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03 Novembre 2021


Le Sezioni Unite sui profili dogmatici dell’istituto del reato complesso: escluso il concorso tra l’omicidio aggravato ex art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. e il delitto di stalking

Cass., Sez. un., 15 luglio 2021 (dep. 26 ottobre 2021), n. 38402, Pres. Cassano, Rel. Zaza, ric. Magistri



1. Con sentenza emessa il giorno 15 luglio 2021, le cui motivazioni sono ora oggetto di deposito, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno preso in esame la natura del delitto di omicidio aggravato per essere stato commesso dall’autore del reato di atti persecutori, configurato dall’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. La conclusione cui sono pervenuti i giudici di legittimità, come già riportato nell’informazione provvisoria, è che esso «integra un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, primo comma. cod. pen., in ragione della unitarietà del fatto».

La pronuncia costituisce il punto di arrivo di un dibattito interpretativo – consumatosi nel giro di poco più di un anno – che ha riguardato nello specifico il rapporto tra la fattispecie di omicidio aggravato di cui sopra e il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p., ma al cui centro si è collocato l’istituto del reato complesso delineato dall’art. 84 c.p.; la soluzione della questione da parte delle Sezioni Unite, infatti, è passata proprio dalla definizione dei profili dogmatici di tale figura, alla luce dei quali esse hanno ritenuto di dover escludere il concorso tra i reati in esame.

 

2. L’intervento delle Sezioni Unite era stato sollecitato dalla Quinta Sezione della Corte, che con ordinanza n. 14916/2021[1] aveva denunciato l’esistenza di un contrasto interpretativo in ordine alla natura della fattispecie circostanziata di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p., profilo da cui dipendevano i rapporti di quest’ultima con il delitto di stalking.

Gli orientamenti contrastanti, per la verità, facevano capo a due sole precedenti pronunce di legittimità, sul punto giunte a conclusioni antitetiche.

2.1. La prima delle sentenze in questione, la n. 20786/2019 della Prima Sezione della Corte[2], aveva negato l’assorbimento del delitto di stalking in quello di omicidio aggravato, accogliendo la tesi del concorso di reati.

A sostegno di quest’orientamento vi era un argomento letterale: il riferimento nella descrizione della fattispecie all’“autore del delitto previsto dall’art. 612-bis” veniva difatti interpretato dai giudici come indice della scelta legislativa di ancorare l’applicazione dell’aggravante a un elemento di carattere esclusivamente soggettivo, l’identità tra l’autore dell’omicidio e l’autore dei precedenti atti persecutori; andava pertanto esclusa l’esistenza di una relazione di interferenza strutturale tra le fattispecie in questione, necessaria ai fini dell’applicazione tanto dell’art. 84 c.p. (con riferimento alla disciplina del reato complesso) quanto dell’art. 15 (con riferimento al principio di specialità)[3]. Nello stesso senso, si sosteneva, deponeva anche il confronto con la diversa formulazione dell’aggravante di cui al precedente n. 5, che nel richiedere un rapporto di occasionalità tra il delitto di omicidio e gli altri delitti indicati dalla norma evidenziava invece di voler ancorare il disvalore aggiuntivo del fatto a un’effettiva connessione di carattere oggettivo tra i diversi reati, così configurando un reato complesso.

2.2. A meno di un anno di distanza, con sentenza n. 30931/2020[4], la Terza Sezione della Suprema Corte accoglieva invece l’orientamento opposto, qualificando la fattispecie di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. come reato complesso e conseguentemente escludendo il concorso materiale con il delitto di atti persecutori.

Distaccandosi consapevolmente dal proprio precedente, la pronuncia sosteneva la necessità di superare e “correggere” l’ambiguo dato letterale della norma in questione attraverso un’interpretazione teleologica, orientata al rispetto dei principi costituzionali di offensività e materialità: attribuire all’aggravante in esame una connotazione esclusivamente soggettiva avrebbe condotto ad applicare all’agente una pena più grave in relazione a una sua mera qualità personale (“essere uno stalker”), secondo un modello di “diritto penale d’autore” che nel nostro ordinamento non può trovare accoglimento; la ratio dell’aumento di pena, pertanto, andava rintracciata non nella mera identità dell’autore dei reati in questione, ma nella particolare connessione tra la condotta di omicidio e le precedenti condotte persecutorie, il cui disvalore appariva integralmente e adeguatamente considerato nell’ambito dell’aggravante in parola[5]. Una diversa conclusione avrebbe condotto non solo a un’interpretazione abrogatrice dell’art. 84 c.p., ma anche a una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, risolvendosi in un’illegittima duplicazione sanzionatoria.

