ha infatti sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 del “decreto semplificazioni”, argomentando – per quanto qui di interesse – che l’abolitio criminis parziale dell’abuso d’ufficio compromette il buon andamento della P.A. (in quanto lascia impunite gravi forme di strumentalizzazione della funzione), nonché il principio di eguaglianza (per l’indebita equiparazione degli amministratori pubblici che gestiscono il patrimonio collettivo ai privati che dispongono dei propri beni). La Corte costituzionale, con sentenza n. 8 del 25 novembre 2021 (dep. 18 gennaio 2022), ha tuttavia ritenuto inammissibile – per quanto attiene alle censure relative agli artt. 3 e 97 Cost. – la questione sottopostale, poiché una pronuncia di accoglimento, comportando la riespansione della fattispecie incriminatrice, avrebbe prodotto effetti in malam partem[4].

Con l’ordinanza di rimessione che qui commentiamo brevemente, la Corte dei conti chiede alla Consulta di tornare a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del decreto semplificazioni, stavolta nella parte che riguarda l’esclusione della responsabilità erariale per i danni cagionati da condotte attive gravemente colpose. In particolare, il rimettente censura l’art. 21 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 per violazione dei principi di buon andamento (art. 97 Cost.), responsabilità dei funzionari per i danni cagionati allo Stato nell’esercizio delle loro funzioni (art. 28 Cost.), giurisdizione della Corte dei conti sui medesimi fatti (art. 103 Cost.), efficienza (art. 97 Cost.), equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.), eguaglianza (art. 3 Cost.).

 

2. Partiamo, come di consueto, dalla ricostruzione dei fatti dai quali ha preso origine il giudizio. T., cassiere presso il Comando Legione Carabinieri Campania, è stato ritenuto responsabile dell’emissione, nel periodo compreso tra il 7 maggio 2020 e il 20 gennaio 2021, di 78 assegni non autorizzati, attraverso i quali aveva sottratto ai conti correnti della Legione quasi due milioni e mezzo di euro, poi depositati su un conto corrente personale acceso presso un ufficio postale di Napoli. La somma sottratta da T. all’ente di appartenenza, ammontante a euro 2.413.150,00, rappresentava, dunque, un danno erariale di cui il cassiere era chiamato a rispondere, a titolo di dolo, di fronte alla Corte dei conti (oltre che, come si evince dall’ordinanza, di fronte al giudice penale).

In un Ente amministrativo quale il Comando Legione Carabinieri, la compilazione degli assegni spetta al cassiere. Il Testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare (T.U.O.M.) prevede, però, che gravi sul Capo sezione gestione finanziaria (C.G.F.) e sul Capo servizio amministrativo (C.S.A.) un dovere di controllo in ordine alla regolarità contabile: questi sono tenuti a verificare che l’emissione di ogni assegno trovi giustificazione in un ordine di pagamento regolarmente formato. L’assegno, poi, deve recare la firma, oltre che del cassiere, di almeno uno tra il C.G.F. e il C.S.A. La Procura riteneva sussistente la responsabilità per colpa grave a carico di diversi soggetti succedutisi, nel periodo in cui gli assegni venivano illecitamente emessi, nelle posizioni di Capo sezione gestione finanziaria e Capo servizio amministrativo. In particolare, distinguendo tra: a) i soggetti responsabili per aver posto in essere una condotta omissiva, consistente nel mancato esercizio del controllo sulla corretta formazione e contabilizzazione di un ordine di pagamento giustificativo dell’assegno emesso dal cassiere e b) le persone che avevano apposto la firma sugli assegni ingiustificati emessi dal cassiere, realizzando, quindi, una condotta commissiva.

 

3. Il Pubblico Ministero ha rilevato come l’art. 21 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. in legge 11 settembre 2020, n. 120 (c.d. “decreto semplificazioni”) ha previsto una limitazione della responsabilità erariale per i danni cagionati dai funzionari alla P.A. alle sole condotte realizzate con dolo (di condotta e di danno), espressamente stabilendo che tale limitazione non si applica alle ipotesi in cui il danno erariale sia stato cagionato da omissione o inerzia. In altre parole, rimangono sanzionabili a titolo di responsabilità erariale le condotte attive dolose e le omissioni dolose e gravemente colpose. Si tratta del c.d. “scudo erariale”, originariamente destinato ad applicarsi ai fatti commessi dall’entrata in vigore del decreto (17 luglio 2020) fino al 31 luglio 2021, poi esteso fino al 30 giugno 2024 e, da ultimo, al 31 dicembre 2024. Tra le condotte gravemente colpose contestate ai soggetti succedutesi nelle posizioni di C.G.F. e di C.S.A., la Procura distingueva – lo ribadiamo – tra condotte attive consistenti nell’apposizione di firme sugli assegni, e condotte omissive consistenti nell’omesso controllo della regolarità contabile. Molte delle firme apposte sugli assegni erano successive al 16 luglio 2020, data di entrata in vigore del decreto semplificazioni, dovendo, quindi, essere ritenute irrilevanti sul piano della responsabilità amministrativo-contabile. Rimanevano, viceversa, sanzionabili gli autori delle medesime condotte attive realizzate prima di quella data, nonché tutti coloro che avessero posto in essere – in qualsiasi momento – comportamenti consistenti nella violazione degli obblighi di controllo (dunque, condotte omissive).

Secondo il Pubblico Ministero, l’applicazione della nuova disposizione dà luogo a una disparità di trattamento irragionevole, in quanto priva di qualsiasi valida giustificazione e incoerente rispetto alla stessa ratio che la novella legislativa intendeva perseguire (quella di velocizzazione ed efficientamento dell'attività amministrativa). Questi chiedeva, dunque, alla Corte dei conti di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 del d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. in legge 11 settembre 2020, n. 120, per contrasto con gli artt. 103, 97, 28, 81 e 3 della Costituzione. Il Collegio della Corte ha quindi accolto la richiesta.

 

4. Con l’ordinanza di rimessione in esame, la Corte dei conti illustra, in primo luogo, la disciplina della responsabilità erariale, distinguendo tra la responsabilità che il funzionario assume nei confronti della P.A. per i danni a questa direttamente causati (c.d. responsabilità erariale diretta) e l’obbligo, gravante sull’amministratore o dipendente pubblico, di rispondere di fronte all’amministrazione del danno da questa subito per aver dovuto risarcire un terzo del pregiudizio cagionatogli dal funzionario tramite la violazione dei propri obblighi di servizio (c.d. responsabilità erariale indiretta). Quanto a quest’ultima, è forse utile precisare che la legge consente al privato danneggiato dalla condotta del funzionario pubblico di rivolgersi indifferentemente a questo oppure all’amministrazione, la quale potrà in seguito, a sua volta, rivalersi sul funzionario per il risarcimento eventualmente corrisposto al privato. Tanto la responsabilità erariale diretta quanto quella indiretta trovano copertura costituzionale nell’art. 28 Cost., c. 1 Cost., che sancisce che «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti».

