Cass., Sez. un., sent. 28 ottobre 2021 (dep. 10 febbraio 2022), n. 4616, Pres. Cassano, est. Sarno
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1. Come da più tempo auspicato, le Sezioni unite si sono espresse sulla legittimità della c.d. “pornografia minorile domestica”. Da anni si susseguivano decisioni di legittimità, tra loro non sempre coerenti, sulla questione se un minore potesse acconsentire alla realizzazione di immagini e video di contenuto intimo, qualora la situazione fosse priva di abusività. Si pensi a due giovani fidanzati che si realizzino a vicenda foto osé, e magari – come non è infrequente accada[1] – inviino gli scatti a terzi. Nel porre un punto fermo alla questione, la decisione della Cassazione non è tuttavia priva di elementi critici. Essa adombra infatti alcuni aspetti che, nel prossimo futuro, è facile daranno adito a nuove diatribe.
2. Tre sono i punti cardine della decisione delle Sezioni unite, commentata su questa Rivista da Silvia Bernardi[2]: innanzitutto, l’identificazione del bene giuridico tutelato dalla disciplina; dopodiché, l’elaborazione del concetto di “utilizzazione” del minore; infine, la rilevanza penale della diffusione dei materiali pornografici prodotti col consenso del minore, e pertanto i rinvii interni all’art. 600 ter c.p. Senza bisogno di presentare nuovamente la sentenza, sia permesso ricordare l’esito a cui la Corte è giunta.
Da una, viene esclusa l’utilizzazione del minore (e con essa il reato di produzione di materiale pedopornografico ex 600 ter, primo comma) qualora, “all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell’età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore” non si riscontrino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore, “restando escluse dalla rilevanza penale solo condotte realmente prive di offensività rispetto all’integrità psico-fisica dello stesso”. Nel nostro esempio, qualora due fidanzati, senza costrizione alcuna e in un sano contesto relazionale, decidano di realizzare simili immagini, tale condotta non costituirà produzione di materiale pedopornografico.
Dall’altra, la Corte si è espressa rigorosamente contro l’invio a terzi dei materiali così realizzati: “[l]a diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600 ter, terzo e quarto comma, cod. pen. ed il minore non può prestare consenso ad essa”. Le immagini non potranno pertanto venire inviate a nessun’altra persona, anche se il minore vi acconsentisse. Tale invio, sostiene la Cassazione richiamando l’elaborazione dottrinale, comporterebbe infatti una sorta di utilizzazione del minore in una fase successiva alla produzione dei materiali[3].
Qualora tuttavia la diffusione fosse stata voluta già al momento dell’originaria realizzazione delle immagini, ciò integrerà la più severa fattispecie di produzione di materiale pornografico di cui al primo comma. In questa situazione il minore verrebbe infatti utilizzato già al momento della produzione delle immagini. Si pensi a un soggetto che registri un video con il proposito di inviarlo a terzi. Anche in tal contesto non rileva se il minore sia o meno d’accordo.
Differenziare tra produzione “privata” e produzione a fini diffusivi, e vietare in ogni caso la diffusione a terzi delle immagini, pare, a chi scrive (e con i distinguo di cui si dirà a breve), una soluzione ragionevole. Essa bene equilibra la tutela del minore con il riconoscimento della sua graduale autonomia, e concilia al contempo l’interesse del minore concreto con interessi di carattere più collettivo[4]. Nonostante la sentenza non faccia accenni comparatistici, è importante notare come tale esito corrisponda, in buona sostanza, alla disciplina vigente in Germania[5]. Prima di rilevare alcuni elementi tuttora critici della disciplina, va perciò riconosciuto alle Sezioni unite di aver tratteggiato una soluzione, in generale, bilanciata e ragionevole.
3. Eccoci così giunti agli aspetti problematici della decisione. Essa riporta infatti due brevi passaggi, non ulteriormente motivati, che destano non poche perplessità.