2.3. Chiamata a sua volta a prendere posizione in merito alla questione, la Quinta Sezione della Corte decideva di troncare sul nascere il contrasto giurisprudenziale che si andava profilando e di chiedere l’intervento delle Sezioni Unite[6]. Nel formulare il quesito oggetto di rimessione, nondimeno, i giudici di legittimità offrivano ulteriori argomenti a sostegno della tesi del reato complesso, alla quale dimostravano di aderire.

In particolare, nel ribadire quanto già sostenuto dalla pronuncia della Terza Sezione, i giudici rimettenti sottolineavano come – a ben vedere – lo stesso tenore letterale della formulazione normativa deponesse nel senso di esigere una particolare connessione finalistica e/o temporale tra il fatto di omicidio e il fatto di atti persecutori, così ancorando l’aggravante a elementi di carattere oggettivo: la circostanza in parola, infatti, non appare incentrata solo sull’identità dell’agente, ma altresì sul fatto che i reati di omicidio e stalking siano commessi “nei confronti della stessa persona offesa”. Nessuna indicazione di segno contrario, inoltre, poteva univocamente ricavarsi dalla diversa formulazione utilizzata dal legislatore rispetto al precedente n. 5, la quale si spiegava con la considerazione che «l’omicidio commesso dallo stalker ai danni della propria vittima (…) piuttosto che essere commesso “in occasione” o “contestualmente” agli atti persecutori è, di solito, preceduto e “preparato” da quest’ultimi, secondo una logica di progressione: ed in questo risiede la particolare connessione tra i fatti di reato in questione, i quali, anche se separati sul piano cronologico, costituiscono espressione della medesima volontà persecutoria, che, secondo la valutazione politico-criminale del legislatore basata su fondamenti criminologici, spinge l’autore del reato prima a commettere le reiterate condotte di minaccia o molestia e poi, da ultimo, alla condotta omicida»[7].

 

3. Alla luce del quadro così delineato, le Sezioni Unite individuano il riferimento normativo per la soluzione della questione esclusivamente nell’art. 84 c.p., istituto con il quale la fattispecie di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p. deve essere messa a confronto[8].

Senza entrare nel merito del risalente dibattito dottrinario circa il fondamento assiologico dell’istituto in esame (specialità in concreto, specialità in astratto, consunzione, ne bis in idem sostanziale), le Sezioni Unite si soffermano sulla struttura della fattispecie del reato complesso delineata dal primo comma dell’art. 84 c.p., che come è noto configura due diverse ipotesi: quella del c.d. reato composto (o reato complesso “del primo tipo”), costituito da elementi che di per sé integrerebbero distinte figure criminose, e quella del c.d. reato complesso circostanziato (o reato complesso “del secondo tipo”), nel quale a un reato-base si aggiunge, quale circostanza aggravante, un fatto autonomamente incriminato da altra norma incriminatrice. In questa seconda ipotesi si iscriverebbe, secondo la tesi avanzata dal giudice rimettente, lo stesso art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p.

3.1. Il dato normativo, rilevano i giudici di legittimità, fornisce tre indicazioni fondamentali circa la struttura del reato complesso.

In primo luogo, perché tale istituto sia configurabile è necessario che l’elemento costitutivo o circostanziante consista in un fatto oggettivamente identificabile come tale: non si rientra nell’ambito dell’art. 84, perciò, allorché il reato che si considera assorbente faccia riferimento esclusivamente alla qualificazione soggettiva del soggetto agente[9]. In secondo luogo, tale fatto deve essere inserito nella struttura del reato complesso nella configurazione tipica con la quale è previsto come reato da altra norma incriminatrice, ossia in tutte le sue componenti materiali e psicologiche[10]. Infine, il fatto deve essere previsto nell’ambito del reato complesso quale componente necessaria della relativa fattispecie astratta, mentre resta estranea alla disciplina dell’art. 84 c.p. l’ipotesi in cui il fatto di reato costituisca in concreto un’occasionale modalità esecutiva della condotta (che parte della dottrina inquadra nella categoria del reato “eventualmente complesso”)[11].

3.2. Accanto a tali elementi strutturali, immediatamente ricavabili dal tenore letterale dell’art. 84, le Sezioni Unite ritengono presente un ulteriore elemento, di carattere sostanziale, desumibile dalla norma in virtù di un’interpretazione teleologica e di tipo sistematico.

Più precisamente, secondo i giudici è possibile rinvenire un fondamento sostanziale comune tra tale ipotesi e quella del concorso formale di reati di cui all’art. 81 c.p., rispetto alla quale il reato complesso costituisce una fattispecie di esenzione: nel primo caso come nel secondo, invero, l’applicazione di una pena unitaria a una pluralità di fatti di reato – quella prevista dal reato complesso, ovvero quella risultante dal cumulo giuridico – si giustificherebbe in ragione dell’unitarietà dell’azione complessiva che comprende i fatti criminosi, che quindi sarebbe implicitamente sottesa anche alla figura del reato complesso.