La responsabilità erariale diretta era originariamente disciplinata nell’art. 82, c. 1, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e nel successivo art. 18 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, che non facevano distinzioni in punto di elemento soggettivo, obbligando i funzionari a risarcire le amministrazioni di tutti i danni da queste subiti in conseguenza della violazione dei loro obblighi di servizio. La responsabilità indiretta era invece contemplata dall’art. 22 del d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, che prescriveva al dipendente o amministratore pubblico il ristoro dei danni subiti dall’amministrazione per effetto del risarcimento accordato al terzo, stabilendo tuttavia che la responsabilità del funzionario nei confronti del terzo sarebbe sorta solo in conseguenza di un’azione od omissione dolosa o gravemente colposa. Inizialmente, dunque, la legge distingueva tra responsabilità diretta e indiretta, prevedendo solo per la seconda una limitazione in ragione dell’elemento soggettivo. La situazione è mutata in seguito all’introduzione dell’art. 3, c. 1, lett. a), d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, di modifica dell’art. 1, c. 1, l. 14 gennaio 1994, n. 20, col quale il legislatore ha stabilito che anche la responsabilità diretta del funzionario nei confronti della P.A. è limitata ai fatti posti in essere con dolo o colpa grave. Su quest’ultima limitazione di responsabilità in ragione dell’elemento soggettivo si è espressa la Corte costituzionale[5], la quale ha ritenuto che la disposizione di cui alla legge del ’94 rispondesse allo scopo legittimo di «determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo (corsivi nostri)».

Su tale quadro ordinamentale si è inserito l’art. 21, c. 2, d.l. 76/2020, prevedendo che per il periodo che va dall’entrata in vigore del decreto fino al 31 dicembre 2024, la responsabilità erariale (tanto diretta quanto indiretta) sia limitata alle condotte attive realizzate con dolo e alle condotte omissive realizzate con dolo o colpa grave. È sulla compatibilità costituzionale di tale ulteriore limitazione della responsabilità con gli artt. 103, 97, 28, 81 e 3 della Costituzione che la Corte dei conti nutre alcuni dubbi, compendiati nell’ordinanza di rimessione in commento e che illustriamo, sinteticamente, di seguito.

 

5. Se bastano poche righe per motivare circa la rilevanza della questione – una pronuncia di illegittimità costituzionale che travolgesse l’art. 21 del decreto semplificazioni avrebbe, infatti, l’effetto di ripristinare la rilevanza delle condotte commissive realizzate con colpa grave a partire dal 16 luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2024 –, più articolare sono le ragioni a sostegno della non manifesta infondatezza.

 

6. In punto di violazione dell’art. 103 Cost., il rimettente ricorda innanzitutto come la limitazione della responsabilità erariale diretta dei funzionari pubblici alle sole condotte dolose o gravemente colpose, realizzata con legge n. 543/1996, sia stata ritenuta legittima dalla Consulta, la quale, con sent. n. 371/1998, ha affermato che essa dava luogo a una ripartizione del rischio derivante dall’attività amministrativa equilibrata, tale da responsabilizzare i funzionari senza tuttavia opprimerli e quindi frenarli. Un’ulteriore limitazione della responsabilità in ragione dell’elemento soggettivo è stata, viceversa, ritenuta irragionevole dalla Corte, la quale, con sent. n. 340/2021, ha dichiarato incostituzionale, per violazione dell’art. 103 Cost., una legge della provincia autonoma di Bolzano che tipizzava le ipotesi di colpa grave restringendo, di fatto, l’ambito della responsabilità colposa. Si noti fin d’ora che la legge della provincia autonoma di Bolzano aveva portata generale, limitando la responsabilità colposa di tutto il personale della provincia e degli enti provinciali. Generale risulta anche – ad avviso del giudice a quo – la portata applicativa dell’art. 21 del decreto semplificazioni. Lo “scudo” alla responsabilità per colpa grave nelle condotte commissive è stato introdotto, infatti, nel contesto pandemico, per esigenze di efficientamento dell’agire amministrativo, quest’ultimo ingolfato – a dire del legislatore – in ragione della paura della firma suscitata nei funzionari dalla responsabilità erariale. La portata applicativa dello “scudo” non è stata tuttavia limitata all’attività inerente alla gestione dell’emergenza Covid, o comunque a quella che avrebbe consentito un rilancio dell’economia: al contrario, il decreto semplificazioni si applica a tutti i funzionari, qualsiasi sia l’attività in cui essi sono impegnati. L’introduzione di uno “scudo erariale” – secondo il rimettente – è dunque irragionevole per diversi motivi: a) innanzitutto, perché ridisegna il sistema delle responsabilità, punendo la mancata attivazione di un controllo più gravemente di quanto non punisca l’illecito al cui impedimento il controllo era preordinato; b) in secundis, perché la limitazione della responsabilità non riguarda la sola attività provvedimentale ma anche quella materiale (es. la rottura di un macchinario o il danneggiamento di un’auto di servizio); c) l’esenzione riguarda quindi indistintamente la responsabilità diretta e quella indiretta, tradizionalmente assoggettate a regimi diversi (fino al 1996 – lo abbiamo visto – la responsabilità indiretta era limitata alle condotte commesse con dolo o colpa grave, mentre nessun limite in ragione della rimproverabilità soggettiva era previsto per la responsabilità diretta); d) infine, la portata applicativa generale della novella la rende altresì sproporzionata e inconferente rispetto all’obiettivo di efficientamento dell’azione amministrativa: il decreto semplificazioni realizza, infatti, una rottura del binomio potere-responsabilità in ogni ambito dell’agire amministrativo. Ne consegue, secondo il giudice a quo, una violazione dell’art. 103 Cost., in quanto il legislatore ha sottratto alla giurisdizione della Corte dei conti l’accertamento della responsabilità con riguardo a tutte le condotte attive caratterizzate da colpa grave, realizzate tra il 17 luglio 2020 e il 31 dicembre 2024.

