1. La parola ‘femminicidio’. - Quali tipi di messaggio trasmette la legge penale? Solo messaggi normativi, o anche messaggi d’altra natura? Nelle discussioni sul disegno di legge per l’introduzione del delitto di femminicidio[1], giuristi favorevoli alla proposta hanno sottolineato l’importanza delle parole. “La previsione di una fattispecie penale autonoma consentirà di nominare un fenomeno radicato e, a tutti gli operatori del diritto e a ogni livello, di riconoscerlo e approfondire le ragioni strutturali della specifica violenza contro le donne”[2]. “Il potere di nominazione esprime, nell’ambito giuridico, gli schemi con cui viene consacrato l’ordine stabilito, necessariamente fondato sulla realtà sociale e da questa riconosciuto, e fissa categorie di pensiero che lo riproducono… Il femminicidio è un crimine di potere come tutti i delitti di violenza maschile contro le donne … L’aggressione che subiscono le donne, qualunque essa sia, è mossa dalla volontà dell’autore di manifestare in modo inequivoco la propria posizione di comando e controllo sul genere femminile”[3].
In questo appassionato intervento la proposta del Governo sul femminicidio è stata inquadrata in una prospettiva emancipatoria e soprattutto antidiscriminatoria[4]. Un paragrafo è intitolato all’obbligo dello Stato di prevedere il delitto di femminicidio come applicazione dell’art. 3, secondo comma, della Costituzione e delle Carte fondamentali sui diritti umani[5]. La motivazione che ne è data fa riferimento ai divieti di discriminazione, e richiama il compito dello Stato di promuovere le condizioni affinché la libertà e ì’eguaglianza delle persone siano effettive, eliminando gli ostacoli che vi si frappongono.
Enucleare una fattispecie ‘nominata’ di femminicidio è una tecnicalità possibile; sul piano costituzionale è legittima, certo non è una scelta obbligata. Sul piano delle politiche penali, l’adempimento dell’obbligo di tutela della vita umana è tranquillamente riconoscibile nel divieto di uccidere qualsiasi persona, maschio o femmina non fa differenza.
Dall’accademia penalistica sono venute voci critiche[6] e voci a favore. Perché non introdurre un reato di femminicidio che c’è già[7], hanno argomentato le voci critiche. C’è già anche la pena dell’ergastolo: la pena prevista per l’omicidio doloso commesso con premeditazione, o per motivi abietti o futili, o con sevizie o crudeltà. È la pena applicata al condannato per un femminicidio del 2023 che ha suscitato grande e condivisa emozione.
A sostegno della proposta del Governo, il ministro Nordio ha argomentato in un’interessante intervista[8] che “il significato del diritto penale non è tanto quello della deterrenza. È quello del messaggio che manda lo Stato” su certi comportamenti e problemi. La sanzione penale è necessaria, ma non sufficiente. L’introduzione del delitto di femminicidio sarebbe un segnale culturale, una forma di attenzione.
La contrapposizione di approcci seriamente motivati merita attenzione per il semplice fatto di esistere. Le riflessioni qui proposte riguardano il tema del messaggio culturale, e l’uso della parola ‘femminicidio’ nel discorso pubblico.
2. Il precetto ‘non uccidere’. - La norma sul femminicidio, proposta nel ddl del Governo, va incontro ad attese di riconoscimento e tutela; trasmette un messaggio che suona politicamente corretto, ha avuto consensi anche da esponenti dell’opposizione, e da giuristi di vario orientamento, anche in via di principio contrari all’ergastolo[9].
Nei contenuti precettivi, nulla di nuovo. La fattispecie di femminicidio è ritagliata dentro l’area coperta dal precetto non uccidere.
Nell’art. 575 c.p. la parola ‘uomo’ si riferisce (in conformità a un uso comune del linguaggio) a maschi e femmine. Tradotta in latino è homo, non vir; in tedesco Mensch, non Mann.