Tale unitarietà d’azione, che costituisce presupposto sostanziale e implicito del reato complesso, si articola non solo nella contestualità spaziale e temporale dei singoli fatti criminosi che ne compongono la fattispecie, ma anche nella collocazione dei medesimi in una comune prospettiva finalistica. Si tratta di un’interpretazione accolta anche nella giurisprudenza di legittimità: l’insufficienza della sola contestualità dei fatti criminosi a giustificare l’assorbimento dei distinti reati nella cornice unitaria del reato complesso è stata ad esempio rilevata con riferimento al delitto di rapina commesso in luogo di privata dimora, che assorbe la violazione di domicilio solo allorché tale condotta sia posta in essere al fine esclusivo della sottrazione dei beni alla persona[12]; o, ancora, con riferimento alla violenza sessuale commessa mediante minaccia, che parimenti assorbe il reato di cui all’art. 612 c.p. nei soli casi in cui la condotta minacciosa sia stata strettamente strumentale alla costrizione della vittima a subire la violenza sessuale[13].

 

4. Così delineati gli elementi caratteristici della figura del reato complesso, le Sezioni Unite passano a vagliarne la sussistenza nel caso dell’omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p.

4.1. L’orientamento avanzato dalla sentenza della Prima Sezione della Corte sopra richiamata, attribuendo al richiamo all’“autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis” una connotazione meramente soggettiva, sosteneva l’assenza nella fattispecie aggravata in esame di uno dei requisiti strutturali richiesti dall’art. 84 c.p., ossia la puntuale descrizione all’interno della fattispecie astratta assorbente di tutti gli elementi tipici del reato che si assumeva assorbito. A parere delle Sezioni Unite, tuttavia, la lettura della norma nella sua interezza conduce a una conclusione di segno contrario: il fatto che la fattispecie di atti persecutori sia richiamata citando direttamente la norma incriminatrice e facendo riferimento tanto all’autore del reato quanto alla persona offesa implica, secondo i giudici, che «la predetta fattispecie è (…) inequivocabilmente riportata all’interno della fattispecie aggravatrice nella sua integrale tipicità». Ne consegue che, nel caso in esame, il delitto di omicidio deve ritenersi aggravato «non per le caratteristiche personali del soggetto agente, ossia l’essere un persecutore, ma per ciò che egli ha fatto, vale a dire per il fatto persecutorio commesso»[14].

A sostegno di quest’interpretazione le Sezioni Unite adducono, ulteriormente, i lavori preparatori al d.l. 23 febbraio 2009 n. 11, conv. con modif. in l. 23 aprile 2009, n. 38, che nell’introdurre all’interno dell’art. 576 c.p. la circostanza aggravante de qua ne individuavano chiaramente la ratio nell’esigenza di sanzionare con una pena unitaria (quella dell’ergastolo, in luogo della pena della reclusione fino a un massimo di trenta anni che conseguirebbe dall’applicazione delle regole ordinarie in tema di concorso di reati) un fenomeno complessivamente ragguardato come meritevole di un aggravamento sanzionatorio, ossia l’omicidio che costituisce lo sviluppo di una condotta persecutoria[15].

4.2. In base a tali considerazioni, le Sezioni Unite ritengono certamente presenti gli elementi strutturali del reato complesso all’interno della fattispecie di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p.: ne discende quindi la necessità di una lettura della norma che sottintenda altresì l’esistenza del requisito sostanziale del reato complesso, ossia l’unità contestuale e finalistica dei reati di omicidio e di atti persecutori, lettura che peraltro risulta pienamente coerente con la ratio dell’aggravante in parola.

Il reato di cui all’art. 612-bis c.p., pertanto, potrà considerarsi effettivamente assorbito del delitto di omicidio aggravato esclusivamente in quelle situazioni in cui i fatti di omicidio e di atti di persecutori non solo presentino una contestualità spazio-temporale, ma si pongano altresì in una prospettiva finalistica unitaria. Quale conseguenza di quest’impostazione, chiariscono le Sezioni Unite, deve dunque escludersi l’assorbimento delle condotte persecutorie nella fattispecie aggravata in quei casi in cui l’omicidio della vittima sia avvenuto a distanza consistente di tempo dai fatti rilevanti ai sensi dell’art. 612-bis c.p., in quanto in situazioni del genere «non si realizzerebbe il requisito minimo dell’unitarietà del fatto rappresentato dalla contestualità dei due reati»[16].