 

7. Dai profili di irragionevolezza evidenziati dalla Corte dei conti in relazione all’art. 103 Cost. discende altresì un contrasto con i principi di buon andamento e di imparzialità della Pubblica Amministrazione (97, c. 2 Cost.). A questo proposito, il rimettente fornisce una propria definizione di buon andamento, inteso sia come legalità dell’agire amministrativo sia come efficienza e adeguatezza agli obiettivi perseguiti, affermando che l’articolo del d.l. semplificazioni oggetto di censura sarebbe irragionevole e arbitrario rispetto allo scopo di assicurare proprio il buon andamento: mandando esenti da responsabilità i funzionari la cui condotta gravemente colposa abbia cagionato un danno all’amministrazione, la norma promuoverebbe comportamenti ispirati a trascuratezza e superficialità, tanto al momento della formazione dei funzionari quanto al momento, successivo, dell’assunzione di scelte e dell’adozione di provvedimenti da parte loro. Le censure di irragionevolezza formulate dalla Corte non possono essere neutralizzate dal carattere emergenziale e straordinario della norma: in primis, perché la norma non ha affatto tale carattere, essendo destinata ad applicarsi a tutti i funzionari e per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello interessato dalla pandemia; in secondo luogo, perché la necessità di far fronte all’emergenza sanitaria avrebbe dovuto suggerire l’assunzione di scelte non frettolose bensì, al contrario, particolarmente oculate.

 

8. Dalla asserita violazione dell’art. 97, c. 2 Cost. discende, nella prospettiva del giudice a quo, anche il contrasto con ulteriori principi: si tratta, in particolare, del principio di efficienza (inteso come endiadi del buon andamento) e del principio di equilibrio di bilancio e sostenibilità del debito pubblico, sancito dal primo comma dell’art. 97, nonché dall’art. 81 della Costituzione. “Efficienza” dell’amministrazione significa regolarità e continuità della sua azione, correttezza del suo funzionamento e razionale organizzazione dei suoi uffici; la sottrazione di risorse all’amministrazione – generata dai comportamenti illeciti – non può che produrre inefficienza, che si aggrava perché l’amministrazione non ha modo, a causa dell’esclusione di ogni forma di responsabilità, di recuperare i beni di cui è stata privata. La dispersione delle risorse pubbliche o il loro utilizzo non meditato non avrebbero potuto essere giustificati nemmeno qualora lo “scudo erariale” avesse avuto un ambito applicativo limitato alle condotte volte a far fronte alle conseguenze negative della pandemia: circostanza che, ad ogni modo – come la Corte ha avuto modo di sottolineare più volte – non si verifica.

 

9. La violazione del principio di buon andamento comporta, altresì, il contrasto con l’art. 28 Cost., il quale stabilisce che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti[6]. A questo proposito, la Corte dei conti osserva che, se è consentito al legislatore perimetrare la responsabilità dei funzionari, non gli è però concesso escluderla per tutte le condotte colpose, che contribuiscono significativamente al deficit dei bilanci pubblici. Il rimettente osserva inoltre, per quanto riguarda la responsabilità erariale indiretta, che, alla luce delle modifiche legislative oggetto di censura, l’amministrazione risponderà nei confronti del privato alla luce delle normali regole civilistiche del dolo e della colpa, ma non avrà la possibilità di rivalersi sul funzionario se non nei limiti in cui la sua condotta sia stata volontaria: il che comporta un sensibile aggravio per le finanze pubbliche e deresponsabilizza fortemente i dipendenti e gli amministratori.

 

10. Il giudice a quo rileva, infine, come lo “scudo erariale” violi il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. sotto plurimi profili. a) Il primo: le medesime condotte gravemente colpose (consistite, nel caso di specie, nell’apposizione della firma sugli assegni privi di titolo giustificativo) sono foriere di responsabilità erariale se commesse prima del 16 luglio 2020, mentre non comportano alcuna conseguenza in capo ai loro autori se realizzate dopo quella data. La decisione di esimere dalla responsabilità una condotta a partire da un dato momento rientra nella discrezionalità del legislatore, ma non può essere irragionevole. Nel caso di specie, la ratio della differenziazione consisteva, nelle intenzioni del legislatore, nell’esigenza di approntare una pronta risposta all’emergenza Covid, per sopperire alle esigenze di celerità ed efficienza della P.A. manifestatesi nel periodo pandemico: sarebbe così giustificato il trattamento di maggior favore riservato a quanti si trovassero a operare in quel contesto. Tuttavia, la disposizione del decreto semplificazioni oggetto della questione qui esaminata trova applicazione nei confronti di fatti commessi ben oltre il termine della pandemia, e per motivi che nulla hanno a che vedere col superamento delle conseguenze negative da questa innescate. b) Il secondo profilo di contrasto con il principio di eguaglianza consiste nell’irragionevole diversità di trattamento tra chi abbia firmato gli assegni (condotta attiva, irrilevante dopo il 17 luglio 2020) e chi abbia omesso i controlli (condotta omissiva che rimane comunque rilevante ai fini contabili). A detta del rimettente, è infatti arbitrario trattare in modo meno severo chi commette un’irregolarità piuttosto di chi ometta i controlli volti a individuare quella irregolarità, soprattutto considerando che entrambe le condotte concorrono ugualmente a cagionare un danno alla P.A. c) Infine, l’art. 21 del decreto semplificazioni accresce il divario tra i lavoratori privati e quelli pubblici (questi ultimi, già prima del 2020 ritenuti irresponsabili per condotte solo lievemente colpose), e penalizza, di conseguenza, il datore di lavoro pubblico rispetto a quello privato.

 

***

 