Nell’art. 589 c.p. (omicidio colposo) è usata la parola ‘persona’: una scelta neutra rispetto al genere. Per definire il campo di tutela uguale per tutti, senza distinzioni di sesso, è il lessico ragionevolmente preferibile. Nella sostanza normativa, la differenza fra le parole usate negli artt. 575 e 589 è del tutto irrilevante.
Con riguardo all’uccisione volontaria di un uomo (Mensch) alcuni ordinamenti differenziano fattispecie più o meno gravi (Mord, Totschlag). L’ordinamento italiano contiene alcune aggravanti speciali dell’omicidio doloso, e diverse figure speciali caratterizzate dall’evento morte.
Di competenza della legge è il messaggio normativo: il precetto ‘non uccidere’. È espresso compiutamente nell’art. 575 c.p.: divieto di uccidere un uomo nel senso di homo, anthropos, Mensch, persona. Servente al messaggio precettivo è il messaggio di deterrenza insito nella minaccia edittale di pena severa.
Nel ddl del Governo la fattispecie di femminicidio appare costruita come titolo autonomo di delitto (figura speciale rispetto all’omicidio doloso). La scelta fra fattispecie speciali o circostanze aggravanti o attenuanti è questione di tecnica normativa, di modalità di costruzione del sistema sanzionatorio. La previsione di fattispecie speciali ha una maggiore valenza comunicativa.
Le figure dell’omicidio stradale e dell’omicidio nautico, introdotte in epoca recente nell’ordinamento italiano, riguardano attività lecite che sono oggetto di specifica regolamentazione, rilevante ai fini della responsabilità per colpa. La frammentazione delle fattispecie (non fa differenza se come titolo autonomo di reato o come reato circostanziato) non allarga l’area del penalmente rilevante; ha senso come presupposto di differenziazioni nel trattamento sanzionatorio.
Con riguardo al femminicidio doloso, né il lessico del femminicidio né la costruzione di una fattispecie speciale di delitto hanno alcuna utilità tecnica. Come ha detto il ministro Nordio, intendono essere un segnale cullturale.
Alla luce di esperienze di altri paesi (dell’America latina) una monografia sul femminicidio[10] ha chiuso qualche anno fa con un no, ma… sulla prospettiva di un nuovo reato (o di un’aggravante) sul femminicidio. Riprendendo questo tema, Massimo Donini ha rilevato l’assenza, in Italia, del quadro criminologico dei paesi che hanno introdotto la fattispecie di femminicidio, e ha rimarcato (come tanti altri) che in Italia “rispetto alle intollerabili discriminazioni di genere, il femminicidio è già reato, ed è già sanzionato con la pena dell’ergastolo” (in presenza di circostanze aggravanti già previste per l’omicidio doloso). Vincenzo Mongillo ha posto in rilievo la distanza notevole tra la forza evocativa del simbolo e le esigenze stringenti della giurisdizione penale[11].
3. Punti problematici. - Nel testo del ddl sono stati ravvisati profili d’insufficiente determinatezza e di incongruenza della fattispecie di femminicidio[12]. L’entrata in vigore della nuova norma potrebbe essere un incentivo a contestazioni benintenzionate o demagogiche.
Il riferimento ad un atto di discriminazione o di odio – ha scritto un autorevole costituzionalista[13] - “trasforma il giudice in un palombaro dell’animo umano, chiamandolo a un accertamento impossibile o arbitrario”. È un rischio reale, fronteggiabile (bene o male) da ragionevoli ermeneutiche della norma e di vicende concrete.
Esempi di violenza contro categorie di persone in quanto tali fanno parte della nostra storia. Comprendono casi di sterminio di massa. Il più grave è la caccia agli ebrei in quanto ebrei, arrivata all’estremo della Shoah. I fatti di femminicidio sono invece aggressioni contro quella specifica donna, non contro l’insieme delle donne. “Se qualcuno commette un femminicidio, l’individuo – il suo nome, volto, storia affettiva – conta, eccome”[14].