Da un lato, la responsabilità “dell’adulto” per la successiva diffusione del materiale pornografico verrà esclusa soltanto “per eventi imprevedibili a lui non imputabili” e solo qualora “dimostri di aver adottato le necessarie cautele per scongiurarla o di non averla potuto impedire”. La sentenza non elabora ulteriormente tali requisiti[6]. Tale affermazione sembra richiedere di punire in forza dei reati (dolosi) di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 600 ter pure colui che abbia dato adito alla diffusione del materiale pornografico con un comportamento tutt’al più colposo: si pensi a un soggetto che, sovrappensiero, lasci incustodito il dispositivo in cui ha salvato le immagini pornografiche, permettendo così a terzi di accedervi e diffonderle. Nonostante le perniciose conseguenze di tale scenario, pare lecito chiedersi se sia ammissibile punire a titolo di dolo un comportamento che è (eventualmente) colposo[7].
Sebbene si tratti di un reato comune, non è inoltre chiaro se le Sezioni unite restringano tale responsabilità al solo adulto. Vero è che nel caso in esame l’autore della condotta era un maggiorenne; tuttavia, in questo punto la decisione elabora in astratto le conseguenze della nuova disciplina, sicché l’espresso riferimento all’“adulto” legittima più di un dubbio a riguardo. Sia su tale aspetto, sia sulla concreta delimitazione degli “eventi imprevedibili” non imputabili al soggetto, sarà in futuro necessaria ulteriore elaborazione.
4. Dall’altro, la sentenza osserva che qualora la circolazione del materiale sia “imputabile all’iniziativa esclusiva del minore, la responsabilità della circolazione incomberà su quest’ultimo”. Trattandosi di un reato comune, infatti, la disposizione non consente di operare distinzioni tra minore ed adulto[8]. Tramite questa affermazione pare che le Sezioni unite abbiano voluto attribuire rilevanza penale a talune condotte di sexting, in cui il minore invia a terzi, con cui (ancora) non intrattiene una relazione sentimentale, i propri scatti intimi. Tale non raro fenomeno può avere luogo nel contesto di un corteggiamento ampiamente inteso, oppure per esibizionismo, scherzo, o per altre ragioni ancora[9]. A riguardo si possono svolgere varie considerazioni critiche.
4.1. Innanzitutto, ci si può chiedere se alla diffusione da parte del minore di scatti intimi che lo raffigurino, ma che siano stati realizzati da altra persona, non sia assimilabile la diffusione di materiali autoprodotti dal minore. Nel primo caso il minore diffonde immagini che lo ritraggono, ma realizzate – mettiamo – dal suo compagno; nel secondo, il minore diffonde immagini che si è realizzato da solo. La sentenza si è espressamente limitata ad esaminare la rilevanza penale dei soli materiali pornografici eteroprodotti, il cui autore sia persona diversa dal minore ritratto. Molto spesso, tuttavia, a venire diffusi sono materiali autoprodotti. Qualora tramite il divieto assoluto di diffusione si intenda tutelare un interesse collettivo (che si oppone alla circolazione di materiali pedopornografici, a prescindere dalla loro origine), la risposta dovrebbe essere affermativa: la diffusione di immagini pedopornografiche, pur realizzate lecitamente, dovrebbe essere sempre vietata, a prescindere che autore materiale di esse fosse un terzo oppure il minore stesso[10].
4.2. Dopodiché, ben possono darsi situazioni in cui la diffusione a terzi dei propri scatti intimi, da parte del minore, non corrisponda allo scenario nocivo che i giudici avevano probabilmente in mente al momento della stesura della decisione. Si pensi a un caso in cui il materiale venga offerto a un soggetto terzo rispetto alla sua produzione, ma con il quale il minore stia intrattenendo un rapporto sentimentale. In concreto, una minore che invia al fidanzato delle immagini che la ritraggono in pose lascive, realizzate l’anno precedente dal precedente compagno. Che tale condotta presenti l’offensività che il reato di cessione di materiale pornografico presuppone, pare alquanto opinabile. Al contrario, questo scenario è assimilabile a quello trattato dalla sentenza, caratterizzato dallo scambio di immagini intime all’interno di un contesto privo di abusività. Fatta salva l’esigenza di un rigoroso esame di tali condizioni, meglio sarebbe far rientrare pure tale condotta nell’autonomia sessuale della giovane[11].
4.3. Infine, è doveroso domandarsi se il diritto penale sia lo strumento opportuno a prevenire e reprimere tali condotte. Incriminare il minore di diffusione di materiali pedopornografici per aver diffuso proprie (!) immagini intime non pare infatti coerente né con le indicazioni internazionali, le quali richiedono che il diritto penale venga utilizzato nei confronti del minore soltanto quale extrema ratio, né, a maggior ragione, con i principi di sussidiarietà penale e meritevolezza di pena. Altri strumenti, preventivi e riparativi, paiono promettere effetti deterrenti sia più efficaci sia maggiormente rispettosi della particolare situazione soggettiva del minore di età[12].
