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26 Giugno 2025


Sulla legittimità del trattamento sanzionatorio del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art. 583-quinquies): depositata la sentenza della Corte costituzionale

Corte cost., sent. 20 giugno 2025, n. 83, Pres. Amoroso, Rel. Petitti



Segnaliamo ai lettori la sentenza n. 83, depositata lo scorso 20 giugno, con cui la Corte costituzionale ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dai Tribunali di Taranto, Bergamo e Catania, relative al trattamento sanzionatorio dell’art. 583-quinquies, primo e secondo comma, c.p., inserito come fattispecie di reato autonoma dalla Legge n. 69/2019 (c.d. codice rosso).

La Corte, in relazione al primo comma dell’art. 583-quinquies, ha ritenuto contrario ai principi di proporzionalità, individualizzazione e finalità rieducativa della pena il trattamento sanzionatorio ivi previsto per l’assenza di una c.d. “valvola di sicurezza” che consenta di mitigare la pena  - che va da otto a quattordici anni di reclusione - nelle ipotesi di lesioni modeste o procurate in contesti di aggressività occasionale e minore; è stata conseguentemente dichiarata costituzionalmente illegittima la disposizione nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata sia “diminuita, in misura non eccedente un terzo, quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”.

Nella sentenza si sottolinea che la mancata previsione di un’attenuante comune per i fatti di lieve entità “al cospetto di un minimo edittale di eccezionale asprezza e di una gamma multiforme di condotte punibili, determina il rischio di irrogazione di una sanzione eccessiva in concreto, pertanto insensibile al giudizio sulla personalità del reo e inidonea allo scopo della sua risocializzazione”.

La Corte, inoltre, ritenuto l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo citato, nella parte in cui stabilisce che la condanna o il patteggiamento per tale reato comporta l’interdizione automatica e perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, anziché prevedere che la pena accessoria sia applicabile facoltativamente e discrezionalmente dal giudice, nella misura determinata in base ai criteri discrezionali di cui all’art. 133 c.p., nel rispetto del limite massimo di dieci anni, stabilito dall’art. 79, primo comma, numero 1) c.p.

In allegato possono leggersi il testo della sentenza e il relativo comunicato stampa.