Il messaggio normativo trasmesso dal ddl è legato all’espressa previsione dell’ergastolo come pena edittale: è l’esibizione di massima severità la sostanza politica della proposta. Sul piano delle politiche del diritto penale, è questo un profilo particolarmente delicato[15]: non la possibilità (che c’è già) dell’ergastolo per il femminicida, ma la passione per l’ergastolo, il messaggio di massima severità punitiva.
Nessuna novità sostanziale per la risposta punitiva ai fatti più gravi, come l’uccisione di donne di famiglie islamiche, uccise per essersi ribellate all’autoritarismo patriarcale della loro cultura tradizionale. La possibilità di condanna all’ergastolo è già iscritta nella normativa vigente.
Nel codice Rocco una cultura patriarcale emergeva vistosamente nella disciplina dell’omicidio[16] per causa d’onore (art. 587 c.p.) sanzionato con una pena edittale di eccessiva mitezza. Ce ne siamo liberati da qualche decennio. O non ancora liberati, secondo chi ritiene che “finché non vedremo le donne e la discriminazione sessuale che le colpisce, e, soprattutto, non la nomineremo, …l’art. 587 del codice penale resterà ben iscritto nella struttura sociale”[17].
La realtà sociale (struttura e cultura) pone problemi che mettono in crisi i nostri schemi ideologici. È messa in scena nel Woyzeck di Georg Buchner (due secoli fa) e messa in musica da Alban Berg (nel Wozzeck, un secolo fa) la vicenda dell’uomo povero e incolto, che arriva a uccidere la donna che lo ha tradito È la struggente tragedia della povertà esistenziale di entrambi, autore e vittima: uno scenario ancora da prendere in considerazione nel nostro mondo, al di là di pregiudiziali ideologiche.
La cronaca di quest’anno 2025 ha dato notizia di un terribile femminicidio su una ragazzina di 14 anni, commesso da un diciannovenne. Non un personaggio tipo Woyzeck, ma comunque un caso che pone problemi sociali e culturali drammatici.
4. Legge penale e messaggio culturale. - A sostegno di un’autonoma incriminazione sotto l’etichetta di ‘femminicidio’ sono addotte ragioni culturali. La parola ‘femminicidio’ aiuta a vedere la disuguaglianza sessuale, questa sconosciuta[18]. Si colloca in una “prospettiva di genere: una visione scientifica ed analitica, diffusa in gran parte del mondo”; inquadra le uccisioni di donne in ambito familiare o di coppia come espressioni di potere, controllo e sopruso nei loro confronti in quanto donne… Il delitto di femminicidio – e le aggravanti in esso ritagliate – per la prima volta consentirà di rendere visibile la violenza contro le donne e il contesto in cui si consuma, non più celata dietro termini neutri“[19].
Una giornalista francese, impegnata sui problemi di genere, in un’intervista pubblicata su un quotidiano italiano[20] ha detto che “in Francia la parola femminicidio ha permesso di nominare un fenomeno che altrimenti non era visto. Le parole femministe permettono di nominare realtà che fino a quel momento non erano riconosciute”.
C’è bisogno di un legislatore che usi parole femministe, per nominare i fenomeni? Il potere di nominazione è un fatto di cultura, prima che di potere. La dimensione culturale, in una democrazia liberale, è la libertà di pensiero, di parola, di confronto critico. Individuare problemi, introdurre nuovi concetti e nuovi nomi, è compito della cultura: è potere della cultura, del tutto autonomo da autorità normative. Come ha scritto Max Weber un secolo fa, non è possibile proibire ad alcuno l’uso di un termine… il problema: evitare fraintendimenti[21].