4.3. Un ulteriore riflesso della lettura accolta dalle Sezioni Unite si ha rispetto alla diversa circostanza aggravante di cui al precedente n. 5 del medesimo art. 576 c. 1, che applica l’aumento di pena nei casi in cui il fatto di omicidio sia commesso “in occasione” dei delitti ivi elencati.

Tale fattispecie, che nella giurisprudenza di legittimità è da sempre concepita come reato complesso “del secondo tipo”, era stata chiamata in causa dalla Prima Sezione della Corte per sostenere l’assenza del richiamato nesso di occasionalità nella distinta ipotesi di cui al n. 5.1.; nell’interpretazione delle Sezioni Unite, tuttavia, tale riferimento normativo finisce con l’assumere «un significato non solo diverso, ma addirittura opposto a quello attribuitogli nell’argomentazione in discussione»[17]: la presenza tra gli elementi costitutivi della fattispecie aggravata del solo nesso di contestualità, infatti, starebbe a indicare che nell’ipotesi in esame non sarebbe necessario accertare l’inserimento dei fatti in una “prospettiva finalistica unitaria”, ma la legge prevederebbe una “soglia” di configurabilità del reato complesso inferiore rispetto a quella richiesta a livello generale, limitata alla sola contestualità. In questo senso sarebbe già orientata la giurisprudenza di legittimità, che rispetto alla norma in esame esclude la necessità di un nesso finalistico tra il delitto di omicidio e i diversi delitti richiamati[18].

La differente formulazione del n. 5.1, dunque, lungi dal far venire meno l’esigenza di accertare il requisito della contestualità spazio-temporale tra le condotte di omicidio e atti persecutori, avrebbe il semplice effetto di «ristabilire (…) il presupposto sostanziale del reato complesso nella sua interezza», comprensiva dell’elemento finalistico.

 

5. In chiusura al proprio percorso argomentativo, le Sezioni Unite si soffermano ulteriormente sulle ripercussioni che l’impostazione seguita può avere sul rapporto tra il delitto di atti persecutori e quello di lesioni. Considerato che l’art. 585 c.p. estende al delitto di lesioni le circostanze aggravanti di cui all’art. 576, infatti, qualificare la circostanza di cui al n. 5.1 come reato complesso dovrebbe condurre a ritenere assorbito il più grave delitto di atti persecutori anche nel reato di lesioni, il che, pur tenuto conto degli aumenti comminati dall’art. 585, comporterebbe l’applicazione di una pena inferiore rispetto a quella risultante dal concorso tra i reati in questione.

Tale paradossale conseguenza, tuttavia, secondo le Sezioni Unite non può influire sull’interpretazione dell’aggravante in esame. Il medesimo problema, del resto, si riproduce anche in relazione all’aggravante di cui al n. 5 e appare direttamente imputabile alla scelta legislativa di non modificare il rinvio contenuto nell’art. 585 c.p. nonostante la progressiva inclusione all’interno dell’art. 576 di ipotesi di concorso con reati di gravità superiore a quello di lesioni.

L’effetto di cui sopra, inoltre, a parere dei giudici di legittimità finisce con l’essere notevolmente “depotenziato” in ragione dell’esigenza di accertare il già descritto requisito sostanziale caratteristico del reato complesso. L’unità contestuale e finalistica necessaria ai fini dell’applicazione della disciplina del reato complesso (e dunque dell’assorbimento del delitto di atti persecutori), invero, secondo le Sezioni Unite sarebbe difficilmente configurabile in relazione ai fatti di lesione, in quanto questi, a differenza dell’omicidio, nella normalità dei casi non appaiono caratterizzati dalla medesima “prospettiva finalistica” della condotta persecutoria, ma «si presentano solitamente come collaterali all’azione del soggetto agente, che ha la sua mira essenziale nel controllo e nell’appropriazione della vita quotidiana della persona offesa»[19]. Difettando le condizioni per l’assorbimento nel reato complesso, pertanto, nella maggioranza dei casi dovrà riconoscersi il concorso tra il delitto di lesioni e quello di cui all’art. 612-bis.

 

6. Completata tale ampia disamina, e superate tutte le possibili obiezioni in diritto[20], le Sezioni Unite concludono per la natura di reato complesso della fattispecie di omicidio aggravato configurata dall’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p., escludendone il concorso con il delitto di atti persecutori, «in ragione dell’unitarietà del fatto»: espressione che, in considerazione di quanto finora osservato, ci pare possa essere tradotta con “laddove sussista il requisito dell’unitarietà del fatto, intesa come unità contestuale e finalistica delle condotte altrimenti costituenti autonomi reati”.

