Trib. Reggio Emilia, ord. 7.10.2024, Pres. Iusto, Giud. Caputo, Piergallini
1. Diamo immediata segnalazione, per l’interesse, dell’ordinanza allegata, con la quale il Tribunale di Reggio Emilia ha respinto le eccezioni di illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 114/2024, con la quale è stato abrogato l’art. 323 c.p.; eccezioni che, come i lettori ricorderanno, erano state sollevate dalla Procura nell’ambito della vicenda di Bibbiano con una memoria già pubblicata sulla nostra Rivista. Anticipiamo subito che l’ordinanza si segnala non solo per le argomentate conclusioni, diverse e opposte a quelle di due ordinanze del Tribunale di Firenze già pubblicate su questa Rivista, ma anche per l’inedita affermazione del contrasto con l’art. 117 Cost. (in rapporto alla Direttiva 2017/1371) del nuovo peculato per distrazione ex art. 314 bis c.p., nella parte in cui non è riferibile a condotte relative a beni immobili (la questione, pur fondata in astratto, è stata ritenuta irrilevante in concreto perché la distrazione dell’immobile, nel caso di specie, non è stata ritenuta offensiva di interessi dell’UE, cioè per inapplicabilità dell’art. 322 bis c.p. in relazione all’art. 314 bis c.p.). Trova così conferma, ci pare, quanto già sostenuto su questa Rivista in un contributo al quale ci permettiamo di rinviare (ivi, § 2.1.2.).
2. L’ordinanza ritiene, anzitutto, che le questioni relative agli artt. 3, 24 e 97 Cost. siano manifestamente infondate perché inammissibili nel giudizio di legittimità costituzionale. Osserva correttamente il Tribunale di Reggio Emilia che la norma abolitrice dell’abuso d’ufficio “non è qualificabile come norma penale di favore…in quanto…non eccettua taluni soggetti o talune condotte da una normativa più generale che, in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma di favore, si riespanderebbe automaticamente”. Non venendo in rilievo una norma penale di favore, opera pienamente il divieto per la Corte costituzionale di sindacare norme penali con effetto in malam partem (tale è quello che si determinerebbe con la reviviscenza del delitto di abuso d’ufficio).
3. Il Tribunale di Reggio Emilia ritiene, invece, “astrattamente ammissibile” la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 117 Cost.: l’esistenza di un obbligo internazionale di incriminazione è infatti uno dei casi espressamente eccettuati dal divieto di sindacato in malam partem in materia penale. A venire in rilievo, come è ormai noto, è l’art. 19 della Convenzione ONU (Merida, 2003). L’infondatezza della questione, a parere del Tribunale, dipende dalla circostanza – decisiva – che tale disposizione convenzionale non contempla un obbligo di incriminazione dell’abuso d’ufficio, ma solo l’obbligo, per gli Stati contraenti, di “prendere in considerazione o esaminare l’adozione delle misure legislative necessarie a prevedere come reato” l’abuso d’ufficio.
D’altra parte, a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale di Firenze con due ordinanze di rimessione pubblicate sulla nostra Rivista (rispettivamente, del 24.9.2024 e del 3.10.2024), il Tribunale di Reggio Emilia ritiene che dalla Convenzione di Merida non possa ricavarsi alcun “divieto di regresso”. In particolare (v. pag. 11 dell’ordinanza), né l’art. 7 né l’art. 65 della Convenzione, richiamati dalla memoria della Procura, vincolerebbero il nostro Paese a conservare l’incriminazione dell’abuso d’ufficio, esistente all’atto della ratifica della Convenzione, né potrebbe farsi riferimento allo “spirito” della Convenzione per fondare un obbligo di incriminazione dell’abuso d’ufficio che la stessa Convenzione non contempla.
Nel rinviare, sul punto, alle argomentazioni dell’ordinanza che possono leggersi in allegato (p. 10 ss.), sottolineiamo e ribadiamo come il punto centrale, rispetto alle chances di ammissibilità delle questioni sollevate in rapporto all’abrogazione dell’art. 323 c.p., sia quello della possibilità o meno di fondare o meno sul diritto internazionale quel che, efficacemente, l’ordinanza in esame chiama “divieto di regresso” rispetto alla scelta di punire l’abuso d’ufficio, già compiuta (questo è il punto) al momento dell’assunzione dell’obbligo convenzionale di valutare la configurabilità come reato dell’abuso d’ufficio stesso. E’ questo il punto sul quale potranno maturare eventuali riflessioni, nell’un senso o nell’altro. L’ordinanza qui segnalata sollecita peraltro una riflessione: se un divieto di regresso non sussiste significa che, quanto meno, con l’abolizione dell’abuso d’ufficio sorge per il nostro Paese – sul piano internazionale – il vincolo convenzionale di considerare di (re)introdurre il reato abolito.
4. Come si è anticipato, una ulteriore ragione di interesse dell’ordinanza qui pubblicata riguarda le affermazioni contenute nella parte conclusiva circa il nuovo peculato per distrazione ex art. 314 bis c.p. Tale disposizione “sembra dar luogo a un ‘reato composto’: per la prima porzione ricalca il delitto di peculato comune di cui all’art. 314, co. 1 c.p., mentre nella seconda parte quello di abuso d’ufficio…”. Non può dubitarsi, afferma il Tribunale evocando la continuità normativa con l’art. 323 c.p., che l’art. 314 bis c.p. “conserva la rilevanza penale delle condotte distrattive di denaro o altre cose mobili, per scopi pubblicistici diversi da quelli legalmente previsti”.
Una delle imputazioni, nel procedimento pendente davanti al Tribunale, riguarda il peculato per distrazione (art. 323 c.p.) contestato in relazione a un bene immobile. Di qui una delle questioni di legittimità costituzionale, prospettate dalla Procura per violazione dell’art. 117, co. 1 Cost., in rapporto alla Direttiva 2017/1371 sulla protezione degli interessi finanziari dell’Unione Europea. L’art. 4 di tale Direttiva, come già evidenziato sulla nostra Rivista, e come riconosce il Tribunale di Reggio Emilia, fonda un vero e proprio obbligo di incriminazione in rapporto a condotte di distrazione lesive di interessi finanziari della UE; obbligo che non è limitato a denaro e beni mobili, cui si riferisce l’art. 314 bis c.p. Di conseguenza, “rispetto a condotte distrattive che abbiano ad oggetto immobili, l’intervenuta abrogazione dell’abuso d’ufficio determinerebbe un inadempimento sopravvenuto all’obbligo di incriminazione sovranazionale, sindacabile in base all’art. 117 Cost.”. Senonché, osserva il Tribunale, la questione è irrilevante nel giudizio perché la distrazione dell’immobile (la “Cura di Bibbiano”) a beneficio di privati, nel caso di specie, non ha comportato una lesione degli interessi finanziari della UE.
L’ordinanza di Reggio Emilia ha dunque riconosciuto un profilo di contrasto del nuovo art. 314 bis c.p. con il diritto dell’UE, che pure era stato segnalato al legislatore durante i lavori parlamentari; profilo di contrasto irrilevante nel procedimento di specie e che potrà essere fatto valere allorché vengano in rilievo fatti distrattivi di immobili riconducibili agli artt. 322 bis e 314 bis c.p., perché lesivi di interessi finanziari dell’UE.