Vero è che il codice del processo penale minorile (d.p.r. 448/1988) presenta vari strumenti per evitare di giungere a condanna, quale ad es. la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto[13]; tuttavia, ciò non toglie che il minore verrebbe comunque coinvolto in un procedimento (se non processo) penale per aver inviato a terzi proprie immagini. Un esito, questo, difficilmente compatibile con il principio di minima lesività che contraddistingue l’ordinamento penale minorile. Su questo aspetto pare necessario l’intervento del legislatore, che appresti una disciplina che concili esigenze generalpreventive con la specificità della situazione minorile.
5. Un ulteriore aspetto critico, di diversa natura, è che le Sezioni unite non si confrontano in dettaglio con la mancata implementazione, da parte del legislatore italiano, della clausola di non punibilità proposta in sede convenzionale ed eurounitaria[14]. A tale non facere la precedente giurisprudenza della Corte aveva riconosciuto rilevanza ermeneutica di vario segno, talvolta ritenendolo in sostanza irrilevante, talaltra attribuendovi un chiaro valore interpretativo, nel senso di confermare l’illiceità del sexting minorile[15]. Più volte autorevoli organismi internazionali avevano invitato a dare seguito a tali clausole[16], come vari Stati europei hanno fatto[17]. Vero è che la Corte si è premurata di sottolineare che sia la stessa disciplina positiva a rendere necessarie tali conclusioni, in quanto sarebbe la nozione di “utilizzazione” a circoscrivere l’area del penalmente rilevante. Altrettanto vero è che, tuttavia, il legislatore democratico non ha inteso escludere da tale area le condotte di pornografia domestica.
In sostanza, la Cassazione è giunta ad introdurre una disciplina di non punibilità della pornografia domestica minorile, assimilabile a quanto proposto dalla Convenzione di Lanzarote e dalla direttiva 2011/93/UE, ma non recepito dal legislatore italiano. I principi di diritto affermati dalle Sezioni unite non permettono infatti di escludere l’utilizzazione del minore, e con essa la rilevanza penale, soltanto nella produzione di materiale pedopornografico: a determinate condizioni, essi legittimano anche lo scambio e la detenzione del materiale. Si pensi a un minore che scatti delle immagini intime alla sua compagna, pure minore, e gliele invii. La decisione in commento non priva di rilevanza penale la mera produzione del materiale pornografico (in quanto la giovane non sarebbe stata utilizzata), bensì pure l’invio dello stesso alla minore ritratta, e la sua detenzione da parte dell’autore degli scatti. Si è pertanto in presenza di una vera e propria disciplina di non punibilità per la pornografia minorile domestica, perlomeno in riferimento ad alcuni dei suoi scenari più pregnanti.
Nonostante l’esito sia ampiamente condivisibile, non si può non notare come l’origine esclusivamente giurisprudenziale di tale disciplina mal si concili con una propria comprensione della divisione dei poteri, e con il principio democratico. Alla sua introduzione, infatti, avrebbe dovuto provvedere il legislatore, e non la magistratura. Nella migliore delle ipotesi, il procedimento decisionale pubblico avrebbe anche potuto permettere un maggiore apprezzamento delle evidenze scientifiche sul tema, nonché la predisposizione di un quadro normativo coordinato e non limitato agli strumenti penali.
6. In particolare, un procedimento decisionale pubblico avrebbe permesso, come imposto dal diritto internazionale, un coinvolgimento dei minori di età quali categoria direttamente interessata dalla novella. L’art. 12 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sancisce infatti che ogni minore capace di discernimento ha il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo riguarda, e di vedere le proprie opinioni “debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità”[18]. Sebbene spesso considerata una “dichiarazione d’amore”[19], la Convenzione presenta una forza giuridicamente cogente che non di rado sfugge all’interprete: non solo è stata riconosciuta dalla Corte costituzionale quale parametro interposto di legittimità costituzionale[20], ma essa – in quanto ratificata da tutti gli Stati membri dell’UE – va ricondotta alle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi membri, spettandole pertanto il rango di diritto primario in quanto principio di diritto dell’Unione[21].