11. Con il “decreto semplificazioni” il legislatore del 2020 è intervenuto, restringendola, sulla disciplina della responsabilità erariale degli amministratori e dipendenti pubblici, nonché sul delitto di abuso d’ufficio. Quanto alla responsabilità erariale, essa è stata limitata, per il periodo compreso tra il 17 luglio 2020 e il 31 dicembre 2024, alle condotte attive poste in essere con dolo, escludendo, quindi, la rilevanza delle azioni connotate da colpa, anche se grave. Il legislatore ha invece espressamente escluso dall’ambito applicativo dello scudo le condotte omissive, che conservano, quindi, rilevanza a titolo amministrativo-contabile ogniqualvolta realizzate con dolo o colpa grave. Per ciò che attiene all’art. 323 c.p., si è provveduto a una parziale abolitio criminis, escludendo la rilevanza penale delle condotte (attive e omissive) poste in essere in violazione di regolamenti, di disposizioni di principio e di norme che lascino al destinatario margini di discrezionalità. La novella perseguiva il dichiarato scopo di combattere l’inazione dei funzionari pubblici attraverso un allentamento delle responsabilità che contribuisse ad attenuare la c.d. “paura della firma”. L’obiettivo finale del legislatore era l’efficientamento della P.A., che avrebbe dovuto contribuire al rilancio dell’economia, stagnante a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia. Il legislatore ambiva quindi a promuovere il buon andamento della Pubblica Amministrazione, che interpretava come velocizzazione e sburocratizzazione, ritenendo, evidentemente, che un pubblico funzionario che esiti ad assumere decisioni per paura di incorrere in responsabilità danneggi la P.A. più di quanto non possa fare un amministratore che – sentendosi al sicuro rispetto a ogni forma di responsabilità – agisca superficialmente e incautamente, finendo per assumere decisioni errate. In altre parole, ci pare che le scelte legislative in esame sottendano un ragionamento che può essere sintetizzato nei termini che seguono: un funzionario intimorito dalla c.d. paura della firma esiterà nell’assunzione di ogni scelta che comporti un margine, anche minimo, di rischio di incorrere in responsabilità; tra le decisioni che avrà mancato di assumere, ve ne saranno senza dubbio alcune che si sarebbero rivelate utili per la P.A. Viceversa, il dipendente o amministratore pubblico che si senta al sicuro rispetto al controllo della magistratura – contabile o penale – assumerà numerose decisioni senza probabilmente soffermarsi a soppesare con cura rischi e benefici, finendo dunque per compiere alcune scelte che si riveleranno scorrette. Nell’ottica del legislatore – chiamato ad agire “in emergenza” per contrastare gli effetti nefasti della pandemia, ma da tempo consapevole dell’“effetto di congelamento”[7] prodotto sulla Pubblica Amministrazione dall’intervento pervasivo della magistratura – le mancate decisioni utili danneggerebbero la P.A più di quanto non facciano le scelte errate (nonché, per quanto riguarda l’abuso d’ufficio, gli abusi veri e propri).

 

12. In definitiva, la limitazione della responsabilità erariale alle sole condotte attive connotate da dolo e alle omissioni persegue lo scopo di garantire il buon andamento della P.A. (art. 97, c. 2 c.p.). Secondo l’opinione del rimettente, invece, l’allentamento delle responsabilità produce alcuni “effetti collaterali” non tollerabili. 1) In primis, la scelta legislativa, anziché promuovere il buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), lo comprometterebbe, perché avrebbe l’effetto di incoraggiare i funzionari ad assumere scelte affrettate e dunque (almeno in alcuni casi) errate; 2) l’incuria dei funzionari si riverbererebbe sull’integrità del patrimonio pubblico (interesse che la Corte riconduce agli artt. 97 e 81 Cost.), che verrebbe danneggiato irreversibilmente, non potendo l’amministrazione che abbia subito la lesione rivalersi sul funzionario che ne sia stato l’autore; 3) lo “scudo erariale” comporterebbe una deresponsabilizzazione dei funzionari di fronte all’amministrazione non consentita dal tenore dell’art. 28 Cost., nonché 4) una limitazione della giurisdizione della Corte dei conti in violazione dell’art. 103 Cost. Infine, l’esclusione della responsabilità erariale per le sole azioni connotate da colpa violerebbe il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto avrebbe l’effetto di sanzionare diversamente condotte di disvalore identico (attive e omissive) e di prevedere lo stesso regime per forme di responsabilità diverse (diretta e indiretta/per attività provvedimentale e materiale/per attività connessa e non connessa alla gestione delle conseguenze della pandemia); comporterebbe inoltre, una discriminazione tra lavoratori (e, di conseguenza, datori di lavoro[8]) pubblici e privati.

 

13. Se ben intendiamo, nell’ordinanza di rimessione il giudice a quo ipotizza, innanzitutto, una lesione “frontale” degli artt. 97 e 81 della Costituzione, laddove afferma che una limitazione della responsabilità amministrativa con efficacia generalizzata avrebbe l’effetto di incoraggiare i funzionari all’assunzione di scelte poco meditate, che comprometterebbero il funzionamento della P.A. e il suo equilibrio finanziario. A nostro modo di vedere, queste prime censure presuppongono una lettura del concetto di “buon andamento” della Pubblica Amministrazione diversa rispetto a quella fatta propria dal legislatore, accogliendo la quale la Consulta rischierebbe – forse – di ingerirsi nel campo delle scelte di opportunità. Come abbiamo scritto, il legislatore pandemico ha inteso il “buon andamento” in termini di decisionismo, ritenendo che agire – magari, in alcuni casi, anche incautamente – fosse in ogni caso meglio che astenersi rispetto a qualsiasi scelta (anche minimamente) rischiosa. Il legislatore non poteva non sapere che un allentamento delle responsabilità avrebbe incoraggiato alcuni funzionari all’incuria, ma ha accettato il rischio, ritenendo che la paralisi dell’attività amministrativa produca danni maggiori. Affermare che l’allentamento della responsabilità erariale non tutela bensì danneggia il buon andamento, perché incoraggia l’incuria, significa aderire a una lettura opposta, in base alla quale è meglio astenersi dall’agire ogniqualvolta si rischi di sbagliare, perché una decisione errata può danneggiare la P.A. più di tante decisioni buone che avrebbero potuto, ma non sono state assunte. Quali contenuti attribuire al “buon andamento” (legalità o, al contrario, velocizzazione) e, dunque, quali strumenti scegliere per perseguirlo, è decisione che rientra, ci sembra, nell’ambito delle scelte di opportunità riservate al legislatore[9]: la Consulta non può allora far altro che aderire alla lettura che del concetto di buon andamento fornisce il legislatore. Se la censura in ordine al principio di buon andamento non può essere accolta perché sconfina nel campo delle valutazioni di opportunità, lo stesso può dirsi per la lesione dei principi di efficienza e di equilibrio di bilancio: è innegabile che le scelte erronee si traducono in perdite in capo all’erario, ma tali “elementi negativi” nel bilancio pubblico dovrebbero – nell’ottica del legislatore – venire compensati dalle decisioni vantaggiose cui lo sgravio di responsabilità consentirebbe di addivenire.

 

14. Più pregnanti ci paiono, invece, le censure in ordine alla deresponsabilizzazione dei funzionari (art. 28 Cost.), alla limitazione della giurisdizione della Corte dei conti (art. 103 Cost.) e alla lesione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Il legislatore “sacrifica” tali beni per meglio tutelare il buon andamento della P.A. Posto che lo scudo erariale persegue lo scopo di efficientare l’amministrazione sburocratizzandola, occorre domandarsi se la lesione procurata a beni giuridici diversi ma comunque costituzionalmente tutelati sia ragionevole e proporzionata al fine di conseguire tale obiettivo.