 

* * *

 

7. La conclusione raggiunta dalle Sezioni Unite in ordine ai rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 576 c. 1 n. 5.1 e 612-bis c.p. ci sembra condivisibile nel merito, ed era stata già prospettata anche sulle pagine di questa Rivista[21]. Senza tornare sulle considerazioni già svolte, dunque, in questa sede può essere interessante soffermarsi su alcuni punti di particolare interesse della pronuncia in esame, legati all’approfondita indagine che le Sezioni Unite svolgono intorno alla figura del reato complesso, vero perno dell’argomentazione della sentenza.

7.1. Anzitutto, le Sezioni Unite ribadiscono, con riferimento ai c.d. requisiti strutturali, che perché possa parlarsi di reato complesso occorre che i reati-componenti convergano nella fattispecie assorbente completi di tutti i propri elementi oggettivi e soggettivi; si tratta, invero, di un principio ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, che concepisce la complessità come rapporto strutturale intercorrente tra fattispecie astratte, ossia quale «unificazione a livello normativo di tutti gli elementi che integrano ipotesi tipiche di reati tra loro differenti»[22]. In virtù di tale qualificazione, è altresì ricorrente l’affermazione – ora accolta anche dalle Sezioni Unite – secondo cui va esclusa dal campo di applicazione dell’art. 84 c.p. la figura del c.d. reato complesso in concreto o eventualmente complesso, coniata da autorevole dottrina[23].

Maggiormente innovativa è la parte della sentenza che si occupa dei c.d. presupposti sostanziali del reato complesso, individuati nell’unità di contesto e nell’unitaria prospettiva finalistica che devono sussistere tra i reati che compongono la fattispecie: requisiti che, pur se già oggetto di elaborazione e applicazione in diverse pronunce di legittimità[24], con l’intervento delle Sezioni Unite trovano un’esplicita ed efficace definizione.

La Corte di legittimità, in questo modo, si pone in linea con quegli orientamenti dottrinali che, allo scopo di attribuire all’art. 84 c.p. una funzione specifica e distinta rispetto a quella dell’art. 15, hanno rinvenuto il fondamento del reato complesso nell’esistenza di una connessione sostanziale tra i reati oggetto di unificazione normativa, e in particolare di un vincolo di carattere teleologico-funzionale tra i medesimi[25]. Secondo tale concezione, che ora sembra essere stata accolta anche dalle Sezioni Unite, proprio l’esistenza di un simile vincolo fonda e giustifica la scelta legislativa di fondere più figure di reato in un reato complesso, applicandovi una pena unitaria; in quei casi in cui tale connessione sostanziale in concreto non sussista, di conseguenza, non si rientrerà nel campo di applicazione dell’art. 84, ma tornerà a operare la disciplina ordinaria in tema di concorso di reati.

7.2. Tale ricostruzione dogmatica dei profili generali del reato complesso ha alcune dirette conseguenze applicative sul delitto di omicidio aggravato dall’essere stato commesso dall’autore del reato di atti persecutori, inquadrato dalle Sezioni Unite nell’ambito dell’art. 84 c.p.

In primo luogo, l’impostazione seguita dalle Sezioni Unite preclude la possibilità di applicare l’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. in tutti quei casi in cui l’omicidio sia commesso dall’autore di precedenti fatti di stalking, nei confronti della stessa vittima, ma per ragioni che non hanno nessuna connessione con la precedente condotta persecutoria[26]: la figura complessa, per l’appunto, sussisterà nelle sole ipotesi in cui il fatto di omicidio rappresenti lo sviluppo finale della condotta persecutoria, in coerenza con il fondamento politico-criminale della norma in esame.

In secondo luogo, la tesi interpretativa delle Sezioni Unite dovrà condurre a escludere la sussistenza della fattispecie aggravata de qua altresì in quei casi in cui tra il fatto di omicidio e gli atti persecutori sussista un effettivo collegamento teleologico – o, per usare le parole della Corte, una “comune prospettiva finalistica” – ma in presenza di una significativa cesura temporale, mancando il requisito della contestualità. Vale peraltro la pena di rilevare che l’elemento della contestualità spazio-temporale, che le Sezioni Unite elaborano alla luce dell’addotto “fondamento sostanziale comune” tra l’istituto del reato complesso e quello del concorso formale di reati, in dottrina non è comunemente considerato un presupposto per l’applicazione dell’art. 84 c.p., attribuendosi piuttosto rilievo alla sussistenza in concreto di un rapporto “di mezzo a fine” tra i fatti di reato componenti la fattispecie complessa.

In entrambi questi casi, non sussistendo i requisiti della circostanza aggravante speciale, sarà ripristinata l’applicabilità delle regole ordinarie in tema di concorso di reati, le quali opereranno – è opportuno precisarlo – tra il delitto di atti persecutori e il delitto di omicidio in forma semplice, non aggravata.