Di competenza specifica della legge penale è il messaggio normativo, l’espressione del principio responsabilità: il precetto ‘non uccidere’, la minaccia di sanzione. Le forme e le parole del diritto hanno una funzione specifica, riferita a problemi di disciplina e di esercizio di potere. Il potere può farne un uso più o meno buono.[22].
Vincenzo Mongillo, nella sua riflessione critica, parla di riserve sollevate nell’ottica del diritto penale liberale, dall’impiego dello strumento penale come mezzo di affermazione valoriale e di ingegneria simbolico-politica[1][1]. E ha ripreso nelle conclusioni il tema del paradosso del simbolismo penale: creare fattispecie autonome, severe nella pena e solenni nel lessico, prevedibilmente inefficaci[23]. Questa previsione è ragionevole, ma preferisco lasciarla fra parentesi: problemi di verifica degli effetti sono sempre proponibili. La mia riflessione è centrata sul messaggio, sul rapporto fra dimensione normativa e dimensione culturale.
La legittimità ed utilità dell’uso della parola ‘femminicidio’ non dipendono da scelte di un legislatore. L’uso (o non uso) della parola ‘femminicidio’ è esercizio di libertà nell’uso pubblico del linguaggio, per chiunque si esprima nella sfera pubblica.
Sul piano normativo la parola ‘femminicidio’ non immuta il messaggio precettivo insito del divieto di uccidere una persona umana, homo, anthropos, Mensch. Sul piano culturale è una possibilità ragionevole di dare nomi a fenomeni del mondo reale.
Rendere visibile la violenza contro le donne e il contesto in cui si consuma, non più celata dietro termini neutri, è un’impresa culturale nella prospettiva di genere, che ha preceduto la traduzione giuridica in proposte di legge e in nuove leggi[24]. La cultura femminista avrebbe buone ragioni per rivendicare orgogliosamente di aver nominato, analizzato e contrastato la violenza di genere, invece di dire che una nuova norma per la prima volta consentirà.
Sui problemi della violenza di genere c’è bisogno di parole nuove nella legge penale? Diritto penale della propaganda, è stata definita da una voce critica l’etichetta di femminicidio[25]. Una finalità preminente di propaganda, di ricerca di consenso, è leggibile nell’insieme delle recenti politiche legislative penali: il penale come instrumentum regni, alternativa simbolica alla soluzione dei problemi, un po’ oppio del popolo,[26] risposta alla passione contemporanea per il punire[27].
Un liberale non attende dal legislatore le parole da usare, né messaggi che vadano oltre il messaggio normativo[28].. Non apprezzerebbe l’imposizione (che sentirebbe paternalistica) di un linguaggio o di un sentire politicamente corretto, nemmeno se condiviso. Sul piano culturale e politico, anche delle politiche del diritto, il liberale si sente impegnato in un confronto di ragioni su problemi ben più sostanziali di questioni di parole. Un confronto che in una società decente[29] dovrebbe essere sempre aperto.
“Proprio là, dove i concetti mancano, s’insinua al momento opportuno una parola. Con le parole si può discutere, si può costruire un sistema, alle parole si può credere”: sono parole che Goethe, nel Faust, mette in bocca a Mefistofele (a proposito della teologia, ma con valenza più generale) nel dialogo con un giovane in cerca di un orientamento sugli studi da intraprendere. L’illuminista Goethe esprime una critica radicale verso qualsiasi ‘scienza’ che si risolva in costruzioni puramente verbali. È un monito che forse ha qualcosa da dire anche sull’uso delle parole nella legislazione e nella scienza giuridica, e in genere nel discorso pubblico.
[1] Ddl n. 1433, presentato il 31 marzo 2025. Prevede l’ergastolo “quando il fatto è commesso come atto di discriminazione verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà, o, comunque, l’espressione della sua personalità”.
[2] F. Menditto, Riflessioni sul delitto di femminicidio, in Sistema penale, 2 aprile 2025, §, 8.5.