 

15. In primo luogo, il legislatore sacrifica i principi di responsabilità dei funzionari e di giurisdizione della Corte dei conti al fine di promuovere il buon andamento.  Il primo interrogativo da porsi è se tale limitazione di responsabilità debba essere considerata di per sé illegittima, a causa dell’esistenza, all’interno dell’ordinamento, di un principio che impedisca al legislatore di limitare ulteriormente la responsabilità di dipendenti e amministratori pubblici in ragione dell’elemento soggettivo. A noi pare che la risposta a tale interrogativo debba essere negativa, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale che in diverse occasioni è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di disposizioni che introducevano limitazioni alla responsabilità erariale dei pubblici funzionari. Con legge n. 543/1996, infatti, il legislatore aveva limitato la responsabilità erariale diretta di tutti i funzionari pubblici alle sole condotte dolose o gravemente colpose. Sulla legittimità di tale limitazione si è quindi espressa la Consulta con la già richiamata sentenza 371/1998[10], affermando che non è rinvenibile nell’ordinamento alcun principio che impedisca al legislatore di limitare, anche in via generalizzata, la responsabilità dei funzionari pubblici in ragione dell’elemento soggettivo: il legislatore è infatti libero di stabilire quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilità, «ma anche quale grado di colpa sia richiesto e a quali soggetti la responsabilità sia ascrivibile […] senza limiti e condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarietà» (§ 6 del Considerando in diritto). In base alla pronuncia appena richiamata, dunque, la limitazione della responsabilità erariale in ragione dell’elemento soggettivo non sarebbe di per sé incostituzionale, ma potrebbe apparire tale qualora fosse irragionevole e arbitraria. Successivamente, una legge della provincia autonoma di Bolzano[11] ha tipizzato le ipotesi di colpa grave, restringendo, di fatto, l’ambito della responsabilità per colpa di tutto il personale della provincia e degli enti provinciali. La Corte costituzionale, con una pronuncia del 2001[12], ha dichiarato illegittima la disciplina appena introdotta, affermando – contrariamente a quanto sostenuto con la pronuncia del 1998 – che esiste nell’ordinamento un principio, desumibile dall’art. 3 del d.l. 345/1996[13], secondo cui l’imputazione della responsabilità ha come limite minimo quello della colpa grave (§ 4 del Considerando in diritto). Si dovrebbe, dunque, concludere che è legittimo limitare la responsabilità erariale alle condotte connotate da colpa grave, ma non spingersi oltre, escludendo tout court la responsabilità per colpa, così come fa il decreto semplificazioni. Quella formulata dalla Consulta nel 2001 era, tuttavia, un’affermazione non motivata, con un aggancio normativo – l’art. 3 del d.l. 345/1996 – che alcuni tra i primi commentatori della pronuncia avevano ritenuto poco solido[14]. La sentenza 340/2001 rappresenta, inoltre, un caso isolato: anche nelle più risalenti occasioni in cui era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di alcune ipotesi di limitazione della responsabilità erariale, la Consulta aveva sempre affermato il principio in base al quale spetterebbe al legislatore la scelta di limitare o addirittura escludere la responsabilità dei funzionari in ragione dell’elemento soggettivo, purché ciò avvenga nel rispetto del limite della ragionevolezza[15].

Sulla scorta di questo breve excursus, a noi pare di poter affermare che l’esistenza di un principio che impedisca di limitare la responsabilità erariale alle sole condotte commissive dolose sia quantomeno dubbia. Ciò che, invece, è certamente necessario accertare è che ogni limitazione della responsabilità sia ragionevole e non arbitraria rispetto allo scopo perseguito.

Con specifico riguardo all’ordinanza di rimessione che qui ci occupa, tale vaglio di ragionevolezza e non arbitrarietà va condotto accertando la funzionalità della limitazione di responsabilità allo scopo di efficientare la P.A. In particolare, è necessario porsi il quesito circa l’utilità dello scudo erariale al fine di contrastare la paura della firma.

Che le limitazioni alle responsabilità penale ed erariale introdotte nel 2020 possano avere l’effetto di rassicurare i funzionari ci pare affermazione fondata. Per quanto riguarda l’abuso d’ufficio, un autorevole commentatore[16] della riforma del 2020 ha osservato che l’utilizzo di un’espressione come “paura della firma” sarebbe inspiegabile rispetto a un reato doloso: se si comprende che si possa avere timore di commettere errori previsti dalla legge come reati – cagionare un incidente d’auto o sbagliare una diagnosi – è un non senso dire che il funzionario pubblico avverta il rischio di violare consapevolmente la legge per realizzare un ingiusto lucro o cagionare un ingiusto danno; sceglie di farlo e, se poi la sanzione penale scatta, non può lamentarsene. Questa affermazione – di per sé sufficiente a spiegare l’effetto rassicurante che lo “scudo erariale”, a schermo della responsabilità per colpa, può produrre – è senz’altro vera in astratto, ma perde il proprio mordente nel momento in cui si passa al piano concreto. È ben possibile, infatti, che la magistratura interpreti gli errori (magari gravi) dei funzionari come condotte intenzionali, avviando a loro carico un procedimento per abuso d’ufficio. Non basta a eliminare il problema il fatto che il processo sia poi verosimilmente destinato a concludersi con un’assoluzione, comportando già il semplice avviso di conclusione delle indagini costi umani e materiali niente affatto trascurabili. A ben vedere, non si può nemmeno affermare che il timore dei funzionari sia totalmente ingiustificato: la magistratura si avvale spesso, ai fini della dimostrazione del dolo, di indici presuntivi, tra i quali la macroscopicità della violazione di legge, l’errore marchiano sull’interpretazione e l’elevata qualificazione professionale dell’agente, senz’altro delicati da maneggiare. Se poi si tiene conto della complessità e vastità della normativa amministrativistica, nonché della scarsa dimestichezza degli operatori di giustizia con le questioni che attengono al management della cosa pubblica, ci si rende conto che non è poi così remota l’eventualità di scambiare semplici errori per intenzionali sviamenti della funzione. Insomma, seppure il reato doloso di abuso d’ufficio e la responsabilità erariale per colpa coprano ambiti differenti, e seppure, limitandosi al piano astratto delle norme, ci pare giusto concordare con l’affermazione che di “paura della firma” si può parlare solo rispetto alla responsabilità colposa, a noi sembra che il decreto semplificazioni, complessivamente letto, produca un effetto psicologico di rassicurazione dei funzionari. Che poi l’attenuazione della “paura della firma” basti a sbloccare la P.A. non è certo: non mancano infatti le voci che identificano le cause dell’inazione in altri fattori, come la confusione legislativa, l’inadeguata preparazione professionale, l’insufficienza degli organici[17]. Nonostante tali incertezze, pare di poter dire che la limitazione della responsabilità dei funzionari non sia manifestamente inidonea al conseguimento di uno scopo legittimo: quello di combattere la paura della firma e quindi di efficientare la Pubblica Amministrazione. La limitazione dei principi di cui agli artt. 28 e 103 Cost. apparirebbe, quindi, in linea di massima, ragionevole.