Considerato uno dei principi cardine della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’obbligo di ascolto del minore di cui al suo art. 12 presenta pacifico rilievo pure in termini collettivi: di fronte a innovazioni legislative che li riguardino direttamente, i minori vanno coinvolti nel processo decisionale[22]. L’introduzione di una disciplina di non punibilità per la pornografia minorile domestica rientra, chiaramente, tra le modifiche legislative di rilievo per i minori. L’obbligo che la Convenzione prevede, si noti, è molto forte: lo Stato non dispone di discrezionalità alcuna con riguardo all’an della considerazione dell’opinione del minore: pur non essendo tenuto ad adeguarvisi, l’ente pubblico è obbligato ad ascoltare i minori e considerare debitamente la loro opinione[23]. Non che ci si illuda che il legislatore avrebbe dato seguito a tali istanze, più volte non avendo mostrato particolare sensibilità a riguardo. Un procedimento giurisdizionale, tuttavia, elide ab origine tale possibilità.
In conclusione, è doveroso riconoscere come una tale elaborazione giurisprudenziale sia stata resa necessaria dall’assenza del legislatore. Questi, infatti, non pare avere sufficientemente considerato come l’assenza di una clausola di non punibilità avrebbe inciso sulla ragionevolezza della disciplina penale e sui diritti fondamentali del minore. Vero è che non ci si può attendere che il legislatore sia in grado di tenere sempre testa all’incessante mutamento della tecnologia e dei costumi sociali, sicché spesso sarà inevitabile che sia il diritto giurisprudenziale a farvi fronte[24]. In questo caso, tuttavia, una maggiore attenzione in sede legislativa avrebbe probabilmente reso superfluo un intervento suppletivo della giurisprudenza, contribuendo a un quadro normativo più stabile e a una maggiore fiducia sociale in esso.
[1] Confermano l’ampia diffusione del c.d. sexting, quindi l’invio a terzi, conosciuti o meno, di immagini o video latamente autorealizzati, Stoilova, Livingstone, Khazbak, Investigating Risks and Opportunities for Children in a Digital World, Unicef Office of Research – Innocenti, Firenze, 2021, 45 ss.; Madigan, Ly, Rash, Van Ouytsel, Temple, Prevalence of Multiple Forms of Sexting Behavior Among Youth. A Systematic Review and Meta-Analysis, in JAMA Pediatr., 2018, 172(4), p. 327, 332 s.; Radford, Allnock, Hynes, Preventing and Responding to Child Sexual Abuse and Exploitation: Evidence review, Unicef, Ginevra, 2015, p. 20, 28; Gillespie, Adolescent, Sexting and Human Rights, in Human Rights Law Review, 2013, p. 623 ss. Si v. inoltre i contributi in Saleh, Grudzinskas, Judge (a cura di), Adolescent Sexual Behavior in the Digital Age, Oxford University Press, Oxford, 2014.
[2] Bernardi, Le Sezioni unite chiariscono i limiti della (ir)rilevanza della “pedopornografia domestica” ai sensi dell’art. 600-ter c.p., in questa Rivista, 25 febbraio 2022.
[3] Si v. il par. 9.3 del “considerato in diritto”; per tale pensiero sia permesso fare riferimento a Rosani, “Send nudes”. Il trattamento penalistico del sexting in considerazione dei diritti fondamentali del minore d’età, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2, 2019, p. 16. Va tuttavia criticamente osservato come, a rigore, i commi terzo e quarto dell’art. 600 ter non richiedano più l’“utilizzazione” del minore: se è vero, in senso lato, che la strumentalizzazione del minore, in tale scenario, interviene solo al momento della illecita diffusione dei materiali, è altrettanto vero che tali capoversi non richiedono che il minore venga strumentalizzato al fine di reprimere la condotta; a maggior ragione dopo che la giurisprudenza di legittimità nel 2020 ha reciso i rapporti tra il primo comma e i capoversi della disposizione (Cass., sez. III penale, sent. 5522/2020).