[3] P. Di Nicola Travaglini, Il femminicidio esiste ed è un delitto di potere, in Sistema penale 5/2025. Citazioni da p. 4s.
[4] P. Di Nicola Travaglini , op. cit., p. 19.
[5] P. Di Nicola Travaglini, op. cit., p. 21.
[6] Anche dal mondo delle giuriste. Il reato di femminicidio presentato dal Governo: le ragioni della nostra contrarietà. 26 maggio 2025. Sono ravvisati problemi d’insufficiente determinatezza, tecniche di tipizzazione carenti.
[7] È il titolo scelto da Massimo Donini, in Sistema penale, 14 marzo 2025. G. Fiandaca, in il Foglio, 13 marzo 2025, ha sollecitato i colleghi a dare espressione pubblica a una posizione fortemente critica sul ddl, che ritiene condivisa, inquadrata in un “orizzonte critico ben più ampio, che include il sempre più frequente uso del diritto penale come strumento di consenso politico o come mezzo pedagogico”.
[8] Pubblicata in il Foglio, 9 giugno 2025.
[9] C. Pecorella, Perché può essere utile una fattispecie di femminicidio, in Sistema penale, 2 giugno 2025.
[10] E. Corn, Il femminicidio come fattispecie penale. Storia, comparazione, prospettive, Napoli 2017.
[11] V. Mongillo, Diritto penale e ingegneria simbolica: i limiti della proposta di un nuovo delitto di femminicidio e le esi8genze di tutela effettiva, in Sistema penale, 12 giugno 2025, p. 9.
[12] Una diligente analisi nel Documento della Commissione di diritto e procedura penale della ANM (Associazione nazionale magistrati) del 15 maggio 2025.
[13] A. Pugiotto, La mimosa all’occhiello del populismo penale, in l’Unità, 15 marzo 2025, ripubblicato in Sistema penale, 2 aprile 2025.
[14] V. Mongillo, op. cit., p. 10
[15] “La questione della pena perpetua è complessa e meriterebbe di essere posta in termini di principio, dunque per tuti i delitti che la prevedono”: P. Di Nicola Travaglini, op. cit, p.31.
[17] P. Di Nicola Travaglini, op. cit, p.18,
[18] È il titolo di un paragrafo di P. Di Nicola Travaglini, op. cit., p. 22.
[19] P. Di Nicola Travaglini, op. cit, p. 22s., p. 32.
[20] Victoire Tuaillon, La Stampa, inserto tuttolibri, 10 maggio 2025.
[21] Max Weber, L’avalutatività nelle scienze sociali ed economiche (dalla traduzione in italiano, Milano 2015, p. 79).
[22] La potenza del linguaggio è messa in evidenza (in negativo) nella distopia orwelliana: la neolingua di un potere assoluto come distruzione delle condizioni minime di razionalità e di convivenza. G. Orwell, I principi della neolignua., appendice al romanzo 1984, pubblicato nel 1949; ora in G. Orwell, Il potere e la parola. Scritti su propaganda, politica e censura, Prato 2021, p. 177s.
[23] V. Mongillo, op. cit., p. 4, p. 14.
[24] A. Massaro, La direttiva UE 2024/1385 sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica: il posibile impatto sull’ordinamento italiano, in Sistema penale, n. 3/2025.
[25] F. Compagna, Femminicidio, o il diritto penale della propaganda, in il Foglio, 10 marzo 2025:
[26] M. Donini, Il penale come religione di massa e l’ennesima riforma della giustizia, in Sistema penale, 18 luglio 2023.
[27] D. Fassin, Punire. Una passione contemporanea, Milano 2018.
[28]“M. Walzer, The struggle for a decent Politics. On liberal as an Adjective”: In traduzione italiana: M. Walzer, Che cosa significa essere liberale, Milano 2023.
[29]Nel senso di J. Rawls, Una teoria della giustizia, Milano 2000 (traduzione della revisione del 1999).