Nonostante si possa quindi affermare che lo scudo erariale contribuisce a combattere la paura della firma, a noi pare che il suo ambito applicativo sia eccessivamente ampio: la limitazione della responsabilità erariale riguarda, infatti, anche condotte che nulla hanno a che vedere con l’obiettivo perseguito. È il caso, in primo luogo, delle condotte materiali, che risultano estranee al procedimento amministrativo. Il pensiero corre agli efficaci esempi offerti dall’ordinanza di rimessione stessa, come quello riguardante la rottura di un costoso macchinario a uso medico o l’incidente d’auto cagionato con il mezzo di servizio: in che modo mandare esenti da responsabilità comportamenti negligenti come questi contribuirebbe a sburocratizzare e velocizzare la P.A.?[18] Nella parte che riguarda le condotte materiali, lo scudo erariale sembrerebbe, dunque, porsi in contrasto con gli artt. 28 e 103 Cost., in quanto la limitazione della responsabilità non sarebbe funzionale allo scopo perseguito: quello di efficientare la P.A. Per rimuovere l’incongruenza esposta, la Corte potrebbe forse pronunciarsi nel senso della doverosa esclusione, dall’ambito applicativo dello scudo, delle condotte materiali. Anche limitandosi alle condotte provvedimentali, comunque, pare di poter osservare che non tutte sono funzionali all’assunzione, da parte della P.A., di scelte che contribuiscano al rilancio dell’economia. Per esempio, ci sono provvedimenti amministrativi che culminano con l’inflizione di sanzioni o l’applicazione di tasse: in che modo la velocizzazione del procedimento volto – tanto per fare un esempio – alla riscossione della TARI potrebbe contribuire al rilancio dell’economia? Al fine di rendere la previsione dello scudo erariale proporzionato all’obiettivo perseguito, il legislatore avrebbe forse potuto selezionare, ai fini dell’esclusione della responsabilità colposa, solo quelle attività provvedimentali in qualche modo legate alla gestione delle conseguenze economiche della pandemia: vengono alla mente, a mero titolo di esempio, i provvedimenti finalizzati all’impiego delle risorse del P.N.R.R.[19]. Concludendo in punto di violazione degli artt. 28 e 103 Cost., si può osservare che lo scudo erariale, soprattutto se letto congiuntamente all’abrogazione parziale dell’abuso d’ufficio, produce un effetto psicologico di rassicurazione dei funzionari che è funzionale a combattere la paura della firma e, quindi, a efficientare la P.A. Tuttavia, il suo ambito di applicazione è eccessivamente ampio, finendo per includere condotte (in primo luogo materiali ma, in alcuni casi, anche provvedimentali) che nulla hanno a che vedere con l’obiettivo di velocizzare/sburocratizzare l’amministrazione. Nella parte che riguarda questi comportamenti, la disciplina che prevede lo scudo erariale potrebbe, secondo noi, essere dichiarata incostituzionale per contrasto con gli artt. 28 e 103 Cost., in quanto la limitazione di responsabilità si rivelerebbe non funzionale allo scopo di promuovere il buon andamento (inteso come velocizzazione) e, dunque, sarebbe irragionevole.

 

16. Lo scudo erariale comporta altresì alcune disparità di trattamento che non paiono giustificarsi in ragione dello scopo legittimo perseguito dal legislatore, ovvero quello dell’efficientamento della PA.

Innanzitutto, sembra da condividersi l’osservazione della Corte rimettente quanto all’insensatezza della distinzione tra condotte attive e omissive[20]. Il caso concreto oggetto del procedimento che ha dato avvio all’ordinanza di rimessione è emblematico di come l’attività amministrativa si svolga attraverso procedimenti che comprendono momenti attivi e omissivi, condotte positive e controlli, e di come tanto le prime quanto le seconde siano indispensabili ai fini della corretta conclusione del procedimento amministrativo che conduce all’assunzione di una decisione da parte della P.A. Ne deriva che un danno può essere prodotto tanto attraverso azioni quanto attraverso omissioni (si può consentire a un cassiere spregiudicato di incamerare denaro pubblico tanto firmando un documento senza preoccuparsi di comprenderlo, quanto tralasciando un controllo che si sarebbe dovuto effettuare), ma anche che è possibile ostacolare il corretto svolgersi dell’azione pubblica tanto omettendo un’azione (per esempio, rifiutandosi di firmare un’autorizzazione) quanto ponendo in essere una condotta attiva (per esempio, pretendendo documentazione superflua o disponendo un controllo non necessario). La distinzione tra condotte attive e omissive pare quindi inconferente rispetto allo scopo di combattere l’inerzia della P.A. Una differenziazione ingiustificata tra condotte omogenee sul piano del disvalore si risolve, a nostro modo di vedere, in una violazione dell’art. 3 Cost.

Quanto alla sproporzione rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore del 2020, ci pare da condividere – lo abbiamo già anticipato – l’osservazione del giudice a quo in merito all’estensione dello scudo erariale ben oltre lo scopo di rispondere alle esigenze innescate dalla pandemia, ma anche oltre il diverso, e più generale, obiettivo di “sbloccare” la P.A. Lo scudo erariale riguarda, infatti, tutti i dipendenti o amministratori pubblici (anche, per esempio, i medici, gli insegnanti e i professori, gli appartenenti alle forze dell’ordine…), indipendentemente dal fatto che essi pongano in essere provvedimenti o condotte materiali, nonostante queste ultime risultino spesso estranee alla catena di provvedimenti attraverso la cui successione la P.A. giunge all’adozione della proprie determinazioni: lo si vede benissimo nel caso di specie, ma lo dimostrano anche gli efficaci esempi offerti dall’ordinanza di rimessione (che c’entra l’incidente d’auto cagionato dal funzionario con l’obiettivo di combattere l’inerzia dell’amministrazione pubblica? E la rottura di un macchinario a uso medico?). Anche volendoci limitare, poi, all’attività provvedimentale, si può osservare come l’esenzione di responsabilità includa condotte che nulla hanno a che vedere con la gestione delle conseguenze negative della pandemia (come avverrebbe, per esempio, qualora lo scudo trovasse applicazione solo rispetto a coloro i quali siano chiamati a disporre dei fondi P.N.R.R.). L’inclusione di condotte che nulla hanno a che vedere con lo scopo di rilanciare l’economia nell’ambito applicativo dello scudo erariale conduce, lo abbiamo visto, a un contrasto parziale della disciplina qui in esame con gli artt. 28 e 103 Cost. Tuttavia, essa ha anche l’effetto di equiparare tra loro condotte diverse (materiale e provvedimentale, connessa e non connessa alla gestione delle conseguenze economiche della pandemia…), dando quindi luogo a una lesione del principio di eguaglianza.