[4] Sulla non agevole definizione del bene giuridico tutelato dalla disciplina di contrasto alla pedo-pornografia si v. in dottrina, ex multis, Mantovani, Diritto penale. Parte speciale I, Delitti contro la persona, Cedam/Wolters Kluwer, Milanofiori, 2016, p. 462 ss.; Fiandaca, Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo I, Zanichelli, Bologna, 2013, p. 170; Picotti, Pornografia minorile: evoluzione della disciplina penale e beni giuridici tutelati, in Fioravanti (a cura di), La tutela penale della persona, Giuffrè, Milano, 2001, p. 300 s., 308; Cadoppi, Art. 1, in Id. (a cura di), Commentari delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, Cedam, Padova, 1999, p. 432. Per una ricognizione comparata del tema si v. invece Helfer, Sulla repressione della prostituzione e pornografia minorile. Una ricerca comparatistica, Cedam, Padova, 2007, p. 57 s.
[5] Una similare soluzione era stata proposta da Bianchi, I confini della repressione penale della pornografia minorile, Giappichelli, Torino, 2019, p. 419 ss., 624 e passim; nonché, in questa Rivista, dall’autore di queste righe: Rosani, Sexting minorile: le Sezioni unite chiamate ad esprimersi sul materiale pedopornografico prodotto col consenso del minore (600-ter c.p.), 29 settembre 2021. Per un’analisi della sentenza in prospettiva comparata si veda, prossimamente, Rosani, Sexting zwischen Minderjährigen – Jüngste Entwicklungen in der höchstgerichtlichen Rechtsprechung Italiens (unter deutschem Einfluss?), in Zeitschrift für die gesamte Strafrechtswissenschaft, 2022, n. 2.
[6] Par. 9.3 del “considerato in diritto”.
[7] Critica a riguardo pure Bernardi, Le Sezioni unite chiariscono i limiti della (ir)rilevanza della “pedopornografia domestica” ai sensi dell’art. 600-ter c.p., cit., pt. 9.
[8] Par. 9.3 del “considerato in diritto”.
[9] In tal senso Bernardi, Le Sezioni unite chiariscono i limiti della (ir)rilevanza della “pedopornografia domestica”, cit., pt. 9. Sulla diffusione del fenomeno si v. la nota in apertura.
[10] A favore di un “intervento paternalistico di natura penale” qualora le immagini rischino di venir messe in circolazione, a prescindere che queste siano eteroprodotte oppure autoprodotte, Bianchi, I confini della repressione penale della pornografia minorile, cit., p. 408. L’autrice richiede pure di accertare in termini criminologici quanto spesso simili immagini vengano effettivamente diffuse senza il consenso del minore: ivi, p. 414.
[11] Pure in tal senso Bernardi, Le Sezioni unite chiariscono i limiti della (ir)rilevanza della “pedopornografia domestica”, cit., pt. 9.
[12] Richiede in tal senso che la risposta in simili casi non sia di natura penale, proponendo un ammonimento ad hoc da parte del questore, simile a quello previsto dalla disciplina sul cyberbullismo, Bianchi, I confini della repressione penale della pornografia minorile, cit., p. 634 ss.
[13] In tal senso osserva che il Tribunale per i minorenni potrà fare uso degli strumenti predisposti dal d.p.r. 448/1988, in particolare l’irrilevanza del fatto ex art. 27 e la mediazione nel contesto dell’art. 28, Salvadori, Sexting, minori e diritto penale, in Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa (a cura di), Cybercrime, Utet, Milano, 2019, p. 594.
[14] Permettevano di introdurre una clausola di non punibilità per la condotta qua oggetto d’esame l’art. 3, comma 3, lit. b, della decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’UE, l’art. 20, para. 3, della Convenzione di Lanzarote, e l’art. 8, comma 3, della direttiva 2001/93/UE. Sul punto si v. il par. 3.2 del “considerato in diritto”. Critica con la mancata implementazione di tali clausola, ex multis, Verza, Sexting e pedopornografia: i paradossi, in Ragion pratica, 2013, p. 575, 589.
[15] Il primo orientamento si riscontra ad es. in C. Cass., sez. un. pen., 51815/2018, pt. 4.1.3 del “considerato in diritto”: “Non osta a tale conclusione la circostanza che il legislatore interno […] non abbia ritenuto di fissare espresse esclusioni rispetto alla generalizzata rilevanza penale della pornografia minorile”. La seconda opinione si rinviene invece in C. Cass., sez. III pen., sent. 47239/2012, pt. 2 del “considerato in diritto” (“In proposito appare opportuno ricordare che […] erano state presentate proposte volte ad introdurre alcune cause di non punibilità. […] Detta proposta non è stata recepita, però, nel testo finale della legge e ciò si pone a conferma delle conclusioni dianzi enunciate”) e nell’ordinanza di rimessione, al pt. 2.3 e 4.1 del “considerato in diritto”: “Non sembra a questo Collegio trascurabile la considerazione che il legislatore nazionale non abbia ritenuto di esercitare la facoltà […] che consentiva di stabilire che l’incriminazione della produzione e del possesso di materiale pedopornografico non fosse applicabile”.