7.3. La soluzione accolta dalle Sezioni Unite, inoltre, ci consente di chiarire un ulteriore profilo di incertezza concernente l’art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p., e in particolare se, ai fini dell’applicabilità di tale norma, sia necessario che l’autore del delitto di atti persecutori sia stato condannato in maniera definitiva per questo reato. La risposta non può che essere, a nostro giudizio, negativa: il reato complesso è, infatti, una figura unitaria e pienamente autonoma rispetto ai reati che ne costituiscono gli elementi essenziali, cui il legislatore assegna una pena considerata adeguata in relazione al disvalore complessivo del fatto. Si tratta, pertanto, di un’unità legale non più scindibile nelle proprie componenti, che di conseguenza non dovranno essere oggetto di un procedimento penale a sé stante.

Quid iuris, allora, nel caso in cui sia già intervenuta una condanna passata in giudicato rispetto al reato componente? Il problema è stato affrontato in alcune occasioni dalla Corte di legittimità, che ha ritenuto che in simili situazioni non sia preclusa la contestazione del reato complesso in un successivo procedimento penale, ma il giudice sarà tenuto a considerare il primo reato assorbito in quest’ultimo, sicché non sarà possibile il cumulo delle pene in sede esecutiva[27].

 

8. Da ultimo, un lapidario commento rispetto a due passaggi motivazionali che, nonostante l’accuratezza dell’impianto argomentativo della Suprema Corte, ci sembrano presentare alcune incongruenze.

Non del tutto convincente ci pare, in primo luogo, quanto sostenuto dalla pronuncia in esame rispetto alla differente circostanza aggravante di cui al n. 5 dell’art. 576 c. 1.

Come già ricordato, i giudici di legittimità affermano che il fatto che la norma richieda espressamente un nesso di occasionalità tra il delitto di omicidio e gli altri reati elencati avrebbe l’effetto di far venir meno la necessità di accertare un rapporto di connessione tra i fatti in questione. In assenza di un collegamento di carattere teleologico o funzionale tra i fatti rilevanti, tuttavia, il solo rapporto di occasionalità non ci sembra sufficiente a fondare lo specifico disvalore alla base della costruzione di un reato complesso, lasciando adito ad applicazioni irragionevoli. Tra l’altro, considerata la rilevanza attribuita dalle stesse Sezioni Unite ai requisiti sostanziali del reato complesso, dei quali la c.d. prospettiva finalistica unitaria appare un elemento fondamentale, valorizzare fino a questo punto la scelta terminologica del legislatore ci sembra un’operazione non pienamente coerente con le sue premesse.

Profili di criticità emergono, poi, dall’obiter dictum delle Sezioni Unite relativo al rapporto tra lesioni e atti persecutori, in considerazione del rinvio operato dall’art. 585 c.p. all’art. 576.

La pronuncia, nel tentativo di ovviare almeno in parte al problema di dover considerare assorbito il delitto di atti persecutori nel delitto di lesioni aggravate, punito meno severamente, giunge a sostenere che, nella maggior parte dei casi, tra lesioni e atti persecutori non sussisterebbe quella “comune prospettiva finalistica” che invece caratterizza il rapporto tra atti persecutori e omicidio. Tale asserzione, che non viene supportata da precisi riferimenti criminologici, ci appare tuttavia non pienamente rispondente al senso comune, in quanto ci sembra che – contrariamente a quanto si legge nella sentenza – anche condotte lesive dell’altrui integrità fisica possano essere caratterizzate dallo scopo di condizionamento e annientamento della personalità della vittima, inserendosi pienamente nel contesto persecutorio.

Il problema, piuttosto, avrebbe potuto trovare considerazione sotto un profilo non affrontato dalle Sezioni Unite, quello della c.d. continenza del reato complesso. La ratio alla base dell’art. 84 c.p., invero, come già sottolineato sembra presupporre che la pena prevista dal legislatore per il reato “assorbente” sia proporzionata e adeguata in relazione al disvalore penale delle fattispecie “assorbite”: in questa prospettiva, dunque, non sarebbe forse scorretto sostenere, come fatto da autorevole dottrina, che «per l’elementare principio di proporzione giuridica il reato complesso non può assorbire quei fatti criminosi già di per sé sanzionati in modo più grave dello stesso reato complesso. Il disvalore complessivo e la conseguente sanzione di un reato, risultante dalla fusione di più reati, non possono essere inferiori al disvalore e alla sanzione del singolo reato componente»[28].