L’introduzione dello scudo erariale produce, insomma, alcune discriminazioni, che si risolvono in corrispondenti violazione dell’art. 3 Cost. Il trattamento eguale di condotte non assimilabili e il diverso trattamento di situazioni omogenee non trova, infatti, giustificazione nell’esigenza di scongiurare l’inerzia e quindi promuovere la ripresa economica dopo la pandemia, in quanto ciò risulta inidoneo al conseguimento di questo scopo.

 

17. Riepilogando le osservazioni formulate, possiamo concludere come segue.

Il legislatore introduce una limitazione della responsabilità erariale con lo scopo di combattere la paura della firma e quindi promuovere il buon andamento, inteso come velocizzazione e sburocratizzazione. Il rimettente ipotizza, all’opposto, che lo scudo erariale induca alla trascuratezza e quindi comprometta il buon andamento e l’efficienza (artt. 97 e 81 Cost.). A nostro modo di vedere, accogliere la censura formulata con riferimento all’art. 97 significherebbe fornire una lettura del concetto di buon andamento opposta rispetto a quella formulata dal legislatore (in termini di legalità, anziché di velocizzazione), in tal modo ingerendosi nel campo dell’opportunità. La medesima conclusione si imporrebbe rispetto all’art. 81 Cost., che esprime un principio – quello di efficienza e di equilibrio di bilancio – che, ai nostri fini, può essere considerato un corollario del buon andamento.

Per conseguire lo scopo di efficientamento della PA, il legislatore sceglie di limitare la responsabilità erariale, così sacrificando i beni giuridici tutelati dagli artt. 28 e 103 della Costituzione. Seguendo il percorso svolto negli anni dalla giurisprudenza costituzionale, abbiamo osservato come l’opinione maggioritaria sia nel senso di escludere che esista, nell’ordinamento, un principio che vieta di limitare la responsabilità erariale ai soli casi di condotte omissive e di condotte attive realizzate con dolo. Abbiamo tuttavia osservato che la Consulta, nel sottoporre a vaglio le diverse ipotesi di limitazione della responsabilità amministrativo-contabile, ha sempre verificato che il sacrificio imposto ad altri beni costituzionalmente tutelati fosse ragionevole e proporzionato rispetto all’obiettivo che il legislatore, di volta in volta, si poneva. Rispetto al caso oggetto dell’ordinanza di rimessione occorre, dunque, interrogarsi sull’efficacia della limitazione della responsabilità erariale allo scopo perseguito dal legislatore: quello di combattere la paura della firma. Noi riteniamo che lo scudo erariale sia, in linea di massima, idoneo allo scopo: per le ragioni che abbiamo esposto, la riforma della disciplina della responsabilità amministrativo-contabile, letta congiuntamente all’abolizione parziale dell’abuso d’ufficio, ha le potenzialità per produrre un effetto psicologico di rassicurazione nei confronti dei funzionari. Tuttavia, lo scudo erariale copre un ambito applicativo ampio, che include anche comportamenti (per esempio, condotte materiali) la cui liceizzazione non è funzionale allo scopo di efficientare la P.A. Rispetto a condotte di questo tipo, allora, la limitazione della responsabilità erariale appare ingiustificata, dando quindi luogo a un contrasto con gli artt. 28 e 103 della Costituzione.

L’introduzione dello scudo erariale ha, poi, l’effetto di produrre disparità di trattamento tra condotte uguali sul piano del disvalore (attive e omissive) e di assimilare tra loro situazioni differenti (attività materiale e provvedimentale/attività provvedimentali correlate alla gestione delle conseguenze della pandemia e attività che non lo sono). Questa differenziazione/equiparazione ci appare irragionevole, in quanto non giustificata in ragione dell’esigenza di dare stimolo all’attività amministrativa e quindi di promuovere il buon andamento della Pubblica Amministrazione: essa dà, quindi, luogo a una violazione dell’art. 3 Cost

Se, dunque, lo scudo erariale fosse stato ritagliato su quei settori di attività più strettamente connessi alla gestione delle conseguenze negative della pandemia e, viceversa, avesse incluso indifferentemente condotte attive e omissive, esso sarebbe forse stato immune da censure di legittimità costituzionale, in quanto volto al conseguimento di uno scopo legittimo (“slegare le mani” dei funzionari per efficientare la P.A.) attraverso una limitazione della responsabilità in sé non irragionevole. Per come è stato concretamente configurato, invece, lo scudo erariale finisce per includere condotte la cui liceizzazione non è funzionale allo scopo di efficientare l’amministrazione: la Corte potrebbe forse dichiarare incostituzionale la limitazione di responsabilità, per contrasto con gli artt. 28 e 103 Cost., nella parte che riguarda quelle condotte L’inclusione all’interno dell’ambito di applicazione dell’art. 21 del decreto semplificazioni delle condotte materiali e provvedimentali non connesse al rilancio dell’economia e l’esclusione, viceversa, delle condotte omissive dà luogo, inoltre, a disparità di trattamento che si risolvono in violazioni dell’art. 3 Cost.

Ineludibile ci sembra, infine, una riflessione in merito all’l’opportunità dell’introduzione di una misura come lo scudo erariale: è bene, infatti, tenere a mente che la sua adozione si accompagna alla sempre più probabile abolizione integrale dell’abuso d’ufficio: il combinato disposto di questi due interventi creerebbe allora i presupposti per incoraggiare una gestione superficiale e affaristica della “cosa pubblica”, esito, quest’ultimo, tutt’altro che auspicabile.

 

 

 

[1] A. Canale, L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, in Canale, Centrone, Freni, Smiroldo (a cura di), La Corte dei conti. Responsabilità, contabilità, controllo, Giuffré, 2019, p. 88. Osserva come il confine tra colpa e dolo contrattuale sia labile L. Carbone, Una responsabilità erariale transitoriamente “spuntata”. Riflessioni a prima lettura dopo il d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. “decreto semplificazioni”), in Federalismi.it, n. 30/2020, p. 6.