[16] Si v., in particolare, Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, General comment No. 25 (2021) on children’s rights in relation to the digital environment, 2 marzo 2021, par. 118; Consiglio d’Europa, Comitato di Lanzarote, Opinion on child sexually suggestive or explicit images and/or videos generated, shared and received by children, 6 giugno 2019; Consiglio ONU per i diritti umani, Report submitted by the Special Rapporteur on the right to privacy, Joseph Cannataci, A/HRC/43/52, 24 marzo 2020, par. 33 e 34 (k); Id., Artificial intelligence and privacy, and children’s privacy. Report of the Special Rapporteur on the right to privacy, Joseph A. Cannataci, A/HRC/46/37, 25 gennaio 2021, par. 98 (c).
[17] Sulla previsione di simili clausole negli ordinamenti europei si v. A. Chatzinikolaou, E. Lievens, A legal perspective on trust, control and privacy in the context of sexting among children in Europe, Journal of Children and Media, 2020, p. 38 ss.; nonché sia permesso il riferimento a Rosani, The Increasing Recognition of Child Rights by European Constitutions and its Relevance for the Criminal Regulation of Sexting, in P. Czech, L. Heschl, K. Lukas, M. Nowak, G. Oberleitner (a cura di), European Yearbook on Human Rights 2020, Intersentia, Cambridge, 2020, p. 349 ss.
[18] Questa la traduzione utilizzata dalla legge di ratifica: legge 27 maggio 1991, n. 176, Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, G.U.R.I. 11 giugno 1991, n. 135.
[19] Per l’immagine della “dichiarazione d’amore” si v. Verhellen, The Convention on the Rights of the Child: Reflections from a historical, social policy and educational perspective, in Vandenhole, Desmet, Reynaert, Lembrechts (a cura di), Routledge International Handbook of Children's Rights Studies, Routledge, Abingdon, 2015, p. 52.
[20] C. Cost., sentt. 22 ottobre 2007 (dep. 24 ottobre 2007), n. 348 e n. 349, su cui si v. Manes, Caianiello, Introduzione al diritto penale europeo. Fonti, metodi, istituti, casi, Giappichelli, Torino, 2020, p. 138 ss.
[21] In tal senso si v. Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali, C. Edu, Consiglio d’Europa, Manuale di diritto europeo in materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, Ufficio delle pubblicazioni, Lussemburgo, 2015, p. 27 s.
[22] In tal senso UN Committee on the Rights of the Child, General comment No. 12. The right of the child to be heard, CRC/C/GC/12, 20 luglio 2009, par. 9 s., 12, 72 s.; Lundy, Tobin, Parkes, Article 12, in Tobin (a cura di), The UN Convention on the Rights of the Child. A Commentary, Oxford University Press, Oxford, 2019, p. 402 s., 409 s., 433; Vandenhole, Erdem Türkelli, Lembrechts, Children’s rights. A commentary on the Convention on the Rights of the Child and its protocols, Elgar, Cheltenham, 2019, Art. 12, n. marg. 14 s.
[23] Schmahl, United Nations Convention on the Rights of the Child, Hart/Nomos/Beck, Oxford et al., 2021, Art. 12, n. marg. 5; Vandenhole, Erdem Türkelli, Lembrechts, Children's rights, cit., Art. 12, n. marg. 5.
[24] Donini, Il diritto giurisprudenziale penale, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3, 2019, p. 37. Sulla tensione latente tra potere legislativo e potere giudiziario, e in generale sul tema, si v. Viganò, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in questa Rivista, 19 gennaio 2021, p. 2 s. e passim; nonché Manes, Prometeo alla Consulta: una lettura dei limiti costituzionali all'equiparazione tra “diritto giurisprudenziale” e “legge”, in Giur. cost., 2012, p. 3474 ss.