 

 

[1] Cass. pen., Sez. V, ord. 1° marzo 2021 (dep. 20 aprile 2021), n. 14916, di cui abbiamo già dato atto in S. Bernardi, L’omicidio aggravato per essere stato commesso dall’autore del delitto di stalking è un reato complesso? La parola alle Sezioni Unite,  30 aprile 2021.

[2] Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2019 (dep. 14 maggio 2019), n. 20786, con commento di C. Cataneo, La Cassazione sull’omicidio aggravato dall’essere stato commesso dall’autore di atti persecutori: reato complesso o concorso di reati?, 14 maggio 2020.

[3] In altri termini, secondo questa ricostruzione scopo della circostanza aggravante in esame sarebbe non quello di punire le condotte di atti persecutori poi sfociate nell’omicidio della vittima, bensì quello di sanzionare più severamente fatti di omicidio il cui disvalore aggiuntivo deriva «dall’essere l’autore colui che prima, non importa quando, ha oppresso la vittima con atti persecutori»: così Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2019 (dep. 14 maggio 2019), n. 20786, § 1.3.

[4] Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2020 (dep. 6 novembre 2020), n. 30931, con commento di S. Bernardi, La Cassazione torna sul rapporto tra l’omicidio aggravato ex art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p. e il delitto di atti persecutori: escluso (questa volta) il concorso di reati, 8 gennaio 2021

[5] Secondo quest’impostazione, cioè, poiché «la pena si giustifica non per ciò che l’agente è, ma per ciò che ha fatto. In altri termini, ciò che aggrava il delitto di omicidio non è il fatto che esso sia commesso dallo stalker in quanto tale, ma che esso sia stato preceduto da condotte persecutorie che siano tragicamente culminate, appunto, con la soppressione della vita della persona offesa»: così Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2020 (dep. 6 novembre 2020), n. 30931, § 7.

[6] Nello specifico, la Quinta Sezione della Cassazione rintraccia due questioni interpretative di rilievo, delle quali la seconda «rappresenta l’esito della risoluzione della prima questione, ma ne costituisce contemporaneamente anche il presupposto logico»: a) il problema del rapporto astratto tra le fattispecie in esame, e dunque dell’applicabilità o meno della disciplina di cui all’art. 84 c.p., e b) il problema dell’interpretazione dell’aggravante di cui all’art. 576 c. 1 n. 5.1. c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. V, ord. 1° marzo 2021 (dep. 20 aprile 2021), n. 14916, § 6).

[7] Cass. pen., Sez. V, ord. 1° marzo 2021 (dep. 20 aprile 2021), n. 14916, § 8; avevamo del resto sostenuto il medesimo argomento in S. Bernardi, La Cassazione torna sul rapporto tra l’omicidio aggravato ex art. 576 c. 1 n. 5.1 c.p. e il delitto di atti persecutori, cit.

[8] Le Sezioni Unite ribadiscono, come già i propri precedenti, l’inapplicabilità nel caso di specie del criterio di specialità di cui all’art. 15 c.p., mancando qualsiasi rapporto di interferenza strutturale tra i delitti di omicidio (da intendersi: nella forma semplice) e il delitto di atti persecutori. Nello stesso senso, nessun rilievo può essere attribuito alla clausola di riserva che apre l’art. 612-bis, la quale può applicarsi nei soli casi in cui il medesimo fatto di atti persecutori integri altro più grave reato e non in situazioni in cui invece si prospetterebbe un concorso materiale di reati.

[9] È questo il caso, a giudizio delle Sezioni Unite, della condizione di persona facente parte di un’associazione finalizzata alla commissione di reati di contrabbando ex art. 81 n. 4 l. 17 luglio 1942, n. 907, rispetto alla quale si è ravvisato il concorso tra il reato di contrabbando e quello di associazione per delinquere (così Cass., Sez. III, 5 ottobre 2016, n. 11916, Colombo, Rv. 269276).

[10] Viene fatto l’esempio del delitto di rissa aggravata dalla morte o dalle lesioni subite da taluno nel corso della stessa, che secondo l’impostazione maggioritaria concorre con i delitti di omicidio o lesioni in quanto gli eventi aggravanti rilevano all’interno dell’art. 588 c. 2 non in tutte le componenti materiali e psicologiche previste dagli artt. 575 e 582, ma nella loro oggettiva verificazione quale conseguenza della colluttazione (cfr. ad es. Cass. Sez. I, 7 aprile 2016, n. 30215, R., Rv. 267224). Considerazioni analoghe valgono rispetto al delitto di rissa aggravato dall’uso di armi, che non assorbe il delitto di porto illegale (Cass. Sez. II, 18 novembre 2014, n. 8999, Di Stefano, Rv. 263229).