[2] Per tutti, T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in Giurisprudenza penale, fasc. 7-8/2020.

[4] M. C. Ubiali, Emergenza Covid e riforma del delitto di abuso d'ufficio per agevolare la ripresa del Paese: brevi note alla sentenza n. 8/2022 della Corte costituzionale in Giurisprudenza costituzionale, fasc. 1/2022, pp. 120-128 e C. Pagella, La riforma del delitto di abuso d’ufficio passa, indenne, al vaglio della Corte costituzionale, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, fasc. 3/2022, p. 575 ss.

[5][5] C. cost, sent. 11 novembre 1998, dep. 20 novembre 1998, n. 371.

[6] Valorizza il nesso tra responsabilità ed efficienza L. Mercati, Responsabilità amministrativa e principio di efficienza, Giappichelli, Torino, 2002, sottolineando peraltro come, perché la responsabilità risulti funzionale al buon andamento, occorre individuare un punto di equilibrio nella ripartizione di questa tra funzionario e amministrazione tale da far sì che la responsabilità rappresenti, per il funzionario, ragione di stimolo piuttosto che disincentivo all’azione (p. 305). Giunge ad un’affermazione simile avvalendosi dell’analisi economica del diritto A. Piazza, Responsabilità civile ed efficienza amministrativa, Giuffré, Milano, 1994.

[7] Per la rilevanza del chilling effect nell’ambito del giudizio di proporzionalità sulle scelte di criminalizzazione cfr. N. Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2020. Per quanto riguarda l’effetto di congelamento cagionato dall’incriminazione dell’abuso d’ufficio v. p. 275.

[8] Sul ruolo dei dirigenti pubblici e sul tentativo infruttuoso di renderli equiparabili ai datori di lavoro privati cfr. S. Battini, Responsabilità e responsabilizzazione dei funzionari e dipendenti pubblici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2015, I, p. 53 ss.

[9] Lo afferma chiaramente C. Pagliarin, Colpa grave ed equità nel giudizio di responsabilità innanzi alla Corte dei conti, CEDAM, 2002, p. 273. Anche la più volte citata sent. 371/1998, al par. 6 del considerando in diritto, sembra condividere questa considerazione laddove afferma che la limitazione della responsabilità dei funzionari ai soli casi di dolo e colpa grave risponde all’esigenza di individuare la soglia del rischio derivante dall’esercizio dell’attività amministrativa da addossare al dipendente, in modo di garantire che la responsabilità sia per lui/lei ragione di stimolo e non di disincentivo. La Corte afferma che il legislatore effettua tale scelta secondo valutazioni che «non spetta alla Corte sindacare dal punto di vista della convenienza ed opportunità».

[10] C. cost, sent. 11 novembre 1998, dep. 20 novembre 1998, n. 371.

[11] Legge della Provincia autonoma di Bolzano, riapprovata il 3 febbraio 2000, recante «Responsabilità amministrativa degli amministratori e del personale della provincia e degli enti provinciali».

[12] C. cost., 8 ottobre 2001, dep. 24 ottobre 2001, n. 340.

[13] L’art. 3, c. 1 d.l. 23 ottobre 1996, n. 345, conv. in legge dall’art. 1, c. 1, l. 20 dicembre 1996, n. 639 recita: «La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave».

[14] A. Corpaci, La responsabilità amministrativa alla luce della revisione del Titolo V della Costituzione, in Le regioni, 2002, p. 542 ss.; condivide, invece, l’orientamento espresso dalla Consulta nella decisione da ultimo citata F. G. Scoca, Principi dell’ordinamento e disciplina della responsabilità amministrativa, in Giur. cost., fasc. 5/2001, p. 2927 ss.

[15] C. cost. 15 novembre 1988, n. 1032, in Giur. cost., 1988, p. 5030 ss. con nota di Garri, Grado della colpa nella responsabilità dei pubblici dipendenti, regolarità della gestione finanziaria e discrezionalità del legislatore, Giur. cost., p. 5038 e C. cost. 24 febbraio 1992, n. 64, in Giur. cost., 1992, 351ss., con commento di Bilancia, Una rimeditazione della responsabilità civile della P.A. e dei dipendenti pubblici alla luce di due recenti decisioni della Corte costituzionale, in Giur. cost., 1992, 1618 ss. In dottrina, cfr. R. Colagrande, R. Cuonzo, S. Gattamelata, A. Gigli, G. Lemmo, A. Police, V. Romano, G. Scichilone, La responsabilità amministrativa ed il suo processo, a cura di G. Scoca, CEDAM, 1997, p. 116.

[16] M. Romanelli, L’insostenibile leggerezza della paura (della firma), in questa Rivista, 6 febbraio 2023.

[17] Si veda il parere espresso dalla C. conti, Sez. Riun. in sede di controllo, sul disegno di legge 1883 (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76), a luglio 2020. Suggerisce di combattere l’inerzia dell’amministrazione pubblica attraverso investimenti nel reclutamento, nella formazione, nella valorizzazione delle professionalità, piuttosto che ricorrendo all’immunità G. Crepaldi, L’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa prima e dopo il decreto semplificazioni, in Resp. Civ. e previdenza, fasc. 1/2021, p. 23 ss.

[18] Nello stesso senso Cfr. la Relazione del Procuratore regionale presso la Corte dei conti Paolo Evangelista, pubblicata il 1° marzo 2024 a inaugurazione dell’anno giudiziario 2024.

[19] È stato però rilevato che l’esenzione della responsabilità anche per le condotte dei privati destinatari di finanziamenti del PNRR pone problemi di compatibilità tra diritto interno e diritto dell’Unione Europea, perché restano in vigore norme unionali che non limitano la responsabilità per colpa grave. In particolare, l’art. 8 del Regolamento UE n. 2021/241, rubricato “Tutela degli interessi finanziari dell'Unione”, rinvia all’art. 22 dello Statuto dei funzionari U.E., che espressamente richiama la colpa grave come parametro di punibilità per gli interventi finanziati con i fondi europei del Recovery Fund. Cfr. la Relazione del Procuratore regionale presso la Corte dei conti Paolo Evangelista, pubblicata il 1° marzo 2024 a inaugurazione dell’anno giudiziario 2024.

[20] Denuncia l’irragionevolezza di tale distinzione L. Carbone, Una responsabilità erariale transitoriamente “spuntata”. Riflessioni a prima lettura dopo il d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. “decreto semplificazioni”), in Federalismi.it, n. 30/2020, p. 11. Cfr. anche il parere espresso dalla C. conti, Sez. Riun. in sede di controllo, sul disegno di legge 1883 (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76), a luglio 2020