[11] In questo senso, la giurisprudenza esclude l’assorbimento del reato di falso in atto pubblico in quello di truffa, del quale il falso abbia costituito in concreto un artificio (Cass. Sez. V, 5 novembre 2018, n. 2935, Manzo, Rv. 274589), ovvero l’assorbimento nel delitto di usura del reato di esercizio abusivo di attività finanziaria (Cass. Sez. II, 4 ottobre 2019, n. 43916, Abbate, Rv. 277740).

[12] Cfr. Cass. Sez. II, 18 dicembre 2015, n. 1925, Singh, Rv. 265990; Cass, Sez. II, 28 marzo 2018, n. 17147, Andolina, Rv. 272808.

[13] Cfr. Cass. Sez. III, 12 marzo 2014, n. 23898, R., Rv. 259433.

[14] Cfr. § 7 della pronuncia in commento.

[16] Cfr. § 8.1 della pronuncia in commento.

[17] Cfr. § 8.2 della pronuncia in commento.

[18] Sono richiamate, in merito, Cass. Sez. I, 29 gennaio 2008, n. 12680, Giorni, Rv. 239365; Cass. Sez. I, 10 febbraio 1992, n. 4690, De Pasquale, Rv. 189872.

[19] Cfr. § 8.4 della pronuncia in commento.

[20] Le Sezioni Unite superano altresì due ulteriori rilievi sollevati dal Procuratore Generale, sottolineando, da un lato, che nessuna difficoltà di carattere tecnico deriva dalla natura di reato abituale del delitto di stalking, in quanto in tal caso è lo stesso legislatore ad aver assunto una condotta abituale quale fatto aggravante di un reato istantaneo; d’altro lato, che l’assorbimento del delitto di atti persecutori nella fattispecie aggravata non determina alcuna irragionevole riduzione di pena per lo stalker, al quale viene anzi applicata la massima pena dell’ergastolo.

[21] Si rimanda ai diversi contributi di C. Cataneo e S. Bernardi già citati.

[22] In questi termini, per tutte, Cass. 15 febbraio 1990, n. 7780, Ferrari, Rv. 184511.

[23] Sul punto cfr., in particolare, S. Prosdocimi, Reato complesso, in Digesto disc. pen., XI, 1996, p. 213; G. Marinucci – E. Dolcini – G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, X ed., Milano, 2021, p. 603.

[24] Oltre alla giurisprudenza in tema di furto o rapina in abitazione e di violenza sessuale mediante minaccia, richiamata supra al § 3.2, possiamo altresì ricordare quelle pronunce di legittimità che hanno considerato il delitto di sequestro di persona assorbito nei reati di rapina aggravata o di violenza sessuale nei soli casi in cui la privazione della libertà personale fosse strettamente limitata al tempo necessario per la consumazione della rapina o della violenza sessuale, quale mezzo necessario per la loro esecuzione (cfr., da ultimo, Cass. 22 settembre 2016, n. 55302, D., Rv. 268534).

[25] Può rimandarsi, per tutti, a F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, X ed., 2017, p. 479; A. Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, VIII ed., 2003, p. 628; S. Prosdocimi, Reato complesso, cit., p. 218; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale (artt. 1-84), III ed., 2004, 797; G. Vassalli, Reato complesso, EdD, XXXVIII, 1987, §8. Per una trattazione sintetica della questione può altresì farsi riferimento, volendo, a S. Bernardi, sub Art. 84 cod. pen., in E. Dolcini - G.L. Gatta, Codice penale commentato, V ed., Milano, 2021, p. 1605 ss.

[26] Il fatto che la norma in esame testualmente non richiede alcun collegamento di carattere cronologico o eziologico tra la condotta di atti persecutori e l’omicidio aveva infatti fatti sorgere il rischio di tale esito interpretativo irragionevole: sul punto cfr. C. Cataneo, La Cassazione sull’omicidio aggravato dall’essere stato commesso dall’autore di atti persecutori, cit.

[27] Cfr. Cass. Sez. V, 4 aprile 2003, n. 37567, Sivieri, Rv. 228297, secondo la quale «Qualora il delitto di appropriazione indebita sia stato oggetto di sentenza di condanna prima della dichiarazione di fallimento, non è preclusa nel successivo procedimento per bancarotta la contestazione del reato fallimentare, ma in tal caso il giudice deve, in sede di eventuale condanna per tale ultimo reato, considerare assorbito quello sanzionato ai sensi dell'art. 646 cod. pen., secondo un principio di equità che trova espressione anche nello scioglimento del giudicato sulle pene in caso di riconoscimento della continuazione in fase esecutiva»; nello stesso senso anche Cass. Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 48743, Flecchia, Rv. 261301.

[28] In questi termini F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 480.